Perché la Ducati va così forte?
Grazie al lavoro di Gigi Dall'Igna, la rossa è ormai un'avanguardia dell'aerodinamica.
Le classifiche mondiali parlano chiaro: in MotoGP, da un paio d’anni, c’è un assoluto dominio rosso. Tra i piloti, oggi, i primi tre guidano una Ducati; addirittura, il numero sale a sei tra i primi dieci. Nei costruttori il dominio sembra ancora più evidente: comanda Pramac, seguita da Mooney VR46 e Factory ufficiale. Tutti, ovviamente, motorizzati Ducati. Eppure i concorrenti non sono certo di primo pelo. Se Aprilia e KTM si sono affacciate da poco nel panorama della MotoGP, Honda e Yamaha hanno, da sempre, dominato. E allora perché la Ducati va così più forte degli altri?
Il successo della Ducati è una sostanziale novità: ci sono voluti 20 anni e diversi piloti - Rossi, Dovizioso, Lorenzo e Iannone - per rendere il brutto anatroccolo “guidabile solo da Stoner” un cigno. E il merito è, soprattutto, del genio di Luigi (detto Gigi) Dall’Igna. L'ingegnere, classe '66, si è costruito la sua fama con fatica, arrivando in Ducati nel 2014 per seguire lo sviluppo della Ducati Desmosedici. Dall'Igna ci ha messo sei anni per portare la Ducati al primo titolo costruttori dopo Stoner ma, da allora, ne ha impiegati appena due per vincere il secondo e il terzo, infilandoci anche il titolo piloti di Pecco Bagnaia nel 2022. Eppure, l'impatto maggiore del lavoro di Dall'Igna sembra più l'aura di imbattibilità che la Ducati si è costruita, con la consapevolezza di avere in pista la miglior moto, nonché quella destinata a dominare il prossimo lustro di motociclismo.
Il lavoro di Dall'Igna, però, aveva già mostrato i suoi frutti in passato: prima di entrare in Ducati, si era fatto le ossa in Aprilia, da project leader della RSV4, contribuendo ai 4 titoli costruttori e ai 3 titoli piloti in SuperBike con Max Biaggi e Sylvain Guintoli. Insomma, Dall'Igna è un visionario; un cowboy capace di domare più di 250 cavalli, prima di lui imbizzarriti.
Nel farlo si è appoggiato soprattutto al lavoro sull'aerodinamica, Inizialmente attraverso gli studi in galleria del vento. Tutte le appendici presenti oggi sulle MotoGP, infatti, sono di introduzione Ducati. Se, infatti, negli anni passati l’esubero di potenza generato dal motore 1000 cc rappresentava quasi un handicap, oggi, grazie ai numerosi accorgimenti aerodinamici, è indubbiamente il punto di forza della motocicletta di Borgo Panigale. Le prime apparizioni nel 2017 sulle moto di Lorenzo e Dovizioso: quei “baffi” attaccati al muso, inizialmente poco efficaci ma soprattutto molto poco estetici.
Si è passati poi, attraverso le alette posteriori “Pokemon” di Bastianini, allo spoiler che “permetteva solo di raffreddare la gomma, non offrendo alcun vantaggio in termini di downforce”. Tutte queste soluzioni hanno sempre viaggiato all’interno dei meandri oscuri del regolamento, generando una buona dose di frustrazione negli ingegneri delle case rivali. In un certo senso, la GP22 - poi evolutasi nel modello 2023 -, rappresenta un capolavoro di tecnica che accontenta tutti: dal pilota più prepotente in frenata (pensiamo a Bagnaia), a quello più dolce e geometrico (Bezzecchi). E il segreto dietro la versatilità di questa moto sta proprio nei feedback dei propri piloti: in Ducati, il campione e il gregario contribuiscono in egual maniera a migliorare le performance della moto. Lo sa bene Dall’Igna, che coccola quotidianamente ognuno dei suoi piloti: “Vorrei che avessero tutti le soddisfazioni che meritano ma purtroppo solo uno diventa campione”.
La Ducati mantiene quindi un approccio totalmente opposto a quello delle case giapponesi, colpevoli, secondo Dall'Igna, di aver dato retta solamente ai campioni: "Il loro errore strategico (di Honda e Yamaha ndr) è stato quello di seguire un solo pilota, di basare lo sviluppo delle proprie moto sui risultati e sulle sensazioni del protagonista di ogni marca, quindi Fabio Quartararo per la Yamaha e Marc Marquez per la Honda. Spesso quello che ti dice il pilota di punta, il campione, non è la verità perché il suo talento copre i problemi di cui soffre la moto. Paradossalmente, per sviluppare bene un progetto bisogna stare ad ascoltare tutte le voci, tutti i piloti".
Ed è proprio da un ex pilota snobbato che arriva l’indiscrezione tecnica più interessante dell’ultimo periodo. Secondo quanto dichiarato da Daniel Pedrosa al ramo spagnolo di DAZN, infatti, la Ducati “nasconderebbe” un sistema in grado di far rimanere attaccato il posteriore al suolo. Questo limiterebbe gli wheelie - le impennate della ruota posteriore - all’ingresso in curva, garantendo maggior trazione e stabilità in percorrenza. “Quel rimbalzo che ha la ruota della Ducati, non so se siete riusciti a vederlo, ma io l'ho visto bene quando l'ho seguita a Misano. È molto strano, non è naturale quel rimbalzo. Devono aver fatto qualcosa che non abbiamo analizzato a fondo. Forse è quella cosa che hanno sul posteriore, sul codone [la "scatola" sotto al codone della Desmosedici GP, ndr]. Sembra che quando la ruota tende a sollevarsi ci sia qualcosa che aiuta a mantenere il contatto con il terreno, perché fa un paio di rimbalzi strani, che non sono naturali", ha spiegato.
Pedrosa è un fine osservatore, non c’è che dire. E questo suo talento da sviluppatore è stato alimentato dagli ultimi mesi da test pilot per KTM, che, tra l'altro, è risorta soprattutto proprio grazie alla sua meticolosità. Questo sistema, sembrerebbe completamente meccanico, non avendo nessun componente idraulico controllato da centraline esterne ed essendo, quindi, perfettamente compatibile con quanto previsto dall’attuale regolamento della MotoGP. Ducati, inoltre, non sarebbe nuova ad introduzioni tecniche di questo tipo.
Già tre anni fa, grazie all’occhio attento di Alex Rins, si “scoprì” l’abbassatore, all’epoca installato sulla Pramac di Jack Miller. Il sistema permetteva di mantenere la ruota anteriore più vicina all’asfalto, riducendo le possibilità che la moto si potesse impennare allo spegnimento dei semafori. Un sistema relativamente semplice che, abbassando il mono ammortizzatore posteriore, abbassa il centro di gravità della moto, dando più grip alla ruota posteriore. Inoltre, una specie di gancio comprime la forcella, evitando la classica impennata in accelerazione.
Inizialmente non fu dato troppo peso alle parole dell’allora pilota Suzuki, poi però furono tutti costretti ad adeguarsi allo sviluppo, visto che il vantaggio Ducati continuava, inesorabilmente, a crescere e oggi tutte le MotoGP in griglia montano l’abbassatore, diventato ormai strumento imprescindibile. Ora però è Pedrosa a far drizzare le antenne. Quello del Camomillo è un parere autorevolissimo che, sicuramente, gli uomini di Honda, Yamaha, KTM ed Aprilia non avranno ignorato, anche perché adeguarsi alle modifiche di Ducati è più che mai fondamentale, anche avendo la consapevolezza di essere già indietro sul prossimo aggiornamento.
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