Quindi l'Inter è la favorita per lo scudetto?
Tutto quello che ci hanno detto le prime 10 partite dei nerazzurri.
10 partite giocate; 9 vittorie, 2 pareggi, 1 sconfitta, 23 gol fatti, 6 gol subiti. È questo il ruolino di marcia con cui l’Inter ha iniziato la sua stagione, e con l’arrivo della sosta per le nazionali di ottobre è tempo di tracciare un primo (parziale, provvisorio, ma pur sempre indicativo) bilancio dell’andamento dei nerazzurri. Sia ben chiaro, non si tratta né di un processo né di un’apologia alle prestazioni di giocatori e allenatore, ma di una prima analisi di quelli che sono gli spunti di riflessione offerti da due mesi di calcio giocato in cui l’Inter ha mostrato nuovi punti di forza e vecchie debolezze, ha vinto dominando e a sofferto meritando, si è confrontata con la Champions e con il campionato, ha fatto la conoscenza con nuovi amici e ne ha riscoperti di vecchi.
Insomma, 10 partite non sono molte ma possono essere un’interessante cartina di tornasole per cercare di individuare e comprendere intenzioni, obiettivi, proposte e lacune della squadra di Inzaghi.
Inzaghi non vuole fare turnover?
Iniziamo prendendo spunto dall’immancabile polemica che ha accompagnato i primi due mesi dei nerazzurri, che dopo la partita col Bologna è tornata più accesa di prima. Ha davvero ragione chi rinfaccia a Inzaghi una gestione insufficiente della rosa e richiede un maggior ricorso al turnover? Il tecnico ex Lazio si fossilizza davvero così tanto nella scelta dei soliti titolari?
La verità è ovviamente più complessa, e per comprendere le motivazioni e le direzioni delle scelte dell’allenatore non possiamo non considerare una serie di presupposti che necessariamente impattano sul modo in cui la rosa dell’Inter è gestita nelle turnazioni. È vero, Inzaghi tende a schierare (anche giustamente) i giocatori di cui si fida di più, che ritiene più pronti e immediatamente utilizzabili, ed è anche per questo motivo che nella scorsa stagione l’impiego di giovani come Asllani e Bellanova è stato pressoché irrilevante, ma è anche vero che gli infortuni dei vari Arnautovic, Frattesi e Cuadrado hanno impedito loro di avere un minutaggio ben più alto di quello effettivamente avuto. Ma parliamo di dati e prendiamo in considerazione la statistica dei minuti giocati dalla rosa dell’Inter.
I dati dimostrano chiaramente il modo in cui Inzaghi ha gestito la sua rosa in queste prime 10 partite: escludendo Sommer e Thuram, avvantaggiati dal fatto di essere arrivati per coprire due cessioni nei rispettivi ruoli, per ora in campo si sono visti quasi sempre i fedelissimi del tecnico piacentino, tra cui tre giocatori che, nel corso della preseason, erano indicati a passare in secondo piano: Mkhitaryan, Dumfries e Darmian. Più distaccati, invece, quasi tutti i nuovi acquisti, per la delusione di molti tifosi e di parte della stampa.
Dunque, è vero che Inzaghi non vuole o non sa fare turnover? Questa conclusione, condivisa da gran parte dei tifosi, è però affrettata. L’Inter di questi mesi si è mossa tra due fondamentali necessità: operare un ampio ricambio tecnico e generazionale, che ha visto andar via 13 diversi giocatori (compresi elementi del calibro di Skriniar, Lukaku, Dzeko, Brozovic e Onana e storiche colonne come Handanovic e D’Ambrosio) e assicurarsi un inizio di stagione ad alto livello in tutte le competizioni. A Inzaghi si chiedeva, insomma, di garantire continuità e immediatezza di prestazioni pur gestendo una rosa nuova per metà e senza molti storici punti di riferimento, un compito reso ancora più difficile dal tardivo arrivo di molti dei nuovi acquisti, da inserire opportunamente nel sistema di gioco.
È facile così capire come mai il tecnico abbia insistito fino a questo momento con i suoi fedelissimi, giocatori dal sicuro e immediato rendimento che lo hanno premiato col miglior avvio di stagione dal 2019. Inter-Sassuolo è stata una partita estremamente indicativa in questo senso: un turno infrasettimanale da giocare in casa, incastonato tra due turni di campionato e due fondamentali partite di Champions, sarebbe stato il contesto ideale per operare un turnover consistente, ma Inzaghi ha deciso di mantenere alta la tensione, di richiedere il massimo sforzo dai suoi titolari in una partita già molto importante. Certo, alla fine quella col Sassuolo è stata la prima sconfitta stagionale per l’Inter ma ha rappresentato per certi versi il pegno da pagare per una strategia che, per il resto, ha funzionato. Lo evidenziano i sette punti in più in campionato e le quattro sconfitte in meno rispetto alla scorsa stagione.
