Abbiamo introdotto lo sport in Costituzione, intervista a Mauro Berruto
Abbiamo parlato con l'ex CT dell'Italvolley, ora Deputato che ha promosso la modifica dell'articolo 33 della Costituzione.
Lo scorso 20 settembre è stato un giorno storico per lo sport italiano: la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità, e in via definitiva, la modifica dell’articolo 33 della Costituzione che introduce il nuovo comma «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell'attività sportiva in tutte le sue forme». È un atto rivoluzionario perché mai fino a questo momento lo sport, i suoi significati e la sua promozione, erano stati riconosciuti come un «valore» dalla Repubblica Italiana.
Dietro ogni rivoluzione, c’è qualcuno che ha iniziato a crederci prima degli altri. E Mauro Berruto, deputato del PD e principale promotore della riforma costituzionale, è un uomo che ci ha creduto tante volte: ci ha creduto quando ha cominciato a fare l’allenatore di pallavolo, partendo da un oratorio torinese ed arrivando a vincere una medaglia olimpica a Londra da tecnico dell’Italvolley. Ci ha creduto quando ha smesso i panni del C.T., all’improvviso, per cambiare vita e diventare CEO di una scuola di narrazione. Ci ha creduto quando ha fatto un ulteriore salto, che l’ha portato in politica: prima come responsabile per le politiche dello sport del Partito Democratico, poi candidandosi e venendo eletto in Parlamento. E ci ha creduto quando, fin dall’inizio del suo mandato, ha provato a lanciarsi in quest’ultima rivoluzione, un’avventura di portata storica: introdurre lo sport in Costituzione.
Negli anni ho avuto più volte il privilegio di interagire con Mauro Berruto, e ogni volta i nostri discorsi sono stati profondi, diversi da quelli che generalmente ho con altri grandissimi allenatori: non si fermavano al campo, uscivano dagli 81 metri quadri del volley e andavano altrove, in un altrove in cui lo sport continuava però ad avere un peso specifico enorme, persino superiore al significato strettamente agonistico.
Per Berruto il vero valore dello sport sta nella sua portata culturale e sociale, e in ogni suo discorso, in tutti i libri che ha scritto, nelle sue scelte di vita e di carriera, ha sempre inseguito l’idea che lo sport potesse rendere questo mondo un posto migliore. Che lo sport, cioè, non possa restare confinato al campo, ma abbia una necessaria valenza politica; che la grammatica dello sport sia non solo funzionale, ma addirittura necessaria ad accrescere la cultura di un popolo nel suo complesso.
Per questo il 20 settembre, quando ho visto l’intervento parlamentare con cui Berruto ha annunciato l’ingresso dello sport nella Costituzione, ho avuto la sensazione di trovarmi davanti alla realizzazione del sogno della sua vita. Lo ha confermato lui stesso, quando verso la fine dell’intervento ha ammesso: «È una vita intera che aspetto di pronunciare questa frase: oggi, nel nostro Paese nasce il diritto allo sport». Per approfondire i risvolti di questo evento di portata storica, ho intervistato proprio Mauro Berruto, che ringrazio per aver concesso a Sportellate la prima intervista dopo l’approvazione della legge.
Mauro, sei passato in pochi anni da un podio Olimpico con la maglia azzurra a cambiare la Costituzione Italiana. Sono successi enormi, ma profondamente diversi: trovi qualche analogia?
In realtà, da quando ho smesso di fare sport ad alto livello mi sono imposto di non ricercare altrove le emozioni dello sport: sia perché non sarebbe corretto cercarne un surrogato altrove, sia perché l’adrenalina che ti dà il campo è un tesoro raro, insostituibile.
Però ammetto che in entrambi i casi, non sarebbe stato possibile ottenere il risultato senza un necessario e grandissimo lavoro di squadra. Essere allenatore di una nazionale o firmatario di una legge è un titolo, ma il percorso lo si fa assieme a chi crede ai progetti e li sostiene, e in questo sono stato decisamente fortunato. E ammetto anche che la notte prima e la notte dopo il 20 settembre non ho dormito: esattamente come mi capitava prima delle gare importanti, esattamente come mi è capitato in occasione della finale per la medaglia olimpica di Londra…
Lo sport come valore universale, al di là di quello che rappresenta sul campo, è sempre stato un tema a te caro. Ma quando è nata l’idea di metterlo al centro di una proposta di modifica costituzionale?
Più che un tema caro direi quasi una ossessione che mi ha sempre accompagnato. Poi la primavera del 2020, con il Covid ed il conseguente momento drammatico del paese ed anche dello sport, con le palestre chiuse e milioni di atleti e sportivi fermi, mi ha dato la spinta decisiva. Ho avuto da subito la fortuna di trovar l’appoggio dell’Associazione Cultura Italiae e dei colleghi di partito, e questo è stato un primo passo: a dire il vero, già dalle prime riunioni al Coni abbiamo notato che la convergenza sul tema era totale, così abbiamo potuto muovere i primi passi ed avviare l’iter che, fortunatamente, non ha subito alcun intoppo, circostanza assai rara in politica. Lo stesso il 20 settembre, quando lo sport è entrato definitivamente in Costituzione.
