Il Lipsia è un'esperienza
Anche in un pomeriggio faticoso a Mönchengladbach, talenti come Simons meritano di essere ammirati.
"Erasmus" è la rubrica del lunedì in cui vi raccontiamo una partita interessante dal weekend di calcio internazionale. Potete recuperare gli episodi precedenti qui.
Azzardare quanto Mönchengladbach sia una città di calcio e da calcio è ai limiti dell'offensivo. Al confine con l'Olanda, schiacciata nel Nordreno-Vestfalia da altre potenze industriali come Colonia, Düsseldorf, Gelsenkirchen e tutte le altre formiche operaie dell'alveare Ruhr, quello rimane. Il pallone.
Persino il nome della città stessa non c'è più: il Gladbach, ruscello sulle rive del quale venne fondata l'abbazia attorno cui si sviluppò il primo centro urbano, scorre sotto il terreno da diversi secoli; nel 1888 si pensò addirittura a una nuova denominazione, München-Gladbach, per distinguerla dalla vicina Bergisch Gladbach, come se non si volesse appropriarsi dell'identità altrui; nel 1929 si cambia di nuovo, per il timore che si pensasse che Gladbach fosse considerato un distretto di Monaco di Baviera (in linea d'aria sono 563 km ma vai a sapere i miracoli della cartografia), e diventa Gladbach-Rheydt, in nome di un'ipotetica unione delle due città; solo nel 1960 la città, gemellata con Roubaix, assume il nome attuale, odiato dai telecronisti del globo terracqueo per l'arzigogolato incastro di nasali e velari.
Cosa può rimanere a un posto come questo, quindi, se non la cosa più facile da avere ovunque? Il pallone, che al Borussia ha regalato anni '70 di dominio nazionale ed europeo e una tradizione in continuo rinnovamento.
Azzardare quanto Lipsia sia una città di calcio e da calcio è complicato. A Lipsia, più precisamente al Zum Mariengarten di Karlstraße 10, nel 1900 si è tenuta la riunione fondativa della Federazione calcistica tedesca. A Lipsia il calcio tedesco ci è nato, quindi, ma non ci è praticamente mai cresciuto, come un bambino che trasloca dopo il trasferimento per lavoro del genitore. Il VfB Leipzig, poi rinominato Lokomotive Leipzig nel secondo dopoguerra, vince il primo campionato nazionale e un altro paio nel decennio successivo, ma sino al 2023 raggiungerà al massimo una finale di Coppa delle Coppe prima di dichiarare bancarotta e ripartire dai dilettanti. La seconda squadra cittadina, il Chemie, è fallita nel 2011 tra cambi di nome post riunificazione e una serie di retrocessioni disastrose.
Lipsia è persino passata dall'essere sede dello stadio più capiente della Germania, un Zentralstadion da oltre 100.000 posti chiamato così proprio per l'edificazione ove tutto ebbe inizio, all'averne ricostruito uno in tono minore dopo che la Germania è tornata a essere una e una sola e ormai non aveva senso continuare a non visitare una cattedrale nel deserto. Nel 2004 viene ricostruito un Zentralstadion molto più piccolo, comunque sottoutilizzato per almeno un lustro ad eccezione di Serbia e Montenegro-Olanda, Iran-Angola, Francia-Corea del Sud, Spagna-Ucraina e Argentina-Messico del Mondiale 2006. Oggi il Zentralstadion non esiste più, o almeno non con quel nome. Come Gladbach, München-Gladbach, Gladbach-Rheydt o Mönchengladbach. Al Borussia-Park, dopo l'austriaco Hütter e Daniel Farke, la società di Rolf Königs ha completato il valico della triplice frontiera del lago di Costanza, affidando la rosa dei Puledri allo svizzero Gerardo Seoane.
Una città che ha solo quello e un'altra che, almeno sino al 2009, faceva finta di non averlo mai avuto. Poi sono arrivati Dietrich Mateschitz, una multinazionale austriaca che non può comparire ufficialmente negli annali per via dei regolamenti tedeschi ed ecco che il RasenBallsport ha rapidamente riportato Lipsia a dare del tu alle grandi del calcio tedesco, iniziando a sottrarre coppe nazionali e Supercoppe ai Bayern o Dortmund del caso. Un'entrata in scena dirompente e contestata, ma che per mantenere i protagonisti sul palco necessita di chi conosce il dietro le quinte come le sue tasche.