La tendenza è stata confermata anche dall'XI che ha sfidato il Bologna il 7 ottobre e che ha a suo modo mostrato come l’impostazione del turnover necessiti comunque di qualche miglioramento. Non è vero, dunque, che Inzaghi non voglia fare turnover per rifiuto ideologico, lo stachanovismo di Barella e soci è l’attuazione di una precisa strategia e non una bocciatura dei nuovi acquisti, che hanno invece così più tempo a disposizione per calarsi al meglio in un contesto tattico estremamente esigente e sofisticato.
La ThuLa è il futuro dell'Inter
Il reparto offensivo è forse quello che ha conosciuto i cambiamenti più importanti rispetto all’annata precedente, prima di tutto a causa dell’arrivo di Marcus Thuram. L’ingresso nel mondo nerazzurro è stato indiscutibilmente positivo per il francese, che era stato ampiamente sottovalutato sia dai tifosi che dalla stampa e che si è invece rivelato la più importante novità nello spartito tattico dell’Inter.
Thuram ha, inevitabilmente, portato un cambio radicale rispetto al suo predecessore Edin Dzeko: innanzitutto il francese è un giocatore più dinamico, con una maggiore propensione al dribbling e ad un’ottima capacità di attaccare la profondità. In questo momento Thuram è il primo titolare per dribbling riusciti (1.42 per 90', un dato elevato per una seconda punta), con un dato più che triplicato rispetto al bosniaco (0.42 nella scorsa Serie A). L’attitudine ad attaccare lo spazio e a ricercare la profondità con una più veloce verticalizzazione della manovra è stata invece evidente (e decisiva) soprattutto nelle partite contro Fiorentina e Milan.
Grazie a queste caratteristiche, Thuram ha cambiato l’atteggiamento offensivo della squadra: con Dzeko, l’Inter di Inzaghi era costretta a giocare più alta, con un ritmo più compassato e con una maggiore circolazione orizzontale della palla, per adattarsi alle caratteristiche del bosniaco. Con Thuram, invece, l’Inter può abbassare il suo baricentro, ricercare più velocemente e con maggiore frequenza la verticalizzazione nonché accettare di lasciare il pallino del gioco in mano agli avversari, vista la capacità del francese di coprire velocemente grandi porzioni del campo.
Inoltre, anche grazie a una buona struttura fisica, Thuram ha mostrato di riuscire a eseguire quel compito di appoggio e protezione palla che Inzaghi chiedeva a Dzeko, sostenendo anche un ruolo da prima punta più tradizionale. Insomma, il francese si sta mostrando come un ottimo partner di Lautaro, forse non con l'intesa quasi telepatica avuta con Lukaku ma comunque esaltandosi ed esaltando l'apporto in campo del Toro.
In questo senso, il miglior avvio di stagione della carriera di Lautaro Martinez non è casuale. Con un giocatore più verticale come Thuram, Lautaro può svolgere il ruolo da centravanti in modo più aderente al suo stile, venendo incontro, abbassando il proprio baricentro di una quindicina di metri, e giocando sulla linea di metà campo per ricevere il pallone e associarsi con i compagni, creando spazi per gli inserimenti di Dimarco e Mkhitaryan.
Martinez può così finalmente riappropriarsi di quella mobilità che aveva in parte perso nei primi due anni di Inzaghi, grazie al fatto di avere un partner che riesce ad attaccare meglio le linee avversare, che riesce ad alzare la squadra e che è ben propenso allo scambio veloce, al fraseggio corto e alle sponde che erano il marchio di fabbrica della LuLa. In attesa di capire se la ThuLa potrà regalare le stesse soddisfazioni ai nerazzurri, i due devono chiaramente continuare a lavorare sull’intesa e sulla precisione delle giocate, migliorando la velocità e la qualità del dialogo nello stretto.
