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Rudi Garcia durante Genoa Napoli.
, 20 Settembre 2023
6 minuti

Rudi Garcia ha bisogno di tempo


Il suo Napoli deve ancora prendere forma.

I festoni giacciono ingrigiti ai lati delle strade a simboleggiare la fine di una favola che sarà tramandata di padre in figlio. Napoli ha perso i suoi colori ed ora teme che il vento del Nord possa tornare a spirare così forte da far cadere e rompere in mille pezzi la corona di campioni guadagnata a suon di goal e bel gioco. La non convincente vittoria all’esordio col Frosinone, la rovinosa sconfitta al Maradona con la Lazio e il rocambolesco pareggio di Marassi col Genoa hanno fatto imbarcare acqua alla scialuppa che al timone non ha più un navigato capitano come Luciano Spalletti ma un quartiermastro come Rudi Garcia. La sfida di stasera in Champions League contro lo Sporting Braga ha già il sapore di dentro o fuori. Per capire come si è arrivati fino al punto di dubitare del futuro del Napoli bisogna recuperare le pagine accartocciate del calendario e tornare ad inizio estate quando tutto ebbe inizio.

Le follie dell'imperatore

Il 19 giugno, nel regale Salone delle feste del Museo Real Bosco di Capodimonte, Rudi Garcia viene presentato a stampa e tifosi. Al suo fianco, col sorriso smagliante ed il petto gonfio, il presidente De Laurentiis fresco di titolo di campione d’Italia. Già dalle prime domande poste dalla stampa sembra chiaro come si avesse una percezione totalmente distorta di chi era e di cosa poteva offrire il tecnico francese al Napoli post-Spalletti.

La forzata ricerca nel voler vedere una similarità tra Lobotka e De Rossi e le insistenti domande sullo scovare un “nuovo Gervinho” dovevano già suonare come un campanello d’allarme sull’errato approccio della piazza al nuovo tecnico. Peggio, però, è stato fatto dalla presidenza. Inutile stare qui a soffermarsi sul fatto che arrivare nel pieno della sessione di calciomercato senza allenatore e senza direttore sportivo (che verrà messo sotto contratto a metà luglio) stoni parecchio con i proclami sulla lungimiranza e la crescita del club partenopeo, piuttosto qualche parola andrebbe spesa sull’idea meramente tattica che il patron avesse del suo nuovo dipendente: “Il 5 giugno ho iniziato a pensare al nuovo allenatore. Quindi ci ho messo 11 giorni. Ho cominciato a vedere la mappa di quella che avevo dato in pasto a voi e ho iniziato a selezionare chi giocava con successo con il 4-3-3. Molti di quelli che vedevano avevano o un 4-2-3-1 o un 3-4-3, alcuni un 4-4-2. Per me era fondamentale lasciare l'assetto attuale. Volevo trovare un allenatore che con il 4-3-3 ha fatto strike: dopo aver visto che Rudi per due volte a Roma è arrivato secondo e che il primo anno aveva iniziato con 10 vittorie di fila, ho pensato che questo signore facesse al caso nostro.” La conoscenza che ADL aveva di Garcia è stata quindi limitata ad un modulo e un filotto di vittorie risalente a dieci anni fa circa. In questo arco temporale, oltre al calcio italiano, è cambiata anche la visione calcistica del tecnico, frutto delle esperienze in Francia e in Arabia Saudita.

Si è avvertito che che l'operato del Napoli post-scudetto sia stato abbastanza superficiale. Disputare due ritiri senza la certezza di quella che sarebbe stata la rosa finale è stato certamente un handicap per il tecnico. Impossibile non riferirsi alla vicenda Kim. Che il coreano fosse destinato ad accasarsi in un altro club era risaputo da mesi, eppure il Napoli non è stato in grado di acquistare un sostituto all'altezza, trovandosi costretto ad agosto inoltrato a dover scommettere su un talento in erba come Natan de Souza del Red Bull Bragantino pur di mettere la toppa al buco lasciato sguarnito e permettere all' allenatore di lavorare almeno con un numero congruo di difensori centrali. Come dimenticare anche la vicenda legata al rinnovo di Victor Osimhen (ancora non ufficializzato), al malcontento espresso pubblicamente da Zanoli, Mario Rui e Politano, alla telenovela che ha intrecciato le storie di Piotr Zieliński e Gabri Veiga o l'affaire Lozano, rimasto fino a poco prima della cessione in Olanda nel limbo di chi non riusciva a trovare un accordo di rinnovo ma neanche un acquirente pronto a sobbarcarsi la spesa d'acquisto. Tutte queste situazioni hanno contribuito a creare incertezza e togliere tranquillità a un gruppo che avrebbe dovuto isolarsi dai dubbi della stampa e malumori della tifoseria e prepararsi al meglio all'inizio della stagione.