Nel settembre 2022 si è arrivati al fatidico compromesso tra una realtà che ha bisogno di scavare a fondo per trovare le radici col proprio terreno e uno dei pochi semi coltivati in passato e, germogliati altrove, tornati a respirare l'aria di casa. L'altrove di Marco Rose non è banale né casuale: difensore del Lokomotive di fine anni '90, tra gli inizi da mister a Salisburgo e una separazione burrascosa con la Dortmund giallonera, è proprio col Borussia Mönchengladbach che ha saputo imporsi come allenatore d'impatto internazionale.
Si era parlato in estate di un possibile approdo di Seoane a Bergamo in caso di mancato rinnovo di Gasperini sulla panchina dell'Atalanta, e la partita del Borussia-Park pare un manifesto di devozione all'aggressività e fisicità senza palla: il terrore di prestare il fianco alle transizioni dei Roten Bullen impedisce tassativamente ai braccetti di Seoane, Elvedi a destra e Wöber a sinistra, di superare palla al piede la linea di metà campo per non sbilanciare il lato debole in caso di palla persa e mantenere un costante 3vs2 in ultima linea con gli attaccanti di Rose, con Itakura a dirigere la presa in consegna di Openda e Šeško tra sé e i due angeli custodi.
I due non riescono mai a ricevere fronte alla porta, con un difensore a tentare l'anticipo e un secondo pronto a coprire eventuali scalate errate. Quella di Seoane, almeno per la prima mezz'ora, è una masterclass difensiva: le marcature a uomo coi centrocampisti centrali del Lipsia sono fisse non tanto negli accoppiamenti quanto nella ricerca della pressione il più vicino alla porta degli ospiti possibile, sino addirittura a sganciare uno tra Koné, Rietz e Weigl fino all'area di rigore di Blaswich per costringerlo a liberarsi del pallone verso uno dei due difensori centrali.
Il pressing del Borussia è pesante. Persino Rocco Reitz, una mezzala offensiva di 176 cm e una struttura atletica ancora tutta da costruire, mantiene un livello aerobico di primissimo livello. Si muove come un veterano da 300 partite in Bundes, come uno di quei vecchi talenti romantici alla Isco o alla Rakitic per cui ogni sforzo fisico sembra valere doppio per la stanchezza e gli ossequi che comunica, per cui ogni scatto o chiusura del triangolo pare l'ultima cosa che il suo corpo sia disposto a fare su un campo da calcio.
La proposta offensiva, di conseguenza, non può essere altrettanto ricca: le occasioni maggiori arrivano da calcio piazzato, dove il mismatch fisico di buona parte degli XI di Seoane (Elvedi-Itakura-Wöber, Scally-Netz sulle fasce e il rientrante Koné in mezzo, Jordan e l'esordiente Honorat davanti) contro i dirimpettai sassoni ha un peso specifico maggiore, ma contro una formazione di maggiore qualità da qualche parte bisogna pure pagare dazio.
Senza un centrale difensivo così abile nel tagliare le linee di pressione come Gvardiol, il Lipsia di Rose si trova ad annaspare come nessuna squadra lo aveva costretto a fare da fine agosto a questa parte. I Weiss-Rot le provano tutte: costruzione 2+4, 4+2, 3+4 con Simons a dare ampiezza a destra e Fabio Carvalho a mandare inutilmente segnali di fumo alle spalle del primo pressing dei bianchi. Quando, attorno al 30', l'assatanata pressione del Mönchengladbach scala dalla sesta alla quinta, Rose prova a mescolare ulteriormente le carte. Xavi Simons e Carvalho si invertono di posizione, ma entrambi rimangono divorati dalle fauci dell'imbuto dove il Borussia concede loro di ricevere. Non è un caso che l'unica occasione della prima frazione non arrivi grazie alla giocata di un attaccante, ma dall'inaspettato e francamente azzardato movimento senza palla dell'uomo meno indicato a farlo.
Trasformando il tempo del pentagramma del pressing da Vivacissimo ad Andante Moderato, le lacune strutturali del Borussia vengono a galla. A destra la situazione si mantiene sostenibile: Koné persevera nello scivolare verso Henrichs sullo scarico, lasciando Netz e Wöber a seguire la sovrapposizione interna per l'eventuale chiusura del triangolo con una decina di metri di vantaggio in partenza.