Ma l’enorme rendimento di Lautaro non si può spiegare solo con l’arrivo di Thuram. L'immagine truce, quasi da zarro, di Martinez rende assurdi i discorsi sulla sua maturazione personale; eppure, è innegabile che il Toro abbia iniziato la stagione con una mentalità e un piglio diverso, più avvezzo al sacrificio, meno lunatico e più costante. Il ritorno nella sua comfort zone tattica ha sicuramente aiutato, ma a 26 anni compiuti, e con la fascia di capitano al braccio, Lautaro sembra aver deciso di mettere da parte le intemperanze e la discontinuità dei primi anni, nonostante qualche colpo di testa di troppo, come quello sul rigore causato contro il Bologna.
Le gerarchie in avanti sembrano ormai stabilite, visto l’infortunio di Arnautovic e la non perfetta condizione di Sanchez. Ciononostante, l'apporto dei due cambi offensivi sulla lunga distanza diventerà cruciale: Arnautovic al suo ritorno avrà sicuramente molto spazio, soprattutto quando Inzaghi deciderà di schierare la sua squadra più alta e inserendo l’austriaco in un ruolo ben più simile a quello che aveva Dzeko. Sanchez, invece, ha una posizione alquanto ambigua, visto che sembra amalgamarsi abbastanza poco con le idee offensive proposte finora dall’allenatore. Inzaghi lo ha addirittura utilizzato, nella sua unica da titolare contro la Salernitana, da trequartista, lasciando, con scarsi risultati, il compito di affiancare Thuram alla coppia Klaassen-Dumfries. Tecnico e giocatore devono quindi venirsi incontro, cercare un compromesso che renda il cileno utile alla causa e una credibile alternativa a Capitan Lautaro.
L'inserimento di Pavard è fondamentale
Dal punto di vista tecnico, la grande novità in difesa è l’innesto di Benjamin Pavard: l’ex Bayern si è inserito quasi istantaneamente e ha mostrato da subito la sua intenzione di diventare il titolare sulla destra, un posto che, se non gli spetta di diritto, poco ci manca. È vero che Pavard ha davanti a sé quello che probabilmente è stato il miglior giocatore della scorsa stagione, Darmian, ed è vero che il suo arrivo tardivo ha tolto tempo prezioso al necessario apprendistato tattico agli ordini di Inzaghi. È altrettanto vero, però, che il francese è un giocatore di livello e prestigio troppo superiore rispetto all'ex United, avendo anche doti tecniche e atletiche incomparabili a quelle dell'ex Torino.
Pavard permette di poter sostenere, quando sarà necessario, un baricentro più alto, vista la sua grande capacità di difendere all'indietro; inoltre, ha un dribbling ideale per eludere la prima pressione degli avversari e una qualità di calcio estremamente utile in impostazione, rendendolo la controparte ideale di Bastoni sul lato destro. Mentre Bisseck rimane un oggetto misterioso e De Vrij, per quanto in ripresa, si è mostrato come un ricambio e poco più, Acerbi ha, ancora una volta, ribadito la sua centralità nella squadra, un ruolo che l’infortunio nel precampionato era stato messo in dubbio da molti. Inzaghi non può semplicemente fare a meno della sua leadership e della sua esperienza nel dettare tempi e movimenti della difesa.
In queste dieci partite abbiamo visto, inoltre, un Alessandro Bastoni che ha messo in mostra tutto il suo arsenale: il nazionale azzurro ha giocato da braccetto e da terzino, da tornante e da secondo regista, in certi casi addirittura da rifinitore aggiunto, risultando spesso l’ago della bilancia che determina, in positivo e in negativo, le sorti della squadra con le sue prestazioni.
L’altra novità è rappresentata ovviamente da Yann Sommer: nei primi due mesi, lo svizzero ha mantenuto fede alla sua reputazione, mostrando molte luci ma anche qualche ombra nel suo ruolo. Escludendo la sconfitta col Sassuolo, Sommer ha sicuramente evidenziato la sua esplosività e i suoi ottimi riflessi, ma anche la necessità di lavorare ancora tanto sull’intesa con i compagni e sulla gestione del gioco lungo, dovendo migliorare la sua gestione della palla in fase di prima costruzione. Del resto, anche Onana ha avuto bisogno di tempo per impadronirsi dei meccanismi della squadra e a Sommer dovrà essere accordato lo stesso trattamento.
Importanti, invece, sono gli accorgimenti introdotti dal punto di vista tattico, alcuni dei quali già provati nella scorsa stagione e che hanno dato, per ora, effetti importanti: in 10 partite, l’Inter ha subito 6 reti, meno della metà di quelle incassate nello stesso periodo della scorsa stagione.
