La Grecia vince il campionato europeo di calcio del 2004.
, 6 Ottobre 2023
13 minuti

2004, l'anno dei miracoli


Ripercorriamo un anno storico, segnato dai trionfi degli underdog in giro per il mondo.

È ormai chiaro a tutti che nel calcio contemporaneo, con il passare degli anni, lo spazio per le vittorie a sorpresa, per i "miracoli sportivi" (che poi miracoli non sono mai) o anche semplicemente le vittorie in tornei importanti di squadre non di prima fascia, si sia ridotto enormemente. Se qualcuno avesse dei dubbi, basta consultare brevemente gli albi d'oro della Coppa dei Campioni/Champions League per rendersene conto immediatamente. Nel ventennio 1979-1999, la Champions è stata vinta da diciassette squadre diverse provenienti da dieci paesi (Nottingham Forest, Liverpool, Aston Villa, Amburgo, Juventus, Steaua Bucarest, Porto, PSV, Milan, Stella Rossa, Barcellona, Olympique Marsiglia, Ajax, Juventus, Borussia Dortmund, Real Madrid, Manchester United), delle quali almeno la metà erano considerate underdogs all'inizio del torneo. Nei ventitré anni successivi, dal 2000 al 2023, le vincitrici sono state solo dieci (Real Madrid, Manchester United, Milan, Porto, Liverpool, Barcellona, Inter, Chelsea, Bayern Monaco e Manchester City) provenienti da solo cinque campionati e soltanto una era un vero underdog: il Porto di Mourinho nel 2004.

Il protagonista di questo articolo non è una squadra, ma un'annata, quel 2003-2004, ultimo anno in cui un underdog si è aggiudicato la coppa dalle grandi orecchie, ma non solo. Il 2003-2004 è stata la stagione sportiva perfetta per chiunque subisca il fascino - un po' retorico forse, ma mai fuori luogo - della vittoria inattesa, del Davide che batte Golia. Soprattutto, però, è stato l'ultimo anno in cui i tifosi di squadre provinciali medio-grandi, ormai rassegnati ad un posto in Europa League come massima aspirazione onirica, hanno realmente e concretamente sperato che anche loro un giorno avrebbero potuto esultare per una vittoria prestigiosa, per una coppa importante, per un campionato. La stagione 2003-2004 è stata, senza possibilità di dibattito, l'annata più pazza e al contempo più straordinaria e romantica della storia del calcio contemporaneo: praticamente in ogni competizione di rilievo c'è stata qualche sorpresa. Nella newsletter odierna vi racconteremo, una alla volta, tutte le vittorie più stupefacenti di quella stagione magica e irripetibile, navigando tra Champions League, campionati nazionali, tornei per nazionali, calcio extraeuropeo e persino al di fuori del mondo del football.

La prima volta di Mourinho

Per la prima volta dopo quattro anni, la Champions League adotta il formato a cui siamo ormai abituati - ma che verrà abbandonato nel 2024-'25 - sostituendo dei classici ottavi di finale a eliminazione diretta al posto della, a dir poco ridondante, seconda fase a gironi. Il Porto, guidato da José Mourinho appena quarantenne e illuminato dal talento di un Deco all'apice della propria maturazione calcistica, è una squadra temuta ma certamente non considerata tra le favorite. La brillante vittoria in Coppa UEFA della stagione precedente aveva fatto intravedere i primi succosi frutti della periodizzazione tattica mourinhana e chiunque si rendeva conto che i portoghesi sarebbero stati difficili da battere. Tuttavia, pochissimi avrebbero scommesso su un tale dominio in una competizione che annoverava, tra le 32 delle fasi finali, squadre come il Milan campione in carica e la Juventus vicecampione; lo United di Van Nistelrooy, Giggs e CR7; l'Arsenal degli Invincibili; il Real Madrid dei galacticos e il nuovo Chelsea di Abramovich, ultimo parvenu del calcio europeo.

