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Vanessa Pereira con la maglia della nazionale brasiliana di calcio a 5 femminile
, 21 Settembre 2023
11 minuti

Un Pallone d'Oro a Molfetta: intervista a Vanessa Pereira


Una delle migliori giocatrici al mondo di futsal è tornata in Italia in un momento particolare per il calcio femminile.

Chiunque abbia incrociato - anche solo marginalmente - il calcio nella sua vita, sa che il più importante premio individuale che possa essere assegnato a un calciatore o a una calciatrice è il Pallone d'Oro. Vincerlo significa entrare per sempre nei libri di storia e potersi fregiare del titolo di "migliore del mondo". Anche nel calcio a 5 esiste un premio analogo, che viene assegnato al miglior giocatore e alla miglior giocatrice al mondo durante l'annuale cerimonia dei Futsal Awards. Questo premio, Vanessa Pereira lo ha vinto per tre volte - oltretutto consecutive - tra il 2010 e il 2012. Per fare un paragone, tre sono i Palloni d'Oro vinti da Van Basten, Cruyff e Platini.

Classe 1988, la calciatrice brasiliana ha scelto la Serie A e Molfetta come nuova tappa di una carriera che l'ha vista vestire, tra le altre, la maglia di Lazio, Ternana e Pescara, oltre ad averle portato grandi soddisfazioni a livello personale e di squadra. Con Vanessa abbiamo parlato dei suoi inizi nel calcio a 5, dei cambiamenti che ha visto accadere nello sport nel corso della sua carriera e delle prospettive per la stagione che sta per iniziare, ma abbiamo anche discusso delle battaglie che le calciatrici stanno portando avanti in questo periodo storico, delle difficoltà che il calcio femminile deve affrontare e del fatto che non esista un Mondiale femminile di calcio a 5 organizzato dalla FIFA.

Partiamo dall’inizio: com’è successo che hai iniziato a giocare a calcio a 5? È una scelta meno comune rispetto al calcio a 11.

Con il calcio a 5 ho iniziato quando avevo 5 anni. Io ho vissuto per 14 anni dentro una scuola [perché i suoi genitori lavoravano lì, ndr] e i miei non avevano i soldi per portarmi all’asilo, quindi mentre lavoravano, e le mie sorelle andavano a scuola, mi portavano con sé per tenermi d’occhio. Quando c’era educazione fisica, secondo loro io guardavo sempre il calcio a 5, non guardavo mai la pallavolo. C'era un muretto dove mi sedevo: dietro di me giocavano a pallavolo e a basket, davanti a calcio a 5 e a pallamano. Io guardavo sempre solo il calcio a 5, quindi credo che Dio volesse questo per me, che giocassi a calcio a 5. Io ho iniziato lì, un amico mi insegnava pure a tirare, a passare la palla, a fare i dribbling. Poi mio padre ha iniziato ad aiutare il maestro di educazione fisica a insegnare calcio a 5 ai bambini, perché lui è un appassionato, e quindi ho iniziato con loro, con la squadra maschile perché non c’era il femminile. Quando avevo 10 anni, mio padre e un altro professore hanno chiesto di inserire anche il calcio a 5 femminile nei tornei che si giocavano tra le scuole e da lì abbiamo iniziato, sono uscite tantissime ragazze che volevano giocare. Poi quando avevo 12 anni ho avuto la prima esperienza in una scuola di calcio a 5 femminile e abbiamo iniziato a giocare nella regione della mia città: da lì la mia vita è cambiata. Sono uscita di casa nel 2004 per giocare a Governador Valadares, nella stessa regione ma a 12 ore di pullman da casa mia. Sono rimasta lì un mese e ho detto no, non riesco a stare lontana dai miei, devo tornare, non voglio questa vita. Quindi sono tornata a casa e ci sono rimasta tre giorni, ho visto mia madre, mio padre e le mie sorelle andare a lavorare. Lì ho detto: “Tornerò, anche se è difficile tornerò e cercherò di costruire una vita migliore per me e per voi”. E da lì è cambiato tutto. Nel 2005 ho vinto la prima competizione a livello nazionale, la Coppa del Brasile under 17, e molte squadre mi hanno visto e hanno iniziato a cercarmi.

Tu hai, appunto, iniziato in Brasile, poi hai giocato in Spagna e infine in Italia. In quale dei tre paesi in cui hai giocato il calcio a 5 è vissuto con più passione? Nel corso della tua carriera hai visto aumentare l’attenzione per questo sport, la quantità di gente che vi viene a vedere?