Sicuramente, la scelta di mantenere un baricentro leggermente più basso, agevolata dalla presenza di Thuram nella parte opposta di campo, ha aiutato a proteggere il reparto difensivo. L'Inter, però, pur essendo meno proattiva non è diventata una squadra ultra-difensivista: la presenza sulla catena di destra di giocatori veloci come il francese e Dumfries permette, infatti, di compattarsi e fare densità dietro la linea della palla per poi distendersi velocemente in ripartenza, grazie anche al dinamismo delle mezzali in supporto. Arretrando il baricentro di 15/20 metri, l’Inter riesce a coprire meglio gli spazi, difende più efficacemente sulle sovrapposizioni e sopperisce meglio ad alcune lacune dei suoi difensori centrali.
Proprio il nuovo vestito tattico pensato per i tre centrali è la seconda interessante novità di questa prima parte di stagione. L’Inter delle 11 sconfitte doveva gran parte di esse ad una squadra troppo sbilanciata in avanti, che arrivava a portare nella metà campo avversaria il maggior numero di giocatori possibile per cercare di colmare la cronica sterilità offensiva, col solo risultato di aprire spazi facilmente attaccabili dai suoi avversari. Tutto ciò non fa più parte dell’approccio alla partita della squadra di Inzaghi che, al contrario, impartisce ai suoi difensori un mandato completamente diverso: il centrale e uno dei due terzi rimangono bloccati e non partecipano all’azione offensiva, preoccupandosi di coprire gli spazi e bloccare le ripartenze degli avversari. Chiaramente uno tra Bastoni e Pavard ha ancora la possibilità di avanzare e sovrapporsi, consapevole di poter contare sul preziosissimo lavoro di Calhanoglu e Mkhitaryan.
L’intero sistema difensivo, infatti, non sarebbe altrettanto efficace se non potesse contare sulla straordinaria interpretazione del ruolo da parte del turco e dell’armeno. Calhanoglu si è ormai calato con una totalità disarmante in un ruolo che va ben oltre quello del regista arretrato, rinunciando quasi totalmente alla proiezione offensiva per offrire ulteriore supporto in interdizione davanti alla difesa.
L'ex milanista è al primo posto nella rosa interista per contrasti vinti per partita (2.5): un dato estremamente indicativo, così come lo è il secondo posto, occupato proprio da Mkhitaryan (2.1). L’ex Roma è determinante in qualsiasi zona del campo, ma nel sistema difensivo attuale è imprescindibile per la sua abnegazione nell’arretrare in copertura per favorire la spinta di Bastoni e Dimarco, nonché per la sua capacità di farlo in modo continuo ed efficace. Con questi accorgimenti, e grazie alla piena fiducia degli interpreti, Inzaghi è riuscito a rendere il suo calcio, già fluido ed elegante, anche sostenibile dal punto di vista difensivo.
Un centrocampo di certezze e novità
Dei tre titolari abbiamo già trattato in maniera abbondante con riferimento allo sviluppo delle due fasi, delle quali Barella, Mkhitaryan e Calhanoglu sono, in ogni caso, protagonisti. Di questi tre è però opportuno mettere in evidenza due aspetti su cui saranno chiamati a lavorare e migliorare rispetto a quanto fatto vedere finora. L'Inter ha mostrato tutti i suoi limiti contro squadre capaci di chiudere bene gli spazi e operare un pressing alto e ben organizzato. Per vincere le partite contro Real Sociedad e Bologna sarebbe servito un maggior dinamismo e una più efficiente gestione della palla. Il salto di qualità deve arrivare anche dalla capacità dei tre centrocampisti di far saltare pressing e marcature con un fraseggio sempre più preciso e veloce, oltre che con dei migliori movimenti senza palla.
Tutto ciò potrà avvenire però solo con una migliore gestione fisica dei tre, dato l’enorme dispendio di energie (anche mentali) che un’interpretazione simile del ruolo richiede. È apparso, per esempio, abbastanza evidente l’appannamento di Barella, fisicamente distrutto dalla sequenza di partite giocate a settembre. Da questo punto di vista, il mercato ha in parte aiutato, allestendo una seconda linea di riserve quanto meno più funzionale rispetto alla scorsa stagione. Davide Frattesi era arrivato a Milano nell’aspettativa popolare di imporsi fin da subito come la mezz’ala sinistra titolare, portando non poche critiche a Inzaghi quando gli ha preferito costantemente Mkhitaryan.