Il Porto si trova nel Girone F con Real Madrid, Partizan Belgrado e Olympique Marsiglia. Un girone che potrebbe sembrare agile, finché non ci ricordiamo che il Marsiglia aveva come centravanti un ragazzo ivoriano di nome Dider e che sarebbe arrivato in finale di Coppa UEFA. Nonostante qualche difficoltà iniziale - sconfitta con i blancos e pareggio con il Partizan - il Porto passa il girone come seconda, con 11 punti. Agli ottavi incontra subito il Manchester United, che aveva triturato il proprio girone, e a sorpresa lo elimina con un pareggio esterno e un 2-1 al Do Dragão. Dai quarti in poi, però, il calendario è in discesa. Il che non sminuisce in alcun modo la vittoria finale, ovviamente: Fortuna audaces iuvat. Ai quarti si libera in scioltezza del Lione (che comunque schierava Essien, Malouda, Dhorasoo e Juninho Pernambucano) mentre, nelle altre partite, il Milan viene clamorosamente eliminato dal Deportivo La Coruña (ci ricordiamo tutti di quel 4-0 al Riazor, immagino); il Real esce a sorpresa contro il Monaco di Giuly, Rothen e Morientes e l'Arsenal esce per mano del Chelsea. Le semifinali meriterebbero un articolo a sé stante: Porto-Depor e Monaco-Chelsea. Il Porto elimina i galiziani con un 1-0 in casa dopo lo 0-0 dell'andata, mentre il Monaco dopo aver battuto 3-1 il Real Madrid si impone con lo stesso risultato anche sul Chelsea, fermandolo poi sul 2-2 a Stanford Bridge.

La finale si gioca il 26 maggio 2004 all’Arena Auf Schalke di Gelsenkirchen. Il Porto controlla la partita dal primo all'ultimo minuto, mostrando una maggiore esperienza e qualità. Il Monaco, privo del suo capitano e leader Giuly, infortunatosi nei primi minuti, non riesce invece ad imporre il suo gioco offensivo, imbrigliato dagli schemi di Mourinho. Il 3-0 maturato nei novanta minuti è netto, categorico, non lascia spazio ad alcuna speranza per i monegaschi. Il Porto è campione per la seconda volta nella propria storia, Mourinho dà il via alla sua storia d'amore con le coppe europee.

Mourinho, allenatore del Porto, bacia la Champions League appena vinta.

Una fiesta più grande de las fallas

Chiunque in Italia si ricorda - specialmente i milanisti, chiedo venia per la cattiveria - il Liverpool di Rafa Benítez campione d'Europa. Chiunque abbia seguito la Serie A, poi, si ricorda il suo bel Napoli, con cui porta a casa una Coppa Italia e una Supercoppa negli anni di dominio Juventus. Qualcuno avrà anche memoria del Newcastle pre-PIF o dell'esonero al Real nel gennaio 2016. Quando si parla di Don Rafa, però, in pochi ricordano che la sua vera rampa di lancio verso l'élite del calcio mondiale è stato il Valencia del doblete 2003/2004, quando portò a casa in coppia Liga e Coppa UEFA (e Supercoppa Europea). Certo, il Valencia in quegli anni non era propriamente un underdog, non si trattò certo di un miracolo: aveva già giocato due finali di Champions consecutive (entrambe perse) con Héctor Cúper in panchina e vinto la Liga nel 2001-2002 sempre con Rafa. Il doblete del Valencia rimane comunque un fatto straordinario: innanzitutto perché è un unicum nella storia del club e poi perché, da quel fatidico 2004, las Taronjas non hanno più vinto né una Liga né una coppa europea. In più, la vittoria della Liga arrivò con una remuntada di ben otto punti sul Real dei galacticos (che poi arrivò soltanto quarto).

In Liga, dopo un inizio altalenante in cui Valencia e Deportivo La Coruña si alternavano in vetta, il campionato sembra essere già nel taschino di Queiroz, trascinato dai gol di Ronaldo il Fenomeno e dagli assist di Zidane, Beckham, Figo e Guti. Le merengues stanno saldamente in vetta fino a fine marzo, ma da quel momento in poi si sciolgono come neve al sole perdendo ben sette delle ultime otto partite e arrivando appena al quarto posto. Il Valencia, invece, dalla primavera in poi sembra imbattibile (perderà solo le ultime due, a campionato già vinto e con la testa alla finale di Coppa UEFA). Il 4-2-3-1 di Benítez gira alla perfezione, soprattutto in fase difensiva: 17 gol subiti e 20 clean sheets in 38 partite. Colonna centrale della difesa è l'esperto italiano Amedeo Carboni, che a 39 anni comanda il reparto con l'autorevolezza di un vecchio generale. Insieme a lui, Curro Torres, Marchena e soprattutto Fabián "El Ratón" Ayala. A centrocampo, in mediana, inamovibili Vicente e il cattura-palloni Albelda, a fare legna per lasciare più libertà ai fantasisti sulla trequarti: Angulo, Rufete e soprattutto Pablo "El Payaso" Aimar. Davanti, "a fare reparto", Miguel Ángel Ferrer Martínez meglio conosciuto come Mista.