Io ho visto un po' di queste cose in tutti i paesi in cui sono andata. In Brasile lo si vive con più passione perché, scusatemi per quello che sto per dire, ma il pallone per me è nato in Brasile. Vedi tanti giocatori e tante giocatrici. Lì si gioca principalmente per passione, perché non guadagniamo così tanto, è diverso da qua. In più in Brasile i campionati non hanno una regolarità, non sappiamo quello che dovremo giocare. Inizia la stagione e bisogna capire quando sarà questa, quella e quell’altra competizione. È diverso da Spagna e Italia. In Italia lo sport sta diventando professionistico e in Spagna lo è già da anni. In Brasile lo si vive con più passione, con amore. C’è passione anche in Italia e in Spagna, ma qui è visto più come un lavoro che ci fa mettere un po’ di soldi da parte. Non a tutte, perché non tutte guadagnano grandi cifre, però ci si riesce a vivere e si sa quello che si gioca durante tutta la stagione.

Hai nominato ora il professionismo. Nel calcio a 11 è stato un grande argomento di conversazione negli ultimi anni, come anche la parità salariale tra nazionale maschile e femminile, le tutele per le calciatrici e diversi altre cose. Volevo sapere se sono temi molto sentiti anche nel calcio a 5 e se vi sentite rappresentate dalle lotte che stanno portando avanti le vostre colleghe del calcio a 11, che hanno una maggiore visibilità.

Adesso sì, perché quando si parla del calcio a 5, del calcio a 11 o del mondo femminile siamo tutte insieme. Prima era il calcio a 5 ad essere più diffuso [tra le donne, ndr], anche se non passava in TV, anche se non ne parlavano tanto. C’erano più giocatrici nel calcio a 5. Dopo che il calcio a 11 è andato in TV, si gioca una Champions, si giocano degli Europei, eccetera, ha guadagnato un po’ di visibilità in più rispetto a prima. Nel mondo del calcio a 5 è uguale. Le ragazze della nazionale spagnola [di calcio a 5, ndr], hanno creato un movimento che ha richiamato l'attenzione della UEFA e adesso loro hanno un Europeo da giocare. E questo non solo dalle altre giocatrici di calcio a 5, le giocatrici del calcio a 11 ci parlano, ci guardano, ci seguono e quindi è un mondo che si unisce per diffondere di più la nostra voce. Quindi io mi sento coinvolta dal mondo del calcio a 11 per queste cose, perché loro hanno vissuto dei momenti brutti come noi e quindi sanno quello che proviamo ogni giorno per capire dove andremo, cosa succederà, se ci saranno o non ci saranno i soldi, le competizioni, le nazionali che devono pagare le stesse cifre. Fai la stessa cosa, perché sono gli stessi giorni, lo stesso lavoro, quindi devono pagarci uguale, capito? È quello che ha fatto la nazionale americana. Le ragazze [della nazionale USA, ndr] hanno cambiato tutto, la Spagna adesso cambierà qualcosa con tutto quello che è successo, però sembra sempre che noi donne dobbiamo fare di più, avere quel qualcosa in più, quindi è per questo che ci siamo unite tra di noi per parlarci e aiutarci.

Approfitto per collegarmi ad un altro discorso: al momento non esiste ancora un Mondiale FIFA di calcio a 5 femminile. Ci sarà prossimamente, ma per ora non è ancora stato ufficialmente creato. È un passo importante secondo te? E perché, secondo te, non c'era stata alcuna attenzione da parte della FIFA?

Principalmente perché siamo una moneta di scambio, è questa situazione tra Comitato Olimpico e FIFA che non fa accadere il Mondiale femminile. Le ragazze che giocano nella nazionale spagnola, e anche le straniere che giocano in Spagna, hanno creato un movimento che ha richiamato l'attenzione della FIFA e quindi la FIFA ha provato a creare questo Mondiale. Però ancora non si sa quando, dicono 2024, dicono 2025, però non abbiamo la certezza, non è sicuro al 100% che succederà. Però io credo che possa succedere, perché non ci sarà il calcio a 5 alle Olimpiadi e quando hanno provato in Brasile c'era solo la maschile. Dobbiamo cambiare questa idea di essere una moneta di scambio tra queste due federazioni, non può essere così. Io spero veramente che organizzino questo Mondiale, però è un processo un po' lento, è un po' “pericoloso”, perché non possiamo creare, non un casino, ma un movimento per farci guardare da loro. Io lo dico sempre, siamo uguali ai maschi, quindi perché loro hanno dei Mondiali e noi no?