Riuscire a modificare la Costituzione in Italia è quasi un miracolo…
Fermo restando che la nostra Costituzione è eccezionale, a me piace l’idea di una carta costituzionale viva, che possa essere attualizzata. Proprio questo tema è un esempio: nel 1947, quando la Costituzione è stata promulgata, si lasciò fuori l’attività sportiva per creare discontinuità con un periodo storico in cui lo sport era stato usato a fini propagandistici e divisivi. In questi anni lo sport ha dimostrato di essere il contrario: un valore universale, un veicolo potentissimo di comunità.
E il 20 settembre, finalmente, lo sport è entrato in Costituzione: a chi hai dedicato il primo pensiero dopo una conquista simile?
Certamente, il primo obiettivo era render giustizia a quella sorta di “gigantesco Quarto Stato”, come quello di Pellizza da Volpedo, composto da milioni di volonatari, genitori, dirigenti, mecenati, tecnici, atleti ed amatori che hanno tenuto in vita lo sport in Italia. Se invece devo scegliere uno sportivo iconico, beh penso a Pietro Mennea, profeta della fatica, campione in pista, quattro lauree ed esperto di diritto dello sport. Sono certo che sarebbe felice.
Andiamo nel dettaglio di questo Articolo 33. Il posizionamento non è casuale…
No, ed è un posizionamento bellissimo: è stato scelto l’articolo 33, quello che parla di arte e scienza. In effetti lo sport è proprio arte e scienza, una commistione di bellezza artistica e rigore scientifico. Ma soprattutto il 33 si colloca tra il 32 ed il 34. L’articolo 32 è inerente alla tutela della salute, l’articolo 34 riguarda l’istruzione: l’attività sportiva si colloca idealmente e concretamente tra queste due istanze, provando a farle dialogare, costituendo un ponte necessario tra quei due territori importantissimi che sono salute ed istruzione.
Il comma aggiuntivo recita “La repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. Partiamo dalla fine: cosa intendiamo con promozione del benessere psicofisico?
Prima di tutto, istituire una “cultura del movimento”, che prescinde dal talento, dal genere, dall’età, dall’abilità o disabilità, ma si pone come base per la salute e rappresenta un investimento a livello sanitario nazionale: è scientificamente dimostrato che 1 euro investito in attività fisica costituisca un risparmio dai 4 ai 7 euro al Sistema Sanitario Nazionale. Si consideri che in Italia oggi l’aspettativa di vita è di 83 anni, di cui solo 61 senza cure a carico del SSN: è evidente che questa forbice sia destinata ad aumentare, e che non si possa pensare che le risorse del SSN siano infinite.
Sei stato ospite della prima edizione del nostro “Festival della Cultura Sportiva”, che intende promuovere proprio lo sport nella sua accezione culturale: una parola, “culturale”, che appartiene tanto alla sfera educativa quanto a quella sociale, due ambiti che il comma cita espressamente.
Lo sport è quel luogo dove individui provenienti da diverse etnie, con diversi colori della pelle, con diverse facoltà economiche, dialogano necessariamente, si passano la palla per inseguire un obiettivo. Ammettere l’attività sportiva nella carta costituzionale significa riconoscerne il valore comunitario e sociale. E significa riconoscere che esiste una “grammatica” dello sport, fatta di regole, di educazione alla sconfitta, di educazione civica, persino di educazione all’ambiente, come sa chi pratica sport a cielo aperto, che è necessaria in un’ottica di educazione del cittadino. E se questa grammatica fosse veramente insegnata nelle ore di educazione fisica, quelle ore sarebbero molto più efficaci dell’invio di tante forze di polizia negli stadi.
Tutto questo è meraviglioso da un punto di vista ideale. E’ inevitabile però che, quando un’idea diventa legge, si scontri con la realtà. E allora, dal punto di vista concreto, fattuale, cosa significa questa proposta?
Per rispondere a questa domanda, mi fa piacere farti tre esempi concreti, uno per ogni campo.
In primis, dal punto di vista scolastico ed educativo, mi sento di affermare che non è possibile che l’attività motoria inizi solo con il quarto anno di scuola elementare: andremo a proporre di iniziare già dal primo, se non dalla scuola dell’infanzia. Ci scontreremo con il problema infrastrutturale, perché nel nostro paese oggi il 50% delle scuole non ha una palestra, ma è un passaggio obbligatorio.
In secondo luogo, dal punto di vista sociale, non credo vi siano grandi dubbi sul valore inclusivo dello sport: guardando ai numeri, alla demografia, ci sono 800.000 ragazzi, circa l’11% degli under 18, con background migratorio, che di fatto non vengono considerati italiani. Di loro, 3 su 4 sono nati in Italia e vanno a scuola nel nostro paese, ma non hanno la cittadinanza e non possono sognare di vestire la maglia azzurra. L’obiettivo è che possano cominciare a sognarlo: ottenendo la cittadinanza, e diventando italiani a tutti gli effetti. Lo sport, in questo, può essere un traino decisivo.