La situazione è però più complessa di così: Mkhitaryan è attualmente uno dei migliori per rendimento e continuità di tutta la rosa dell’Inter ed è fondamentale in entrambe le fasi. La sua concorrenza sarebbe dunque una bella gatta da pelare per chiunque in questo momento; lo è a maggior ragione per l’ex Sassuolo, prima di tutto non si può chiedere a Inzaghi di rinunciare sistematicamente al suo miglior giocatore; in secondo luogo, Frattesi gioca nello stesso ruolo ma fa un lavoro diverso dall’armeno e per ora non è in grado di assicurare la stessa attitudine ed efficienza difensiva né la stessa precisione in fase di circolazione della palla e di costruzione dell’ex Roma; infine, non dimentichiamoci come Frattesi, nei suoi anni a Sassuolo, abbia giocato prevalentemente sulla destra e per assicurare lo stesso rendimento sul lato opposto del campo ci vuole tempo e pazienza.
Nell’attesa che Frattesi dimostri di poter davvero stravolgere le gerarchie, il contributo alla causa è comunque evidente: l'ex Roma e Lazio ha aggiunto dinamismo e intensità all'Inter, con un ruolo da dodicesimo uomo che si è mostrato utile nel derby e nella partita contro la Real Sociedad.
Infine, un pensiero sull’acquisto più sorprendente del mercato nerazzurro: Davy Klaassen. L’olandese è stato accolto come il settimo della batteria dei centrocampisti, ben lontano dall’essere quel giocatore fisico che serviva per completare il reparto. Ma nella realtà, l’ex Ajax è molto più avanti nelle gerarchie di quanto ci si aspettasse: la partita con la Salernitana ha mostrato come Klaassen sia, dopo Frattesi, un ottimo ricambio e che, se non viene caricato di compiti difensivi, può dare delle geometrie utili negli ultimi 30 metri.
Le fasce: il gioco delle coppie
Le partite di settembre hanno dato diverse indicazioni sulla batteria di esterni dell'Inter. La prima indicazione è la volontà di utilizzare maggiormente le qualità di Federico Dimarco. Spesso, soprattutto in fase di transizione offensiva, abbiamo visto l’Inter distendersi sul lato sinistro con Bastoni e Mkhitaryan, mentre all'esterno della Nazionale veniva data licenza di stringere dentro il campo e agire quasi da rifinitore dietro le due punte, un evidente tentativo da parte di Inzaghi di sfruttare il sinistro di Dimarco per portare giocate risolutive nella trequarti avversaria, dove l’Inter pecca spesso di imprecisione e confusione. Insomma, il numero 32 può essere molto utile per cercare l’imbucata di Barella o il filtrante per i due attaccanti.
La seconda indicazione riguarda l’importanza che Denzel Dumfries ha ormai acquisito nel sistema di gioco di Inzaghi. Con Thuram sulla destra, l'olandese costituisce il principale sfogo offensivo dell’Inter, nonché il più importante punto di riferimento fisico per palle alte e rilanci lunghi. L'importanza dell'olandese è tale che il cross lungo sul palo lontano è diventato una sorta di tic per l'Inter, che lo cerca, invano, anche quando Dumfries non è in campo.
Certo, la tecnica è quella che è ed è ormai inutile illudersi che possa sensibilmente migliorare, però Dumfries è comunque riuscito a mettere da parte le timidezze e le insicurezze legate al suo bagaglio tecnico non invidiabile, mostrando più sicurezza e consapevolezza. Ricerca di più la giocata e il dribbling e lo fa anche se ha appena perso un possesso per un controllo sbagliata. Dumfries è cresciuto, anche statisticamente, nei dribbling riusciti, indicando una maggiore freschezza, soprattutto sul piano mentale, dell’olandese.
L’ultima indicazione riguarda l’utilizzo di Carlos Augusto e Cuadrado, due novità estremamente rilevanti che il mercato ha portato ad Appiano Gentile. I due sono strettamente legati, così come lo sono Dimarco e Dumfries: la sensazione è che Inzaghi voglia utilizzarli a coppie, scegliendo a seconda della partita chi utilizzare. Entrambe le coppie garantiscono un mix di tecnica e dribbling da una parte e fisico e inserimenti dall’altra, caratteristiche fondamentali per quelle trame da quinto a quinto su cui il tecnico insiste molto.
