Considerazioni sparse post Europeo Italvolley Maschile
L'Italvolley è d'argento. La Polonia ci riporta sulla terra, ma è stato un viaggio bellissimo.
- L’Europeo dell’Italvolley maschile si chiude con una medaglia d’argento. Davanti agli 11.300 (sì, più di undicimila!) del PalaEur ed al presidente Mattarella, i ragazzi di Fefè De Giorgi sono caduti nettamente nella finalissima con una stratosferica Polonia, che di fatto ha reso pan per focaccia di quanto accaduto nel Mondiale scorso, quando gli azzurri li sconfissero a domicilio a Katowice. Pur non confermandosi campione d’Europa, l’Italia si è confermata ai vertici della pallavolo continentale e mondiale: la strada per l’argento è stata costellata di tanti momenti memorabili (su tutti, la semifinale con la Francia), e ad oggi è difficile trovare qualcuno scontento del viaggio azzurro: è la prima partita che questo gruppo perde dopo due anni perfetti, e la sensazione è che abbiamo vinto un argento, più che perdere un oro, e che il gruppo è vivo pronto a nuove sfide;
- La finale con la Polonia è stata, de facto, senza storia: troppo superiori, almeno nella serata di domenica, i ragazzi del fuoriclasse Nikola Grbic, che sembra aver trovato la quadra ad una nazionale piena di individualità fortissime, da Leon a Kaczmarek, da Sliwka a Huber e Kochanowsky, tanto che si può permettere di tener in panchina un totem come Kurek e un campione d’europa con il club come Bednorz. All’inizio si pensava l’italvolley fosse semplicemente contratta: non era così, è solo che il livello qualitativo dei polacchi su tutti i fondamentali era superiore, e le statistiche non lasciano spazio a dubbi. Anche quando nel terzo set i nostri han provato a mettere il naso fuori, prontamente ci ha pensato Wilfredo Leon, consacratosi a questo punto definitivamente come il miglior giocatore al mondo, con una serie di servizi a ricacciarci con la testa sott’acqua ad annaspare. La Polonia ha meritato, e non è un caso che l’oro vada ad un paese dove il volley è il primo sport nazionale, con più di 5.000 spettatori di media alle gare di campionato: a dire il vero, non è un caso manco che la finale fosse con un altro paese dove il movimento è sanissimo e l’entusiasmo è tanto. E quel paese è l’Italia, ricordiamocelo ogni tanto;
- “Il viaggio è stato entusiasmante”, ha detto Fefè De Giorgi, e come dargli torto: fino ai quarti di finale, nessun problema per i suoi ragazzi, e poi due partite diversissime che hanno tirato fuori i due lati migliori di questo gruppo. I quarti con l’Olanda sono andati vicino all’esser teatro della tragedia perfetta: uscire così presto, in casa, sarebbe stato fallimento, e gli olandesi sono andati vicinissimi a portarci su quel terreno minato. Eppure, in quel momento, quando era nelle sabbie mobili, quel gruppo è riemerso insieme: non di tecnica ma di tenacia, non di individui ma di squadra, quando era con un piede nel baratro si è salvato, ha portato gli ospiti al tie break e poi l’ha dominato. Molto diversa la semifinale con la Francia, in cui gli azzurri hanno espresso il miglior volley di tutto l’Europeo: una gamma completa di meraviglie tecniche che han permesso di schiantare 3-0 i campioni olimpici in carica, un manuale del volley a gentile uso degli spettatori (tantissimi, peraltro, in tv e nelle palestre). Ecco, le due facce di questo gruppo sono quella tenace e sporca mostrata con l’Olanda e quella linda e meravigliosa mostrata con la Francia. Tuta da lavoro e smoking: bravo Fefè ad aver insegnato che nell’armadio di una squadra forte ci vanno entrambe;