E poi torniamo al rapporto tra sport e benessere fisico. Si può intervenire in questo ambito collaborando con il Sistema Sanitario Nazionale?
Sì, questo sarebbe stato il terzo esempio. L’obiettivo è far sì che l’attività sportiva, di qualunque genere e tipo, sia prescrivibile dal medico di base, come una vera e propria medicina: peraltro, questo creerebbe anche un indotto di mercato per le associazioni e strutture sportive, che potrebbero indubbiamente trarne beneficio economico. Ed attenzione, parlo del medico di base, oltre che a quello sportivo, proprio in nome di una cultura del movimento generale promossa da tutto il sistema. Tornando alle premesse, la stella polare è che lo sport influisca non tanto sull’allungare l’aspettativa di vita, ma sul migliorarne la qualità, soprattutto nella sua ultima parte.
Una sfida affascinante, ma del resto tu sei abituato alle sfide, su diversi terreni, da molto tempo. Come è stato questo passaggio dal campo alla politica?
È difficile rispondere, perché nello sport ci sono stato più di 20 anni, e nella politica solo 11 mesi. Per quel che ho visto, ho incontrato tendenzialmente due fenotipi di politici: da un lato, i pesci nati pesci, che quindi hanno l’acqua come unica esperienza. Dall’altro, tutti quelli che, come me, prima di una carriera politica, hanno vissuto altre esperienze: ecco, per me, come per tutti loro, la grande diversità sta nel non ritrovare nella politica quel meccanismo di feedback rapido rispetto al proprio lavoro che si ha fuori dalla politica.
Nello sport poi questo rilascio di feedback è esasperatamente rapido: ci si allena, ed alla partita della domenica si riceve un feedback sul lavoro svolto, si capisce se si è lavorato bene ed abbastanza, si vince o si perde (nel mio caso, nel volley, manco si pareggiava). Questa legge non ha subito intoppi nel percorso, ma ci sono molte altre proposte a cui ho lavorato, ma quel meccanismo di feedback non lo posso ritrovare. Ecco, diciamo che far dialogare quei due mondi, quello dei pesci nati pesci e quello di chi si è tuffato in mare in un secondo momento, non è una passeggiata…
Come ti sei approcciato ad un mondo così nuovo e diverso?
Come si fa nello sport, mettendo a disposizione della mia nuova “squadra” le mie competenze e lasciando spazio ai più esperti di me sui temi in cui competenze non ne avevo. Ho detto da subito che sui temi non di mia competenza mi sarei fidato di chi ne sapeva più di me e avrei tentato di non fare errori, ma che su quelli di mia competenza avrei voluto essere un riferimento.
A molte persone non capita di vincere una medaglia olimpica e nemmeno di firmare un articolo della Costituzione Italiana. A te è capitato di far entrambe le cose, in un lasso di tempo piuttosto breve. Cosa vuole fare Mauro Berruto, ancora?
In tutto ciò che ho fatto, ho cercato di fare del mio meglio ma anche di chiudere le porte che mi lasciavo alle spalle, per poter esplorare appieno le nuove opportunità: dopo aver terminato la mia avventura da CT della nazionale italiana di volley, ho aperto un nuovo capitolo da CEO della Scuola Holden (la celebre scuola di narrazione ideata da Alessandro Baricco, ndr) buttandomi in un’avventura totalmente nuova, e la stessa cosa è poi avvenuta da DT delle nazionali di tiro con l’arco.
Ogni esperienza sembrava sconnessa dalle precedenti, ma in realtà è stata un passaggio in cui ho provato a “reinventarmi” facendo tesoro di quanto imparato nel percorso. Oggi non riesco a guardare troppo avanti: sono “immerso” in questa nuova avventura e provo a fare del mio meglio: intanto, era una vita intera che aspettavo di pronunciare le parole del 20 settembre, giorno in cui è nato il “diritto allo sport”.
Come in ogni Rivoluzione, sarà necessario un tempo di gestazione: ci sarà una Riforma, ci saranno polemiche. Si sente già chi inopinatamente rumoreggia sul valore più retorico che pratico della riforma. L’attuazione del nuovo comma dell’art. 33 sarà laboriosa, ed è normale che lo sia. Nei fatti, possiamo solo aspettare e vedere cosa succederà, considerando anche le condizioni di partenza, che vedono l’attività sportiva sopravvivere tra mille difficoltà grazie al volontariato di quel Quarto Stato in tuta e pantaloncini, che ora però ha un comma in costituzione da cui ripartire.
Quello che è certo, è che tra il dire e il fare non c’è il mare, ma il cominciare: e per farlo, per cominciare cioè, ci voleva un fuoriclasse, che trovasse il coraggio di passare dal taraflex allo scranno parlamentare per segnare un punto storico per lo sport nel nostro paese. E soprattutto, che ci credesse così tanto, dall’inizio. Ci voleva, insomma, una persona come Mauro Berruto.
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