Se Cuadrado si è visto poco causa infortunio, Carlos Augusto è stato finora usato abbastanza spesso da Inzaghi, soprattutto a partita in corso: nel match contro il Bologna, il brasiliano è stato il migliore in campo per i nerazzurri, giocando con una personalità e un piglio che non aveva ancora fatto vedere davvero fino a quel momento. Augusto, come detto, è però destinato a far coppia con il colombiano, per cui giudizio su di lui dunque è rimandato a quando quest'ultimo sarà pienamente entrato nelle rotazioni.
Quindi, l'Inter può vincere?
Il quadro delineato, dunque, ci mostra un'Inter che è partita bene e che può giocarsela davvero su tutti i fronti. Ma altrettanto evidenti sono alcune criticità che la squadra ha mostrato, soprattutto negli incontri successivi al Derby e che hanno frenato l'inerzia di un avvio spumeggiante ma realisticamente insostenibile. Bisognerà innanzitutto lavorare sull’intesa tra Pavard e il resto della difesa, ricucendo gli automatismi che l’innesto del francese ha sicuramente stravolto. In secondo luogo, Inzaghi dovrà insistere molto sul sistema di raddoppio e copertura della catena di sinistra, che spesso si dimostra essere il tallone d’Achille della difesa nerazzurra. Se il gol di Zirkzee in Inter-Bologna è colpa anche dell’incomprensione tra i centrali nerazzurri, quello di Bajrami in Inter-Sassuolo è pericolosamente simile a quello di Ciurria nel Monza-Inter dello scorso 6 gennaio, un segnale di come la squadra d’Inzaghi soffra patologicamente queste situazioni sul centrosinistra.
In fase di costruzione si è già detto di come l’Inter soffra terribilmente le squadre organizzate con un pressing alto sulla posizione e che riescono a creare densità. Ancora una volta, la partita contro il Bologna ha offerto una rappresentazione plastica di questo problema: Thiago Motta ha impostato sistematicamente una doppia, a volte tripla marcatura nella zona del portatore di palla e una pressione uomo su uomo dei tre centrocampisti; qualcosa di simile si è visto anche nel match contro la Real Sociedad.
L’Inter ha storicamente un grosso scompenso da questo punto di vista che, presumibilmente, continuerà a soffrire, vista l’assenza in rosa di dribblatori di alto livello. La soluzione, come detto, sta nel dovere del centrocampo di alzare i giri del motore, aumentare dinamismo nei movimenti e velocità nella circolazione della palla: il movimento delle punte e le sovrapposizioni dei braccetti possono essere importanti alternative ma rischiano di sbilanciare la squadra e drenare sostanza da un attacco già di per sé troppo spesso impreciso.
I grattacapi offensivi per Inzaghi, però, non si esauriscono qui. Anche una volta superata la prima pressione, sia a difesa schierata che in transizione, troppe volte il giocatore in conduzione arriva sulla trequarti senza sapere bene cosa fare, trovandosi quasi disorientato, spaesato. Troppa imprecisione nell’ultimo passaggio, troppi errori tecnici in rifinitura, un’eccesiva propensione all’azione individuale, pessime scelte di tiro. Tutto ciò non fa che aggravare la già cronica difficoltà di scardinare le difese schierate, rendendo sterile il possesso insistito e creando confusione nella manovra, che si spegne inevitabilmente dopo l’ennesimo filtrante fuori misura o dopo l’eccessivo temporeggiamento del portatore di palla.
È paradossale parlare di difficoltà offensive per il miglior attacco della Serie A, ma la verità è che l’Inter fa fatica a trovare vie di mezzo, soffrendo quando non riesce a indirizzare subito le partite. In ciò, la squadra di Inzaghi ripropone gli stessi limiti della scorsa stagione, quando le difficoltà offensive, col passare del tempo, non facevano altro che aumentare la fiducia degli avversari di portare a casa il risultato. Con Sassuolo e Bologna, l’Inter ha abbassato l'intensità dopo momenti topici (un gol avversario o anche lo stesso intervallo) che interrompono l’inerzia del gioco, un difetto ormai cronico dei nerazzurri.
Se quindi l'Inter riesce a dare il meglio negli scontri diretti, contro squadre che giocano per vincere e lo fanno a viso aperto, sembra invece fare più fatica a dominare contro squadre più accorte e meno propense a lasciare spazi. Gli scudetti, però, passano inevitabilmente dai campi di Verona, Bologna, Torino e Sassuolo e in ciò l'Inter sembra ancora un passo indietro rispetto al Milan. In questo, una maturazione dei nerazzurri sarà fondamentale per arrivare alla seconda stella.
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