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Luciano Spalletti davanti al nuovo stemma dell'ITalia.
, 8 Settembre 2023

Cosa dobbiamo aspettarci dall'Italia di Spalletti?


Abbiamo cercato di capirlo rispondendo a cinque domande.

Con la diramazione delle convocazioni per il doppio impegno contro Macedonia del Nord e Ucraina, l’avventura di Luciano Spalletti sulla panchina dell'Italia è ufficialmente iniziata: gli scenari che si profilano all’orizzonte sono decisamente interessanti. Quella che fino a poche settimane fa doveva essere una semplice rincorsa all’Inghilterra, oggi si ritrova ad essere il momento definitorio del futuro della nostra Nazionale.

Spalletti si trova in una situazione quantomeno paradossale: guiderà la nazionale campione d’Europa in carica ma che non si qualifica da due edizioni alla Coppa del Mondo, ricevendo in dote dalla precedente gestione uno zoccolo duro di giocatori su cui costruire e capitalizzare ma anche l’assenza totale di idee e una depressione generale dell’ambiente da cui sembra difficile uscire. Da Mancini, Spalletti ha ereditato anche un’esperienza fallimentare – per giunta conclusa come una farsa – da cui dovrà necessariamente distaccarsi ma anche la contingenza, più politica che tecnica, di gestire il ruolo e la presenza di alcune presenze ingombranti. Il futuro e i successi della nostra Nazionale dipendono da quali scelte opererà Spalletti nei prossimi mesi e da come gestirà le enormi criticità già sotto gli occhi di tutti. E da come risponderà a queste cinque domande.

Chi ci sarà nel 2026?

La mano libera nelle convocazioni è, per motivi tecnici, politici o sentimentali, un’utopia irrealizzabile, la condizione ideale ma non fattuale in cui operare l’avvio di un nuovo ciclo. La qualificazione alla prossima Coppa del Mondo vale strutturalmente e simbolicamente molto di più di un nuovo exploit all’Europeo, al quale ci avviciniamo con pochissime aspettative. La sensazione è che l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori si siano sostanzialmente disinteressati dei prossimi Europei e che l’obiettivo sia quello di un percorso promettente, senza la pretesa di ripetersi contro squadre decisamente più avanti degli Azzurri. Non importa se ciò sia il frutto delle delusioni mondiali o della consapevolezza dell’irripetibilità di un successivo contingentale come quello del 2021.

L’importante è evitare figuracce, e in fin dei conti è un compromesso che può andar bene. Tutto questo apre a Spalletti una nuova prospettiva: l’orizzonte degli eventi di questo ciclo della Nazionale è il 2026, non il 2024; bisogna guardare a ciò che saremo fra 3 anni e non all’anno prossimo. La qualificazione e la prestazione all’Europeo diventano strumentali alla crescita di un gruppo che dovrà essere pronto più avanti, invece di essere il fine ultimo dell’intero movimento.

Questo è chiaramente un utile vantaggio per Spalletti, conferendogli maggiore libertà nelle scelte. Difficilmente vedremo uno Spalletti assoluto padrone della rosa e tanti compromessi si faranno, nel bene e nel male. Ma il fatto di avere una proiezione così lontana nel tempo, una squadra reduce da un enorme fallimento sportivo e l’assenza di veterani o fedelissimi da ricompensare, può permettergli di modellare a suo piacimento l’elenco di 30/35 giocatori che orbiteranno nel giro della Nazionale nel prossimo triennio.

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Le prime convocazioni mostrano già una direzione diversa rispetto al passato.

L’assenza di due come Jorginho e Verratti fa sicuramente molto rumore, ma ancora più importante è la mancata convocazione di elementi come Florenzi, Bonucci e Pafundi, mettendo fine a mesi di scelte ideologiche, che hanno avuto solo il merito di avvelenare e deprimere ancor di più un ambiente già precario. Le presenza, invece, di Mancini, Zaccagni, Romagnoli e Casale è invece un chiaro segnale di apertura e disponibilità lanciato a chi è rimasto fuori anche in questa tornata ma potrebbe esserci nella prossima (messaggio ricevuto dalle parti di Zingonia). Nel mezzo rimangono i veterani, che con Mancini hanno trovato consacrazione in Nazionale e che diventano i primi osservati speciali del nuovo corso, a partire da Immobile e Spinazzola.

