Kristin Harila ha spinto l'alpinismo oltre i suoi limiti morali
L'alpinista norvegese ha sfidato anche l'etica per raggiungere il suo record.
Perché la Montagna di Cristallo è sacra?
Perché dalla cima si vede il Kailash.
Ma non è proibito andare lassù?
Si, perché è sacra.
(Senza mai arrivare in cima, Paolo Cognetti, Einaudi, 2018)
Per i buddhisti il Kailash è la montagna sacra, l'origine dell'Universo. Disperso nella regione tibetana del Dolpo, con i suoi 6714 metri non è la montagna più alta al mondo, ma l'unica rimasta inviolata. Raggiungerne la cima è proibito. Il solo modo consentito di avvicinarla è girare intorno alla montagna porgendole il fianco destro, riconoscendole il valore di asse di rotazione: si fa parte della ruota, del vorticare del mondo. E nel diario di Cognetti, che soffre di mal d'altitudine, procedere in questo modo, senza mai arrivare in cima, diventa così l'unico significato possibile del proprio andare.
Le 14 cime
Al mondo esistono 14 cime che superano gli 8mila metri, tra cui l'Everest è la più alta. Scalarle tutte, nel minor tempo possibile, è di recente diventata l'impresa di moda, alla caccia del record da battere. Il leggendario Reinhold Messner nel 1986 fu il primo a salirle tutte: senza l'ausilio di ossigeno, però, gli ci vollero 6 anni. Nel 2020 l'alpinista nepalese Nims Purja ha compiuto la missione in soli 6 mesi, stavolta però in stile ibrido, usando cioè l'ossigeno solo sopra gli ottomila metri, la cosiddetta death zone.
L'impresa di Purja è diventata famosa soprattutto grazie al documentario "14 peaks", distribuito da Netflix nel 2021, ma lo scorso luglio è stata superata. A "superare" il record di Purja sulle 14 cime è stata la norvegese Kristin Harila, che ha completato l'impresa in appena 3 mesi. L'impresa di Harila, però, raccoglie in sé una serie di lati oscuri.
Infatti, durante l'ascesa del K2, l'ultima vetta, lo scorso 27 luglio, un membro del team della Harila muore nel corso della salita. Si chiama Muhammed Hassan, si occupa della manutenzione delle corde e non è equipaggiato come dovrebbe: una giacca leggera, senza guanti né ossigeno. Quando Hassan cade, Harila e gli altri membri del team scavalcano il suo corpo, lasciando solo una persona indietro con lui e procedendo verso il record.
Della morte di Hassan nessuno saprebbe niente se sul K2 quel giorno non ci fossero state altre spedizioni in coda per salire, tra cui quella di Philip Flämig e Wilhelm Steindl, che denunciano l'accaduto, pubblicando il filmato della cordata di Harila che passa sopra il corpo di Hassan. In un'intervista a un giornale austriaco, Steindl si dice sconvolto per ciò che ha visto, sostenendo che Hassan avrebbe potuto essere salvato con l'aiuto di più persone: difficile stabilirlo, in una situazione limite del genere, ma ciò che getta un'ombra sulla Harila è la sua scelta di continuare, a qualsiasi costo, oltre all'iniziale reticenza sui fatti, di cui ha accettato di parlare solo dopo l'esplosione del caso mediatico e dopo aver celebrato, pare, con una festa il risultato della sua impresa.
La via aperta con gli elicotteri
Mi accorsi che nel dire guadagnare e perdere (quota) c’è un senso economico tutto occidentale dell’andare in montagna, dove quota e distanza sono i capitali che accumuliamo con la nostra fatica. E non ci piace per nulla sprecare l’investimento.
(Senza mai arrivare in cima, Paolo Cognetti, Einaudi, 2018)
Sebbene la sfida di scalarle sia molto pericolosa, gli Ottomila non sono per forza le vette più ardue a livello tecnico: l'impiego di bombole d'ossigeno e Sherpa (o portatori) le hanno infatti rese una meta più turistica, dove chirurghi e influencer sborsano alle agenzie anche più di 100.000 dollari per essere portati in cima. La differenza diventa perciò il metodo, la velocità, il come viene compiuta l'impresa.
