All In, Wembley e la gioia del wrestling
Siamo stati a Londra ad assistere alla tappa europea dell'All Elite Wrestling.
Chi segue il calcio sa quanto difficile sia far uscire contente tutte le decine di migliaia di persone che riempiono uno stadio. Che si vinca o si perda, c’è sempre chi andrà via con qualche motivo per essere di malumore. Eppure, lo scorso 27 agosto, fra le oltre 81.000 persone che hanno affollato Wembley per assistere ad All In, era praticamente impossibile trovare qualcuno che, all’uscita, non avesse il sorriso stampato sulla faccia.
L’annuncio di quello che è stato il primo evento in Europa e in uno stadio per la All Elite Wrestling (compagnia nata nel 2019 ma già diventata la seconda major statunitense dietro al leviatano WWE) è arrivato lo scorso 5 aprile e in molti lo ritenevano un azzardo: ma la decisione del presidente Tony Khan, figlio del miliardario Shahid Khan, con cui condivide la proprietà dei Jacksonville Jaguars e del Fulham, di cui è anche direttore sportivo è stata premiata da numeri inimmaginabili alla vigilia.
Secondo i dati ufficiali, il pubblico che ha assistito allo show ospitato dallo stadio inglese era composto da 81.035 persone, numero che lo rende quindi l’evento di wrestling col maggior numero di spettatori paganti della storia. Davanti ad All In infatti, ci sono soltanto le due notti di Collision in Nordcorea, che si tennero nell’aprile del 1995 davanti a 150.000 e 165.000 persone rispettivamente, ma in quel caso (data la rilevanza politica dell’evento), una grossa fetta del pubblico fu “costretta” ad assistere.
Sarà stata la portata storica dell’evento, sarà stata la vicinanza geografica, sarà stata semplicemente la cosiddetta FoMo, ma ho deciso di imbarcarmi verso Londra per assistere dal vivo allo show. E posso assicurare che, in questo caso, l’ultima cosa che si è vista sono gruppi di persone che non volevano stare lì. Il tragitto della metropolitana che mi porta alla stazione di Wembley è come un lungo prologo, con il vagone che a ogni fermata si arricchisce di qualcuno con indosso una maglietta a tema wrestling (di cui ero sprovvisto, quantomeno all’andata). E ogni volta che queste persone incrociano lo sguardo, si scambiano un impercettibile segno di intesa, come se fossero membri in incognito della mafia russa.
La prima cosa visibile appena fuori dalla stazione è l’infinito fiume di gente che riempiva il tratto che porta all’ingresso dello stadio. Decine di migliaia di persone intente a imitare gli “Wooo” di Ric Flair, gli “Yeah” di L.A. Knight (perché i fan di wrestling, almeno dal vivo, se ne fregano del tribalismo fra federazioni) e a cantare “He’s got the whole world in his hands”, per onorare la memoria di Bray Wyatt, morto poche ore prima.
Lo spazio che circonda l’entrata è pieno di fan europei estremamente eccitati dall’occasione imperdibile di assistere a un evento storico dal vivo, oltre che di content creator intenti a registrare materiale per i rispettivi siti. Un clima particolarmente positivo, in cui alcuni dei volti più famosi del mondo del giornalismo sul wrestling si confrontano col pubblico e scambiano foto. Non proprio quello che accadrebbe in altri contesti a Old Trafford.
La cosa che subito salta all’occhio è la particolare energia che anima la folla presente. Fra file chilometriche per il merchandising e un DJ anche troppo accalorato dai suoi remix di canzoni nu metal dei primi anni 2000, ognuno di noi trova il modo per esprimere il proprio entusiasmo e la propria eccitazione (alimentata anche dall’altissima percentuale di fan britannici, noti per essere molto “calorosi” quando si tratta di wrestling), cantando o ballando di fronte agli steward di Wembley, abituati a vedere una “fauna” decisamente diversa.