Questo è il punto di partenza, ma è molto difficile rappresenti la conclusione. Tutti i convocabili, nei prossimi mesi, dovranno passare al vaglio di una semplice domanda che Spalletti deve necessariamente porsi: Chi ci sarà nel 2026? Il risvolto di questa domanda è duplice: va posta in merito a chi è già stato epurato e a chi per il momento è ancora dentro. Verratti ci sarà? Emerson Palmieri? Immobile? Biraghi? Politano? La necessità di costruire adesso un gruppo che possa essere pronto nel 2026 deve guidare la scelta di questi e altri giocatori. Uno degli errori più gravi di Mancini è stato quello di non rinnovare il gruppo di Wembley, pagando caramente la decisione.

L’opportunità che ha Spalletti è quella di inserire subito giocatori funzionali al progetto che rimangono a oggi fuori dal giro, permettere loro di maturare e accumulare esperienza, magari già all’Europeo, e far sì che i Barella, i Bastoni e i Tonali di turno acquisiscano in Nazionale lo status di leader che hanno già nei club. Le scelte difficili, dunque, cominciano da subito. Spetta a Spalletti capire se sia già il momento opportuno per convocare Udogie, Scamacca o Fagioli o se sia meglio aspettare ancora.

Chi gioca in difesa?

Spalletti ha chiarito di voler iniziare con una difesa a 4, tornando indietro di un paio d'anni e scartando l'evoluzione verso il 3-5-2 della gestione Mancini. L'idea porta con sé diverse certezze ma anche alcuni dubbi.

Innanzitutto è da testare il rendimento di Dimarco e Bastoni nella difesa a 4: gli interisti sono – dovrebbero essere – a pieno titolo tra gli imprescindibili della Nazionale e tra i migliori di tutto il campionato, ma il loro habitat è la difesa a tre. Scommettere sulla loro rapida adattabilità a una linea a quattro potrebbe far perdere importanti punti di forza.

La catena sinistra sembra comunque quella più solida per il futuro: anche alle spalle di Dimarco, Udogie e Parisi garantiscono un livello alto, come anche certificato dai trasferimenti verso Tottenham e Fiorentina negli ultimi mesi. Paradossalmente, però, sulla destra Spalletti ha molte meno soluzioni ma decisamente più adatte al suo stile di gioco: allo stato attuale è facile immaginare la centralità di Di Lorenzo, che però ha già 30 anni e il solo Calabria come riserva di livello, a meno di una precoce esplosione del fiorentino Kayode. La coperta è quindi di ottima fattura ma troppo corta.

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Al centro, tatticamente e geograficamente, dovrebbe quindi esserci Bastoni, ma accanto le gerarchie sono tutte da riscrivere. Chi schierare al fianco del centrale interista? L’opzione più futuribile è quella di un lento ma paziente lavoro di adattamento di Giorgio Scalvini che, oltre a porre lo stesso quesito sull'adattabilità, raramente si è trovato a giocare sul lato destro di una difesa, anche a tre. Nell’attesa, il primo candidato al ruolo di centrale di destra potrebbe essere Gianluca Mancini, più avanti nelle gerarchie per esperienza e caratteristiche del laziale Nicolò Casale, che dovrebbe formare con Romagnoli la coppia dalla panchina.

Le incognite sul nuovo assetto sono diverse: Bastoni nell’Inter ha fondamentali compiti di regia e copertura, è molto spesso lasciato libero di avanzare e supportare l’azione ma non è altrettanto brillante in marcatura. L’ideale sarebbe dunque trovare qualcuno che possa orchestrare al meglio i tempi della difesa e che si faccia carico dei compiti di marcatura. Nessuno dei profili fin qui proposti sembra convincere a pieno: il passaggio ad una difesa a 3 potrebbe significare anche la risoluzione di questo dilemma. Nei prossimi anni Spalletti dovrà dedicare molto tempo e scouting alla ricerca di centrali e terzini destri da coinvolgere nella causa; nel frattempo spetterà alla sua comprovata abilità di costruire castelli solidi il compito di porre le fondamenta per la difesa che verrà.

Chi tenere fuori a centrocampo?

A centrocampo le certezze sono Barella e Tonali: entrambi hanno dimostrato di rendere al meglio in un centrocampo a tre. L’interista solleva più dubbi sul ruolo in un centrocampo a due, con un aumento dei compiti difensivi che potrebbero limitarne le qualità. La questione ricadrebbe più sulla scelta tra un vertice basso o un trequartista. Il probabile addio di Verratti, destinato in Qatar, e Jorginho, una seconda scelta nell'Arsenal, sembrava necessario per motivi anagrafici ma nei fatti ha tolto due giocatori molto difficili da sostituire.