Aprirsi al cambiamento

Che la squadra possa avere difficoltà ad assimilare i nuovi concetti è fisiologico, a meno che non si sia deciso a prescindere che i metodi e le idee del nuovo allenatore siano sbagliati perché diversi dalla formula vincente dello scorso anno. Il Napoli di Spalletti era una macchina perfetta, dai contorni definiti, che faceva del calcio associativo una bandiera. Garcia, invece, è ciò che calcisticamente è più lontano da questi concetti, ed è per questo che potrebbe essere la miglior scelta possibile come prosecuzione di un percorso di crescita.

Il Napoli di Garcia sembra già una squadra molto differente da quella di Spalletti, ora difende diversamente sui piazzati e, almeno sulla carta, vuole essere più diretta, con il risultato che a finire in secondo piano è stato uno dei migliori giocatori dello scorso campionato: Stanislav Lobotka. La costruzione dal basso del Napoli non va più al ritmo del suo respiro poiché si preferisce che la circolazione del pallone - da eseguire nel minor tempo possibile con meno tocchi possibili - sia delegata ai centrali di difesa, così da innescare il movimento sugli esterni e l’ attacco degli spazi da parte calciatori offensivi, così da creare densità all’ interno dell’area di rigore avversaria.

Contro il Genoa, il Napoli ha iniziato a ingranare dopo l'uscita di Lobotka, trovando anche i due gol che sono valsi il pareggio.

C’è bisogno però che i calciatori siano convinti e credano nella visione dell’ allenatore. Khvicha Kvaratskhelia, per esempio, non sta vivendo il miglior momento della sua carriera italiana. Mentalmente e fisicamente è un calciatore ancora lontano dal top e la sua flessione, iniziata già nel finale della scorsa stagione e testimoniata dalle fredde statistiche, racconta di un calciatore a cui sono state prese evidenti contromisure. Con una maggior serenità psicofisica gioverà certamente del lavoro dell’attuale tecnico, che sul suo estro sta progettando i giochi offensivi del Napoli. L’intesa con Mathías Olivera, per esempio, è stato uno dei segnali più incoraggianti del nuovo corso.

A fare il paio con le difficoltà di Kvara ci sono, però, anche quelle di Osimhen: l’attaccante numero nove resta il padrone dell’area di rigore ma non più l’unica arma per arrivare alla rete. Potrà sembrare blasfemo ma nel nigeriano si rivede il modo in cui ai tempi di Lione veniva impiegato Karl Toko Ekambi: sacrificato a servizio della squadra. Tornando alle parole di De Laurentiis è quindi lecito porsi la domanda se il 4-3-3 rappresenti il giusto compromesso tra il materiale a disposizione e le idee dell’ allenatore. E la risposta, intuitivamente, sembra negativa.

Se i risultati non dovessero essere dalla sua, Rudi Garcia potrebbe forzare un paio di cambi per imporre la sua autorità sul gruppo. Mario Rui ha fatto il suo tempo poiché, per il tipo di calcio a cui Garcia punta, non esiste un calciatore più passivo del portoghese. Il positivo ingresso di Jens Cajuste nel secondo tempo di Marassi ha dimostrato come al centrocampo del Napoli sia quasi superflua la figura di un palleggiatore ma molto più necessaria quella di un centrocampista atletico, capace di attaccare lo spazio tanto quanto di correre rapidamente all’indietro e recuperare la posizione nella zona centrale del campo. Alle spalle di Osimhen, per scardinare le difese lucchettate negli ultimi venti metri, potrebbe tornare utile il redivivo Giacomo Raspadori. Jack nel ruolo di “dieci” toglierebbe dagli impicci il terminale offensivo e diventerebbe quella figura di raccordo fondamentale per l’appannato Kvara, non più costretto a dover forzare la giocata strappa-applausi per far saltare il banco.

Inutile quindi girarci attorno. Spalletti non c’è più, Kim non c’è più, la magia dell’ anno scorso non c’è più. Reinventarsi e non farsi trovare impreparati ai cambiamenti dovrebbero essere dei mantra per i calciatori che aspirano a giocare ad altissimo livello. Napoli presidenza, Napoli squadra e Napoli tifoseria dovranno avere la pazienza di aspettare e valutare il proprio allenatore al momento più opportuno, senza che sulla sua testa aleggino fantasmi. Rudi Garcia ha bisogno di tempo e fiducia come successo con i suoi predecessori, senza fantasiosamente pretendere che in nome di uno Scudetto stravinto si viaggi col pilota automatico verso un altro comodo trionfo e che il Maradona da fortezza inespugnabile finisca per diventare il suo Golgota.


  • Napoletano di nascita ma cittadino del mondo d' adozione. A 12 anni ha capito che il rettangolo verde non facesse al caso suo dopo aver provato una rulèta à-la-Zidane ed esser finito a gambe all' aria. Innamorato del calcio grazie alla folta chioma bionda di Emmanuel Petit.

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