La solidità difensiva sarà marchio di fabbrica anche in Coppa UEFA. Il Valencia subisce infatti appena cinque reti in 13 partite, collezionando una sola sconfitta, quella contro la rivelazione Gençlerbirligi. Il club turco era stato capace di eliminare Blackburn Rovers, Sporting Clube de Portugal e Parma, prima che un gol di Vicente nei supplementari ne arrestasse la corsa al quarto turno. Nei quarti gli iberici superano poi il Bordeaux, prima di avere la meglio nel derby sul Villareal in semifinale grazie a un gol di Mista, l’unico messo a segno complessivamente nel doppio confronto. La finale contro il Marsiglia si risolve al 44', quando Barthez atterra Mista con un fallo che costa rigore e cartellino rosso. 1-0 di Vicente, poi bissato da Mista nel finalePer gli uomini di Rafa Benitez arriva il secondo trofeo della stagione dopo la vittoria della Liga, a cui segue la Supercoppa Europea. L'ultimo di rilievo fino ad oggi.

Bonus: il triplete non va al Valencia perché la Coppa del Re va, totalmente a sorpresa, al Real Saragozza!

Per chi volesse rivivere le emozioni della finale di Copa del Rey 2004 vinta dal Real Saragozza.

I dominanti di Brema

Un portiere che era finito all’Iraklis Salonicco e in bassa segunda división al Murcia, dopo aver vinto il Meisterschale da protagonista con il Kaiserslautern; un terzino destro destro turco-tedesco passato per bidone in entrambe le milanesi; un terzino sinistro italo-canadese e due centrali presi per due spicci dal Partizan e dallo Strasburgo; tre centrocampisti acquistati da Amburgo, Norimberga e Stoccarda; un fantasista arrivato dal Parma; una punta croata che viaggiava su una media di 4 gol a stagione e un brasiliano leggermente sovrappeso. Reinke, Davala, Ismaël, Krstajic, Stalteri, Ernst, Baumann, Lisztes, Micoud, Klasnic, Ailton. Pronti a subentrare, Borowski e Schulz, prodotti del settore giovanile, e Angelos Charisteas, che (spoiler non-spoiler) avrebbe vinto l’Europeo con la Grecia nello stesso anno.

Questo è l'undici titolare con cui il Werder affrontò la Bundesliga 2003-2004 con l'onesta ambizione di una qualificazione in Coppa UEFA. Un'ambizione che, giornata dopo giornata, vittoria dopo vittoria, si trasformava lentamente in consapevolezza di essere una grande squadra, una delle più interessanti del panorama europeo di quell'anno, proponendo un calcio offensivo e verticale con cui ha dominato il campionato praticamente dall'inizio. 23 partite consecutive senza sconfitte, mantenendo saldamente il primo posto da dicembre fino a fine campionato. Una marcia trionfale conclusasi già a due giornate dalla fine, all'Olympiastadion, in faccia al Bayern, ciliegina sulla torta dopo una vittoria per 6-0 nel derby con l'Amburgo la cui leggenda verrà tramandata per generazioni e una Coppa di Germania sollevata contro l'Alemania Aquisgrana, squadra arrivata sesta in Zweite Bundesliga. In semifinale, per rendere il tutto ancora più provincial-nostalgico, c'era anche il Lubecca, che in quella stessa stagione arriverà quindicesimo in Zweite e retrocesso in Regionalliga..

Sempre nel 2004, Ümit Davala ha pubblicato un disco hiphop e girato un video musicale al Weserstadion.