I due principali indiziati, anche per ammissione di Spalletti, saranno Locatelli e Cristante, che però si portano dietro varie incognite. Il primo, dopo un grande Europeo da mezzala, è diventato il vertice basso della Juventus e non è riuscito mai a ripetersi, mostrando comunque maggiori qualità col pallone del secondo, che nella Roma è diventato un giocatore solido nel coprire gli spazi ma non altrettanto nella distribuzione. Ipotizzando un'inversione del triangolo di centrocampo, invece, Spalletti potrebbe puntare su Lorenzo Pellegrini, per quanto il capitano della Roma non abbia mai avuto un ottimo feeling con la Nazionale e sia reduce da un anno difficile, tra un cambio di ruolo che lo ha allontanato dalle sue zone di riferimento e diversi infortuni muscolari. Un Pellegrini in forma, motivato e ben calato nel progetto sarebbe però imprescindibile e diventerebbe una delle chiavi destinate a sbrogliare le scelte di Spalletti.

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Lo scenario più credibile nel breve termine è quindi che questi possano alternarsi in campo a seconda delle necessità; Cristante e Locatelli si alterneranno davanti alla difesa e Rovella potrà risolvere il dilemma se – o quando – riuscirà a prendersi il posto nella Lazio; Pellegrini che potrebbe offrire un cambio utile anche a Tonali nel caso Spalletti cerchi un giocatore più presente negli ultimi metri. Di volta in volta bisognerà tenere fuori due di questi e Spalletti dovrà confermarsi come uno dei migliori nella preparazione delle partite e nella gestione delle risorse per farlo nel modo ottimale.

Fatti salvi i nomi più sicuri, la Serie A ha già messo davanti molti nomi di spessore: Frattesi è un giocatore la cui intensità si sposa bene con le idee del C.T. e sarà un'alternativa di spessore a Barella; la duttilità di Pessina – anche reduce da un'ottima stagione nel Monza – è una carta spendibile, soprattutto in tornei di breve durata come Europei o Mondiali. Non sarebbe strano veder entrare nel giro anche Ricci, Fagioli, Miretti e Bove, già con uno status di Serie A ragguardevole, mentre sul lungo termine potremmo aspettarci anche l'arrivo del gruppo dell'Under 20 di Nunziata (Casadei e Prati) e dell'Under19 di Bollini (Ndour). Le gerarchie sono fluide e Spalletti ha tutto il tempo di costruire, tassello dopo tassello, il centrocampo del futuro. Decidere chi lasciare fuori sarà un compito difficile ma fondamentale perché, come diceva Boskov, "come gioca centrocampo, gioca squadra".

Chi gioca in attacco?

La conferma del tridente solleverebbe due fondamentali questioni. La prima riguarda l’assenza di una prima punta capace di fare reparto da sola: né Scamacca, né Retegui, né tantomeno Immobile – al momento ancora in gruppo e nominato anche capitano – hanno dimostrato di reggere il ruolo di unico riferimento offensivo. Già la scelta di Mancini di slegare quasi completamente Immobile dal resto della squadra aveva reso il laziale quasi innocuo; commettere lo stesso errore sarebbe un passo falso da non commettere. Scamacca è una punta che gioca molto bene se posto nelle condizioni di associarsi con i suoi compagni di reparto, così come Raspadori, l'altro candidato forte nonché unico ad aver già lavorato con Spalletti.

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L'unico attaccante abbastanza autosufficiente da potersi trovare da solo al centro del tridente è proprio Retegui, confermato nonostante i meme che la sua convocazione ha attirato su Mancini negli scorsi mesi. Spalletti ha una lunga tradizione di attaccanti valorizzati nelle sue squadre – Totti, Dzeko, Icardi e in ultimo Osimhen – e negli scorsi giorni ha parlato di soluzioni alternative a un centravanti di ruolo. Questo, in ogni caso, sembra il suo compito più delicato visto anche il basso livello degli attaccanti emergenti.