Vanessa con la maglia della nazionale femminile brasiliana di calcio a 5
Vanessa ha vinto tantissimo anche con la sua nazionale, il Brasile. (Foto: Femminile Molfetta)
Passiamo invece al campionato italiano. Tu hai giocato diversi anni in Italia: il campionato italiano a che punto è? Sta crescendo come livello? Intendo sia per quanto riguarda il gioco in sé, sia per quanto riguarda le strutture e l’organizzazione.

Io sono andata via da qua [dall’Italia, ndr] tre anni fa, sono tornata adesso e ho visto tutto quello che ha fatto il Bitonto, riempiendo un palazzetto in quel modo, portando in squadra delle giocatrici con nomi così importanti e assumendosi la responsabilità di pagare e di portare avanti la società, cosa che non è successa con tutte le altre. Però io ho visto e sto vedendo adesso che sono cambiate tante cose, ci sono più responsabilità perché lo sport è diventato professionistico, quindi le società devono essere un po' più responsabili in quello che fanno, in più noi giocatrici sappiamo che dobbiamo venire qui, fare una bella figura, fare del nostro meglio e credo che le società lo stiano facendo. Inoltre, il campionato è migliorato tantissimo, io sono tornata adesso e ho visto delle giocatrici italiane che non avevo mai visto prima. Si vede la passione, l'amore per questo sport, quindi stanno capendo un po' meglio il calcio a 5 e facendo meglio quello che facevano prima.

Ricollegandoci invece alla questione del professionismo, nel calcio a 11 tante ragazze, soprattutto sotto la Serie A ma non solo, frequentano l’università, o addirittura hanno un lavoro oltre al calcio. Nel calcio 5 com'è la situazione da questo punto di vista?

È uguale, in primis perché sappiamo che il calcio 5 non ci darà delle cifre per vivere solo di quello. Io ora ci vivo, però lo so che questo tra un po' cambierà, quindi mi sono pure laureata in fisioterapia recentemente. In Brasile le giocatrici cercano società che gli diano la possibilità di frequentare un'università. Quasi tutte le società hanno un rapporto con la città, l'università e il comune per attirare più giocatrici e loro [le giocatrici, ndr] cercano questa cosa. Però là non succede tanto che abbiano un secondo lavoro oltre al calcio a 5. In Spagna e in Italia succede di più perché non guadagnano abbastanza da vivere solo di calcio a 5. Quando sono arrivata la prima volta in Italia, nel 2015, noi ci allenavamo verso le nove perché loro prima stavano al lavoro, e alcune per andare alle partite dovevano saltare il venerdì. È una cosa che dovrebbe cambiare, però non parliamo di cifre che ci danno la possibilità di vivere solo di calcio 5 femminile.

Invece, tornando sulla contrapposizione tra maschile e femminile. Succede anche nel calcio 5, come nel calcio a 11, che ciclicamente venga fuori il discorso in cui si dice che nel calcio femminile bisognerebbe avere le porte più piccole, il campo più piccolo, far durare meno le partite?

Da noi non tanto, perché è un gioco più dinamico, però quello di cui parlano a volte è la forza fisica. Abbiamo [le donne, ndr] la delicatezza di vedere in campo cose che gli uomini adesso non vedono. Nel maschile è cambiato tanto il gioco. Oggi si utilizza tanto l'uno contro uno per vincere una partita o creare superiorità, mentre nel calcio 5 femminile no, perché abbiamo ad esempio delle giocate per iniziare e ci sono poche squadre che fanno queste cose nel maschile. Quindi da noi non si sentono tanto queste cose come diminuire il campo, ridurre il tempo, cose così.

Rimanendo su questo argomento, tu hai vinto tre volte i Futsal Awards (il Pallone d’Oro del calcio a 5). È capitato anche a te, come capita spesso alle calciatrici a 11 più forti, di sentirti dire “Sei talmente forte che potresti giocare con i maschi” o cose del genere? C’è sempre questo paragone con il maschile, come anche quando le calciatrici giocano male viene spesso detto “Perdereste anche contro una squadra di Serie D maschile”. Capita anche a voi?

Sì, basta vedere sui siti di notizie. Ci sono alcuni commenti lì che dicono, magari, “Vieni a giocare nella nostra società, ci daresti una mano”. Poi ce ne sono altri che dicono “Devi tornare a cucinare”. Perché per loro è il posto delle donne. Quindi anche da noi succede. Un momento “Vieni da noi a giocare”, poi l’altro commenti brutti di quel tipo, ma almeno a me sono cose che entrano da una parte e escono dall’altra.