La Magna Grecia

Per Euro 2004, giocato in Portogallo, tutti si aspettavano grandi cose. C’era la Francia campione in carica, che era capitombolata al Mondiale 2002 ma aveva sempre Zidane ed Henry al picco. Il Portogallo padrone di casa schierava Ronaldo, Figo, Rui Costa e mezzo Porto campione d’Europa. La Spagna aveva i grandi di Real e Barça e si avviava per diventare quella che sei anni dopo vincerà il mondiale. L’Inghilterra schierava Owen, Lampard, Gerrard e Beckham e un giovanissimo gioiellino, Wayne Rooney. L’Italia era imbottita di campioni che da lì a due anni avrebbero vinto il Mondiale. La Germania era vice campione del mondo, l’Olanda doveva riscattarsi e la Repubblica Ceca non era mai stata così forte. Anche altre squadre erano interessanti: la Svezia con Ibra, Larsson e Ljungberg su tutte. Tutte fallirono, una dopo l'altra, e a uscirne vincitrice fu una delle due o tre squadre meno quotate del torneo: la Grecia.

La storia di quella nazionale greca cominciò nel 2000, quando per la prima volta nella storia venne assunto un CT straniero, il tedesco Otto Rehhagel, che due anni prima aveva vinto il campionato con il Kaiserslauten neopromosso - fatto mai accaduto prima nella storia della Bundesliga - e in generale aveva una carriera costruita sui successi con squadre modeste e poco quotate: due campionati con il Werder Brema e tre Coppa di Germania, due con il Werder e una con il Fortuna Düsseldorf. Rehhagel era famoso per la sua capacità di costruire gruppi solidi e affiatatissimi, per la disciplina ferrea e per mandare in campo squadre brutte a vedersi ma ostiche, arcigne e con difese solidissime. Il percorso con la Grecia cominciò con qualche difficoltà, come la sconfitta per 5-1 in Finlandia all'esordio, ma dopo poco cominciò a trovare la quadra. Per allentare la pressione sulla squadra, scelse di giocare tutte le partite fuori dagli stadi delle quattro squadre principali - AEK, Olympiakos, Panathinaikos e PAOK - e riuscì ad amalgamare un grande gruppo composto da giocatori di ottimo livello, per gli standard conosciuti dal calcio greco fino a quel momento: Karagounis dell’Inter, Dellas della Roma, Vryzas della Fiorentina, Charisteas del Werder Brema, Dabizas del Leicester e Nikolaidis dell’Atletico Madrid.

Il gioco marcatamente difensivo funzionò alla grande e la Grecia si qualificò come prima, sopra Spagna e Ucraina. Agli Europei capitò subito un girone difficile, con Portogallo, Russia e di nuovo Spagna, ma lo spartito scritto da Otto Rehhagel continuava a suonare perfettamente: vittoria 2-1 con il Portogallo all'esordio, pareggio 0-0 con la Spagna e sconfitta ininfluente 2-1 con la Russia. Poi, il brano si fece ancora più lineare e monotono nella sua perentorietà: ai quarti, 1-0 alla Francia, gol di testa di Charisteas; in semifinale, 1-0 al silver goal alla Repubblica Ceca, Dellas di testa; in finale, 1-0 ai favoritissimi padroni di casa del Portogallo, Charisteas di testa. La Grecia, in quell'Europeo, fu semplicemente una sentenza. Quattro vittorie totali, di cui tre per 1-0. 2 gol fatti e 7 subiti in 6 partite. Il grande, ultimo, capolavoro di Otto Rehhagel e di una rosa di giocatori che né prima né dopo Euro 2004 ha più toccato simili livelli.

Carthago vincenda est!