La seconda questione è la gestione delle fasce. Nell’elenco dei convocati solo uno di loro è davvero certo di una maglia da titolare in questo nuovo ciclo: Federico Chiesa che, paradossalmente, con Allegri ha intrapreso un percorso di conversione in seconda punta. L’idea di mantenere il tridente per non rinunciare al talento della Juventus potrebbe ben presto diventare obsoleta. Chiesa è l’unico nome veramente spendibile in ottica 2026: Zaccagni merita sicuramente lo spazio che Spalletti gli riserverà ma difficilmente potrà scalzarlo nelle gerarchie; Berardi avrà 32 anni e il mancato trasferimento nell’ultima sessione di mercato suona come un’opportunità mancata per il definitivo salto di qualità; Zaniolo attualmente è una seconda scelta dell’Aston Villa e dovrebbe riscattare la sua carriera prima di ambire ad un posto da titolare.

Sta dunque a Spalletti lavorare di maquillage nel comporre un attacco efficiente con ciò che ha a disposizione. Nel reparto offensivo mancano anche serie prospettive di promozione dai settori giovanili: Cambiaghi e Colombo sono troppo acerbi e la maturazione è ancora tutta da capire. Insomma, il vero rebus da risolvere per Spalletti è la risposta alla domanda di chi far giocare in attacco.

Che Spalletti vedremo?

Spalletti ama stare in panchina come in campagna: con pazienza e serenità. In Nazionale sarà chiamato a mantenere un ruolo più politico che tecnico, in cui le sue qualità relazionali, tragicamente venute meno in tutti i suoi addii, verranno testate di giorno in giorno molto più che nelle esperienze di club. Alla Nazionale serve uno Spalletti carico mentalmente ed emotivamente non tanto all'interno del centro federale quanto nelle sale stampa.

Il contesto mediatico in cui Luciano Spalletti si troverà a barcamenarsi nei prossimi anni non è proprio dei migliori. Dopo il flemmatico Prandelli, gli ultimi tre CT della Nazionale hanno avuto un rapporto estremamente complesso con la stampa e l'opinione pubblica e la loro gestione di questo elemento ha almeno in parte influenzato il loro rendimento sulla panchina azzurra. Spalletti dovrà collocarsi in uno spettro che va dal rapporto di odio con Ventura all'idillio di amore e spot pubblicitari tra i media nostrani e Mancini, passando per le scene di follia di Antonio Conte. Spalletti, nonostante la sua incredibile mediaticità e gli aforismi che ha coniato nella sua carriera non si vende come una figura pubblica da mettere sugli spot.

L'ex allenatore del Napoli si colloca perfettamente nella tradizione di allenatori estroversi ma dalla personalità estremamente contorta: ha un'evidente tendenza a interiorizzare le critiche, a somatizzare la pressione e a soffrire i risvolti mediatici del suo ruolo; neanche nell'esperienza a Napoli, dove ha avuto la tranquillità di costruire una squadra senza aspettative e guidarla a uno scudetto senza mai soffrire la pressione delle avversarie, si è lasciato andare a dichiarazioni quasi violente. Dovendo provare a indovinare, possiamo immaginare che Spalletti possa essere molto più vicino a Conte che agli altri: divisivo, discusso, un po' amato e odiato dalla stampa ma indubbiamente amato e supportato dall'opinione pubblica; un po' meno capopopolo e un po' più schivo e isolato del salentino.

Il rapporto con stampa e opinione pubblica si aggiunge, giocoforza, il tema della coabitazione con una personalità mediatica come Gigi Buffon. Dal numero di interviste e dichiarazioni rilasciate solo in questi primissimi giorni, è evidente che il nuovo capodelegazione sarà anche una sorta di uomo immagine della nazionale. La serenità, la coesione e la libertà di lavoro del gruppo Nazionale dipenderanno dunque anche dal tipo di rapporto che s’instaurerà tra il neo CT e l’ex capitano: si copriranno le spalle a vicenda o lo staff della nazionale è troppo piccolo per tutti e due?

Buffon sarà l’alfiere di Spalletti e potrà servire da parafulmine nelle tempeste che sicuramente colpiranno il tecnico? O saranno entrambi presi dalla trappola dei giochi di potere e di ambizioni che fanno da sfondo ormai da 20 anni all’operato della Nazionale? La speranza è che Buffon sia davvero un punto di forza di questo nuovo corso e che Spalletti possa reggere alle pressioni quel tanto che basta per permettergli di superare il primo periodo di inevitabili difficoltà. I risultati del suo ciclo dipendono anche da questo.


  • Classe '99, pugliese come il panzerotto, studia a Bologna e soffre per l'Inter. Ama farneticare di calcio e cinema. Ha sul comodino la foto con Barbero e l'autografo di Mcdonald Mariga.

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