E il metodo utilizzato da Kristin Harila ha ricevuto enormi critiche, rivalutando quello che è stato venduto come un record. Metodo che, ancora una volta, sarebbe forse rimasto segreto se Mingma G. Sherpa, uno dei migliori Sherpa in circolazione, non avesse reso pubblico un video degli elicotteri della norvegese. I mezzi aerei sono stati usati infatti per portare in quota (ai campi successivi) i materiali e perfino gli Sherpa incaricati di attrezzare la via di salita, cioè di montare le corde fisse indispensabili, e permettere poi all'Harila di salire in velocità e sicurezza. Di fatto la via viene aperta per la Harila "dall'alto", mentre, per esempio, Nims Purja e i suoi compagni si erano fatti strada dal basso, come logico in un'impresa di scalata.
In risposta (o non-risposta) a Mingma, Kristin Harila invece di entrare nel merito di quanto lo Sherpa aveva denunciato a proposito dei metodi di salita della norvegese, ha ribadito di essere sempre salita dal campo base fino alla cima. Cosa che Mingma G. non aveva messo in dubbio. La questione, ignorata di proposito, era appunto il metodo di ascensione.
Ma già nel corso del 2022, prima dello scandalo mediatico, Kristin Harila era stata esposta per la sua linea di condotta morale quantomeno poco chiara. A denunciarla con un post, i suoi precedenti Sherpa Dawa Ongju e Pasdawa, molto considerati nell'ambiente, a cui l'Harila si era rivolta per il suo primo tentativo (fallito) di record sulle 14 cime. Dopo 12 vette scalate insieme, infatti, Harila aveva deciso di cambiare squadra, rivolgendosi all'agenzia Seven Summit Treks, di fatto evitando di condividere con loro il record. Subito dopo, le richieste di visto dei due Sherpa al governo cinese sarebbero state negate, mentre quella della Harila sarebbe stato accettata (cosa smentita dalla norvegese, che secondo i due Sherpa avrebbe invece tentato senza successo la scalata delle ultime due cime, per poi rimandare tutto al 2023). La motivazione ufficiale del diniego cinese era la recente permanenza in Pakistan dei due Sherpa (insieme proprio a Kristin Harila), paese dove si trovano 5 degli Ottomila, portando quindi a un controsenso logico, attribuibile forse al diverso peso politico-economico di Kristin Harila rispetto ai due Sherpa.
Non è un mistero che gli Sherpa rimangano in disparte in occasione dei trionfi del "protagonista" occidentale di turno, che chiaramente porta con sè soldi, sponsor e copertura mediatica. L'impresa precedente di Nims Purja, aveva invece in parte ribaltato il paradigma: un nepalese (Nims) diventava protagonista della missione e poneva il focus sull'onorare i propri Sherpa "alla pari", non solo come aiutanti ma come compagni, senza cui scalare un Ottomila sarebbe impossibile.
E se ormai la direzione presa dall'alpinismo degli Ottomila è quella dei record di velocità, a qualsiasi costo, sia umano che tecnologico, dall'altra esiste ancora (anche se non sappiamo per quanto) una montagna aspra, tecnica, incontaminata: la Patagonia.
A ricordarcelo è stata la morte di Ermanno Salvaterra, lo scorso 18 Agosto 2023, poco dopo il "record" di Harila. Nelle parole di Hervè Barmasse, Salvaterra è stato "senza dubbio il più forte alpinista della Patagonia". Era il più profondo conoscitore del Cerro Torre (sua la prima ascesa invernale), grande dolomitista e apritore di nuove vie. È morto sul Campanile Alto, tra le sue Dolomiti di Brenta, all'età di 68 anni. Il suo ultimo sogno è stato l'apertura della via ovest sul Torre Egger, tentata senza successo per 5 volte. In Salvaterra viveva un'idea di montagna molto diversa da quella dei record in stile Kristin Harila. Una dimensione sportiva che alla velocità, al record, a un modo di scalare legato più alla logistica che all'ascensione in sé, preferiva la ricerca, l'imprevisto, l'esplorazione. Del mondo e di sè stessi.
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