Il calcio in Tunisia ha sempre avuto un'importanza ed una diffusione notevoli, soprattutto dopo l'ottima figura ai Mondiali del 1978, quando la nazionale allenata da Abdelmajid Chetali ottenne la prima storica vittoria di una formazione africana in un fase finale di un Mondiale (come descritto in un nostro precedente articolo). Da quel momento la rappresentativa tunisina ha faticato a confermarsi a tali livelli, fallendo anche in più di un'occasione la qualificazione alla Coppa d'Africa. Da tale situazione di difficoltà Le aquile di Cartagine riescono a riemergere solo alla fine degli anni '90, quando una nuova generazione di calciatori permette alla squadra nordafricana di arrivare seconda nella Coppa d'Africa del 1996 e di partecipare a tre edizioni consecutive del Mondiale (dal 1998 al 2006). L'apice però viene toccato nel 2004, quando la Tunisia vince per la prima e finora ultima volta la Coppa d'Africa, torneo da essa stessa ospitato. Artefice di tale successo è l'allenatore francese Roger Lemerre, già campione d'Europa con la Francia nel 2000, a oggi unico allenatore ad aver vinto sia un Europeo che una Coppa d'Africa.

Lemerre, in carica dal 2002, conosce perfettamente la rosa a sua disposizione, così come è conscio che l'occasione di vincere davanti al proprio pubblico è davvero invitante. Per farlo si affida ad un gruppo di giocatori di buona esperienza, che nel tempo si sono fatti apprezzare anche in diversi campionati europei: Trabelsi dell'Ajax, Nafti del Racing Santander, Chedli e Da Silva del Sochaux. L'unico vero ostacolo per i tunisini è la Nigeria di Jay-Jay Okocha in semifinale, sconfitta ai rigori. La finale 2-1 contro il Marocco è un trionfo, la festa perdura per giorni e giorni. Curiosamente, finito il rapporto con la Tunisia nel 2008, Lemerre andrà ad allenare proprio la nazionale marocchina, dove le cose andranno decisamente peggio a causa di scarsi risultati e di un pessimo rapporto con la stampa e la federazione.

Giocatori della Tunisia campione d'Africa 2004.

Bonus track: La Libertadores torna in Colombia

Manizales è una città di quattromila abitanti nel mezzo del Eje Cafetero, l’area della Colombia centrale famosa per le piantagioni di caffè, e - secondo Wikipedia - “piena di dirupi e rilievi scoscesi”. Oltre a un centro produttivo del caffè, secondo Pablo Neruda Manizales è più romanticamente una fábrica de atardeceres (“una fabbrica di tramonti”). Per chi ama il calcio sudamericano, però, è soprattutto la casa dell’Once Caldas e di quell’indimenticabile cavalcata in Copa Libertadores nel 2004. In quell’anno i colombiani - che fino a quel momento non avevano nemmeno ancora mai vinto un campionato casalingo - riuscirono nella vittoria da underdog perfetta, un po’ come la Grecia: una vittoria faticosa, sudata, trascinata dalla propria parte con i contrasti e le capocciate su calcio d’angolo, eliminando uno dopo l’altro tutti i favoriti: ai quarti il Santos di Diego e Robinho, in semifinale il San Paolo di Rogério Ceni e Luís Fabiano, e, in finale, il Boca Juniors di Pato Abbondanzieri, Burdisso, Ledesma e Carlos Bianchi in panchina (ma che aveva perso Tévez a dicembre). L’Once Caldas affronta ogni partita con un atteggiamento a dir poco prudente, cercando di fare proprio l’arcinoto insegnamento di Gianni Brera sulla perfezione dello 0-0. Con il Santos finisce 1-1 all’andata 0-1 al ritorno; con il San Paolo 0-0 e 1-2; la finale con il Boca non è diversa, 0-0 a Buenos Aires e 1-1 a Manizales. Si va ai supplementari, che ovviamente si chiudono con un doppio clean sheet, e ai rigori, che in quanto a precisione offensiva non vanno meglio del resto della partita: 0-2 per l’Once Caldas. I montanari colombiani sui cui nessuno avrebbe mai scommesso hanno raggiunto la vetta del Sud America e lo hanno fatto passando per la via più complessa. Gente abituata a “dirupi e rilievi scoscesi”.

Giocatori dell'Once Caldas campioni del Sudamerica nel 2004.

Questo articolo è uscito in anteprima su Catenaccio, la newsletter di Sportellate. Per ricevere Catenaccio gratuitamente o leggere i numeri arretrati, puoi cliccare qui

  • Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce in ritardo per lo scudetto ma in tempo per la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio nel 1998, puntuale per la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua imperterrito a seguire il calcio e a frequentare Marassi su base settimanale. Oggi è interessato agli intrecci tra sport, cultura e società.

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