Passando invece alla tua nuova squadra, com’è successo che sei arrivata al Molfetta?

Quando il Molfetta mi ha cercato io avevo ancora voglia di restare in Brasile. Perché ero appena rientrata e mio padre non voleva che tornassi più in Italia, voleva che restassi con loro. Anche se giocavo nel Sud del paese - da casa mia a dove gioca il Leoas da Serra sono 18 ore di macchina, in pullman 25 - lui voleva che restassi lì in Brasile. Però, poi, dobbiamo parlarci chiaro. All’offerta che mi aveva fatto il Molfetta si era avvicinata molto anche la Lazio. Sono andata a casa dei miei, ci siamo seduti tutti e ho detto a papà: “Se vuoi resto qui in Brasile, però lo sai che la mia passione è il calcio a 5. Io ho questa offerta per tornare, però posso rimanere fino a dicembre in Brasile senza lavorare e dopo a gennaio trovo una squadra”. In più in Brasile non potevo più giocare la competizione principale, che è la Liga, perché avevo già giocato con il Leoas da Serra. Quindi ne abbiamo parlato. Io già avevo giocato due anni, due anni e mezzo con la Lazio. Mi trovavo bene, però c'erano dei momenti in cui la testa era un po’ così. E nella vita ho imparato che questo deve essere un punto di riferimento. Quando la testa sta bene, il corpo risponde, va tutto bene, rispondi nel modo migliore a quello che ti si chiede in campo. Io avevo Bruna e Amanda che giocavano qui a Molfetta e ho parlato con loro, mi hanno raccontato tutto. E pure Paka, che è la preparatrice atletica del Bitonto. Lei mi ha detto: “Ho sentito parlare bene di loro, sono una buona società”. E quindi quello mi ha colpito. Anche la cifra offerta era buona, però ho capito che avevo bisogno di stare bene con la testa, di stare in una società in cui trovarmi bene – non che la Lazio non lo fosse - e quindi ho scelto il Molfetta. Per adesso sono contenta di essere qui, poi si vedrà [ride, ndr].

Vanessa Pereira in allenamento con la squadra di calcio a 5 femminile del Molfetta
Vanessa è pronta a iniziare il suo primo campionato con il Molfetta. (Foto: Femminile Molfetta)
Sempre a proposito del Molfetta, volevo chiederti se in una città che in altri sport non ha gli stessi risultati del calcio a 5 femminile sentite particolarmente il calore dei tifosi e la vicinanza delle persone, perché siete comunque la squadra che rappresenta Molfetta al livello più alto.

Abbiamo fatto la presentazione della squadra sabato [il 9 settembre, ndr] e lì è stato bello vedere tantissima gente. Quando è finita, c’era la gente che chiedeva le foto, gli autografi, cose così. La settimana scorsa eravamo appena tornate dal ritiro – quindi non avevo ancora giocato qua – e stavo andando a casa delle mie compagne. Uno mi è passato accanto per strada e mi ha chiesto “Sei Vanessa, vero?” Io ho detto sì e mi ha risposto “Dai, forza!”.  Quindi quello mi ha colpito un po', perché sono appena arrivata e le persone già mi riconoscono. Mi ha fatto piacere sentire questa emozione data dal fatto che la gente ci conosce. Vedremo come saranno le cose al campo per la prima partita. 

E per questa stagione, questa tua prima stagione con il Molfetta, quali sono le prospettive? Cosa ti aspetti da questa annata? Cosa vi aspettate anche come squadra?

L'anno scorso la squadra ha lottato per la salvezza, ma in questa stagione non voglio essere lì, non voglio provare quella sensazione. Abbiamo una buona squadra. Dobbiamo essere sincere con noi stesse e riconoscere che Bitonto, Pescara, Tiki Taka, che sono da anni lì, sono le squadre da battere. Credo però che possiamo fare una buona stagione, magari provare a vincere qualcosa. Io vedo delle ragazze che hanno voglia di crescere e di fare una buona stagione. Quindi penso che possiamo arrivare avanti in coppa, perché lì conta anche la fortuna, sono partite secche. Lì possiamo fare qualcosa, provare ad arrivare in fondo e in campionato provare ad arrivare più in alto possibile.


  • Classe '99, fervente calciofilo e tifoso dell'Udinese, alla sua prima partita allo stadio vede un gol di Cesare Natali e ne resta irrimediabilmente segnato. Laureato in scienze politiche a Padova e in un corso dal nome lunghissimo che finisce per "media" a Bologna, usa la tastiera per scrivere di calcio e Formula 1 e il mouse per fare grafiche su Canva.

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