Nessuno legge il gioco come Mkhitaryan
Contro il Milan, la sua intelligenza calcistica è stata fondamentale per l'Inter.
Quando Henrikh Mkhitaryan è arrivato in Italia l'eccitazione intorno al suo modo raro di giocare a calcio – un'interpretazione verticale e discontinua, piena di trick che lo facevano somigliare a un trequartista sudamericano – si era già dissipata. Un po' per il pregiudizio che nutriamo verso i calciatori avanti con l'età, esseri umani che ci stupiamo riescano ancora a esprimere il loro talento, come se sulla nuca avessimo appiccicato una data di scadenza incontestabile. Un po' perché erano anni che non riuscivamo più a goderci le accelerazioni, il gusto efferato per il dribbling e l'ultimo passaggio, gli smarcamenti nel cuore dell'area di rigore. Mkhitaryan era arrivato a Roma a 31 anni, scaricato in pochi mesi sia dal Manchester United che dall'Arsenal.
Perché avremmo dovuto credergli? La prospettiva storica della sua carriera iniziava a contenere spettri. Quale ruolo gli apparteneva davvero? Era un centrocampista o un attaccante? Un giocatore creativo, certo, ma invecchiato male, sgualcito come un vestito che avremmo indossato cinque o sei anni fa e che oggi non entra più.
Invece in Serie A il talento di Mkhitaryan è tornato a fiorire. Basterebbe presentare il conto dell'ultimo derby di Milano, estrarre dal cassetto della memoria a breve termine le istantanee del dominio di Mkhitaryan sul centrocampo del Milan, le sue conduzioni inafferrabili palla al piede, lo spirito intellettuale con cui tocca ogni pallone.
Partiamo dalla fine, dal pallone che Frattesi devia in porta nel gol del 5-1. Mkhitaryan vince il contrasto con Musah – l'ultimo subentrato nel Milan, all'86' – qualche metro oltre la linea del centrocampo e inizia a condurre la palla tenendosela stretta intorno al collo del piede. A quel punto, però, Arnautovic e Lautaro attaccano entrambi la profondità con un taglio esterno piuttosto maldestro. Quanti trequartisti avrebbero appoggiato un passaggio sommesso, arrendendosi alla superiorità antropologica e famelica degli attaccanti? Molti, ma tra questi non c'è Henrikh Mkhitaryan. L'armeno, che parte da una zona decentrata sulla sinistra, inizia a tagliare la sua corsa verso la lunetta dell'area. Negli ultimi metri ci sono così tanti giocatori dell'Inter da mandare nel panico Thiaw, che segue inutilmente il taglio di Lautaro verso l'esterno, lasciando un corridoio centrale sguarnito.
Un assist che può apparire facile, ma non lo è. Innanzitutto per l'intensità con cui Mkhitaryan imperversa tra le linee del Milan a fine partita, dopo aver stracciato il tentativo di recupero di un mediano dieci anni più giovane. Allo stesso modo non va trascurata la conoscenza del tempo di Mkhitaryan, la sua attesa filosofica di uno spazio libero attraverso cui far filtrare il pallone. Tutto il suo stile di gioco si basa su concetti del genere: Mkhitaryan è un giocatore letterario circondato da un'aura di normalità.
Nell'Inter di Simone Inzaghi la sua influenza è cresciuta lentamente, e oggi più che mai è difficile vederlo fuori dai titolari. In estate il suo nome era circolato in relazione all'arrivo di Frattesi, un box to box di 24 anni che avrebbe dovuto togliergli il posto. Con le qualità tecniche, prima che atletiche e mentali, però, Mkhitaryan acuisce il controllo che l'Inter imprime alle partite. Sa sempre dove posizionarsi per ricevere nei corridoi intermedi, e soprattutto sa come aggirare la pressione avversaria pur non essendo un mago dei controlli orientati. Secondo le statistiche di Fbref, Mkhitaryan è nel 20% dei centrocampisti che effettuano più passaggi progressivi in tutto il campionato – 2.07 ogni 90'– ma fa anche parte di quelli che creano più azioni da tiro – 3.20 a partita.