- Era il 2021, quando post Tokyo De Giorgi assunse la guida tecnica della nazionale. Ricordo che chi scrive alla prima lettura dell’elenco dei convocati, ne conosceva pochissimi, e non si può dire che chi scrive sia esattamente fuori da questo mondo. Fefè si è preso una responsabilità enorme: cominciare un nuovo percorso rinunciando da subito a molti big (su tutti i totem Osmany Juantorena e Ivan Zaytsev, ma anche Colaci, Piano, Kovar, Vettori) per fare una cosa che in Italia non fa nessuno, ossia dare piena fiducia ai giovani. Prima di tutti, Fefè ha capito che la fiducia è un prestito, ma se la dai ai giovani non può essere condizionata: in questi due anni, sono arrivati un oro mondiale ed europeo e questo argento europeo, scusate se è poco. Sono cresciuti individualmente i giocatori, che oggi pestano il taraflex da veterani capitanati da Giannelli, ieri talento e oggi leader: uno splendido Michieletto che sembra venga da un altro pianeta, un Lavia in stato di grazia (ma avete visto come è passato sopra al muro francese?), Romanò pescato in A2 ed oggi tra i migliori al mondo, Balaso ad amministrare la difesa. Sarebbe ingeneroso non citare gli altri, e allora lo facciamo: i centrali Galassi e Russo, i loro sostituti Mosca e Sanguinetti, poi il figlio d’arte Bovolenta (che bello quell’ultimo punto che la squadra gli ha “regalato” nel girone all’esordio), i preziosi Rinaldi e Bottolo . A Parigi, salvo sorprese, saranno loro: con obiettivo medaglia, non può che esser così, il metallo lo decideranno una manciata di giocate. Ma questi ragazzi han già dimostrato che tutto è possibile, e Fefè l’aveva capito prima di tutti;
- 11.300 al PalaEur, 2 milioni di italiani davanti alla tv, 12% di share: dopo le recenti polemiche sull’Italia femminile, questi dati sono una boccata d’aria fresca, salubre e rinfrancante, che mostra come questo sia un gruppo generatore di entusiasmo. Questo non vuole essere terreno di confronti polemici, sarebbe davvero inopportuno. Limitiamoci e segnalare le cose belle, e allora ci sono alcuni elementi che hanno fatto innamorare un paese di questi ragazzi: sicuramente la spregiudicatezza e il sorriso, quel modo di stare in campo con coraggio e felicità, che sono il modo migliore per rispettare la maglia che si porta. Ma mi piace citare due fattori, che riguardano tecnica e cuore, distintamente. Il primo è un dato statistico, che dice che l’Italia è la nazionale primissima in classifica di questo europeo nel fondamentale della “copertura”, cioè appunto coprire l’attacco del proprio compagno dal rimbalzo del muro avversario. E’ il fondamentale più di squadra che esista, perché include in sé due fattori cruciali: la squadra deve esser disposta ad aiutare l’attaccante se “sbaglia” e prende il muro, e l’attaccante può sentirsi tranquillo perché sa che ha qualcuno sotto e dietro di lui a coprirgli le spalle. Ecco, nel fondamentale più di squadra, non abbiamo rivali. Il secondo è un momento: è caduta l’ultima palla della semifinale, tutti festeggiano ma a un certo punto si fermano, guardano in tribuna, cercano. Cercano Simone Anzani, fermato per un’anomalia cardiaca alle visite mediche, ma parte di questo gruppo: quanto, lo dice il fatto che un minuto dopo attorno a lui ci sono 14 ragazzi sudati che l’hanno trovato e hanno avuto come primo pensiero festeggiare da lui, in tribuna. Tecnica, appartenenza, cuore, squadra: non sono solo concetti vuoti da convention aziendale. E forse dobbiamo ritornare lì, perché questi ragazzi han dimostrato che se ci sono quegli ingredienti, vincere non è l’unica cosa che conta. E’ stato un argento bellissimo: grazie ragazzi, siamo fieri di voi.
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