Nel primo spartito capitan Weigl può muoversi esclusivamente in verticale nella fascia centrale di campo, abbassandosi in costruzione e preoccupandosi di difendere esclusivamente in avanti, con le spalle coperte dal pendolo di Koné e Reitz; nel secondo, con note e battute simili a quelle di una canonica difesa posizionale, sulla catena di sinistra del Lipsia ecco crearsi l'unico duello chiaramente favorevole da un punto di vista dinamico per l'RBL, ossia l'uscita della mezzala sul terzino e non dell'esterno, con tutto ciò che passa dai 184 cm x 80 kg di Scally ai 176 cm x 75 kg di Reitz.
La squadra di Rose si scopre molto più a suo agio ad attaccare in campo corto, fiondandosi con Simons e/o Carvalho nello spazio ora sguarnito di fronte ai braccetti di Seoane. Lo segue Weigl con uno scivolamento orizzontale? Lo tampona Scally con una sorta di Help&Recover di stampo cestistico? Lo cura Elvedi, liberando anche solo una dozzina di metri alle spalle che basterebbero a Openda e Šeško per far fiorire il proprio talento come il bulbo di un tulipano in primavera?
Il primo aggiustamento da parte delle panchine è opera dei Fohlen e non cambia la lingua dominante della coppia offensiva: da Siebatcheu e Honorat a Pléa e Ngoumou. Sfruttare meglio le ripartenze, con le qualità di passatore sul lungo dell'ex compagno di Marcus Thuram e la pera di energia in campo aperto dell'ex Tolosa, o rinvigorire la linfa della pressione, chiedendo un ulteriore sforzo alle ultime due linee grazie al rinnovato stimolo di due riferimenti avanzati disposti a far sudare ogni centimetro in conduzione a Lukeba e Simakan?
Si potrebbe concludere il viaggio nell'ovest della Germania ripensando a un Lipsia per la prima volta in stagione poco brillante sin dal calcio d'inizio, forse per l'assenza di Dani Olmo e forse per la trasferta di Berna di Champions che ha appesantito la settimana. Lo si potrebbe fare, se si è abituati a guardare il bicchiere mezzo pieno, elogiando un Borussia Mönchengladbach encomiabile senza palla, salutato il gremito Borussia-Park con la lingua a penzoloni ma con la consapevolezza di aver dato fondo a tutte le energie a disposizione. A una ventina di minuti dal triplice fischio di Robert Schröder, però, succede una cosa. Una di quelle che mettono in secondo piano tutto, anche le più analitiche, oggettive e fredde considerazioni su chi abbia giocato effettivamente bene e chi realmente peggio.
Quando si diceva che fosse come "se avesse un visore sottopelle che gli permetteva di guardare attraverso i corpi e riconoscere gli anditi in cui trasmettere il pallone" ci si riferiva a un Xavi Simons 15enne, l'ultima età forse dove anche quelli che saranno buoni giocatori professionisti fanno in tempo ad apparire talenti fuori categoria. I primi 74' di Borussia Mönchengladbach-RB Leipzig hanno effettivamente mostrato un Xavi Simons che ne deve mangiare ancora di pastasciutta per vedersi già riconosciuta la statura dei califfi del calcio europeo.
Ogni briciola di talento è stata aspirata dalla famelica voracità di Netz e Scally, ogni linea di passaggio in orizzontale non ha fatto altro che infilare sabbia nei suoi ingranaggi. Magari non è oggi un campione, ma Xavi Simons lo ha fatto, il campione. Ha sublimato una delle poche azioni da "vecchio" Lipsia della gara, tutto pressione petulante e verticalità affilata, con tre tocchi appena. Controllo orientato ad amplificare la riapertura da palla recuperata. Lieve conduzione per aspettare esattamente quel tempo e quello spazio di inserimento di Werner.
Come in un videogioco, quando però si ha il tempo di di mettere in pausa, avvicinarsi allo schermo e dosare la pressione del pollice sul tasto del filtrante basso. Allora il viaggio si conclude comunque, ma invece di sentenze sorgono domande. Simons ha visto prima il passaggio per Werner? Ha scommesso sul movimento del compagno? Si è accorto esattamente in quell'istante e ha avuto il tempo di reazione di Jacobs allo sparo dello starter? Sarà davvero così importante dare una risposta o è sufficiente serrare la mascella e riportare il viso ai suoi canonici connotati dopo essere rimasti a bocca aperta?
Extra time
(Tutto quello che non si è visto ma che non è passato inosservato)
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