Contro il Milan, la sua capacità di riempire l'area smarcandosi con intelligenza è stata fondamentale per le transizioni feroci dell'Inter. Nel gol dell'1-0, ad esempio, ha deviato un fendente di Dimarco a metà tra un tiro e un cross: un tocco astuto e aggraziato insieme. Ha concluso il derby con 34 passaggi riusciti su 38 (89%), 2 passaggi chiave e 6 contrasti vinti. Una partita da centrocampista totale, con un contributo fattivo a tutte le fasi di gioco. Non era scontato che il talento di Mkhitaryan diventasse così liquido, in grado di applicarsi a contesti molto diversi tra loro. È il caso del recupero di palla, già citato prima, a Musah nell'azione del quinto gol.
A inizio carriera veniva schierato anche come seconda punta, negli ultimi anni ha arretrato la sua posizione, ma Mkhitaryan è sempre stato un giocatore anarchico. A 13 anni ha fatto uno stage in Brasile, con il San Paolo, perché voleva diventare come Kakà. È un'esperienza riconoscibile nel suo modo di ragionare con la palla tra i piedi, in quella voluttuosa libertà che per alcuni allenatori lo hanno reso un genio, per altri discontinuo.
Lui stesso si è definito metà brasiliano in un'intervista a The Players' Tribune, citando l'importanza di quel breve frammento della sua adolescenza. "Al mio ritorno a casa ero ancora magro e gracile, ma in Brasile avevo imparato la tecnica" ha detto. "In campo mi sentivo più libero".
Il gol del 3-1 è più vicino all'inserimento nel derby in semifinale di Champions di qualche mese fa. Anche in quel caso era stato Mkhitaryan a chiudere i discorsi sulla qualificazione dell'Inter. Nel primo tempo aveva persino sfiorato la doppietta con un colpo di testa dopo un taglio sul primo palo. Sono estratti della supremazia intellettiva di Mkhitaryan sul centrocampo del Milan, una capacità di lettura del gioco che anche a questi livelli non può vantare nessuno. Mkhitaryan sa dove farsi trovare per colpire il pallone in ogni modo, purché produca una giocata utile per la squadra. "Non cambia se sono titolare o no" ha detto da leader dopo la partita. "L'obiettivo è la seconda stella".
Difficilmente un giocatore con le sue caratteristiche fallisce in Serie A. In un calcio così radicale nel proprio rigore tattico, anche una piccola goccia di creatività può fare la differenza. A volte ci lamentiamo dell'età media dei campioni che approdano in Italia, diciamo che il campionato non produce più giovani di prima fascia e che dobbiamo accontentarci di vecchietti sul viale del tramonto. L'evoluzione di Mkhitaryan come centrocampista più influente nel gioco della migliore squadra italiana del momento, a 35 anni e dopo una carriera passata più in alto in campo, è invece la dimostrazione dell'esatto opposto. Che a volte il tempo non scorre per peggiorare le cose.
Come la storia del protagonista di Memento, anche la carriera di Mkhitaryan ci è sembrata dipanarsi come se fosse capovolta, dalla fine all'inizio. Lo abbiamo conosciuto già maturo, un calciatore fatto e finito, senza grandi margini di miglioramento, e oggi lo stiamo apprezzando proprio perché è in grado di offrirci una versione nuova di sé in ogni grande partita. Per gli interisti sarà difficile suturare la ferita aperta della finale di Champions League, in cui Mkhitaryan non ha giocato dall'inizio. Eppure già questo derby vinto 5-1 è la prima ondata di una nuova felicità. Ed è proprio la gioia con cui San Siro lo ha celebrato che ha reso ancora più speciale la parabola umana di Henrikh Mkhitaryan.
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