Nonostante la calca, l’organizzazione dello stadio è efficientissima e riesco comodamente a entrare verso le 16:30, mezz’ora prima l’inizio di “Zero Hour”, il pre-show di un’ora che precede l’inizio dell’evento.
Pian piano i seggiolini occupati aumentano e con essi, aumenta anche l’elettricità nell’aria, quasi come quelle decine di migliaia di persone fossero tutte lì per vedere un concerto diverso, ma del loro musicista preferito. Risate, grida e cori si susseguono (con unica eccezione per i fischi con cui il pubblico ha sommerso l’annuncio della vendita dei biglietti per Fulham-Tottenham di Carabao Cup) e trovo il tempo di entusiasmarmi per le eccellenti scelte musicali della AEW nelle canzoni che fanno da sottofondo a questa fase del pomeriggio.
Alle 17:00 spaccate si inizia e Tony Schiavone, voce della Federazione, ci dà il benvenuto ringraziandoci per aver riempito un tempio moderno dello sport pur di assistere dal vivo ad All In. Già da questo momento, gli applausi e i cori si sprecano per lui, per Tony Khan e persino per arbitri e ring announcer, di cui tutti ci vantiamo di conoscere i nomi. Le successive 5 ore sono pura e semplice estasi dell’intrattenimento.
Sia chiara una cosa: All In è tutt’altro che un evento eccezionale. Se si esclude l’atmosfera, non c’è un match o un segmento dalla portata “storica” che ci si poteva aspettare e diverse scelte di booking sono piuttosto discutibili, su tutte la vittoria dell’eroina di casa Saraya e quella del trio composto degli Acclaimed e Billy Gunn. Tutte decisioni che io, seduto sul mio divano a guardare lo show su uno schermo, avrei accolto con grugniti di disappunto, perché nessuno al mondo odia il wrestling più dei fan di wrestling. Eppure, l’esperienza vissuta a Wembley è stata indimenticabile e credo sinceramente che questo sia dovuto alla natura stessa della disciplina. Il wrestling è una forma di intrattenimento molto particolare, che può essere criticata per mille motivi, ma se fatta bene, c’è davvero poco di più entusiasmante su questo Pianeta. E vedere oltre 81.000 persone mettere da parte la voglia di litigare su internet o di criticare, insultare o anche solo stare in silenzio è stato ai limiti del commovente.
Nota di merito particolare per il quintetto di ragazzi seduti immediatamente dietro di me: rimasti insospettabilmente lucidi dopo almeno 5 giri di birra a testa, hanno continuato a urlare senza mai fermarsi. Al suono della campana che dava il via all’unico match femminile di tutta la card (uno degli atavici difetti della programmazione AEW), in molti hanno deciso di approfittarne e alzarsi, per andare al bagno o a comprare cibo/alcol/entrambi. Ma loro no e il più alto del gruppo, indispettito da questo comportamento, ha urlato a pieni polmoni
“Perché si stanno alzando tutti durante il match femminile? Io sono qui per sostenere anche loro, urlate!”
Lì ho capito che l’esperimento della All Elite Wrestling era riuscito: All In è stato come un house show (gli show non trasmessi né in pay per view né in televisione) di portata colossale. I buoni hanno vinto quasi sempre, i preferiti del pubblico hanno preso le loro meritate ovazioni, i fan hanno potuto cantare le canzoni che voleva cantare (particolarmente apprezzate le ruffiane scelte di comprare i diritti di “We Will Rock You” e di “Seek and Destroy” per le entrate di Saraya e del team composto da Sting e Darby Allin), con tanto di citazione a Freddie Mercury da parte di Chris Jericho, che si è esibito con i Fozzy, band di cui è cantante e frontman. Un evento che, tra l’altro, è caratterizzato da un filo rosso di “mascolinità positiva”, ben percepibile nella storia raccontata da MJF e Adam Cole nel main event o dagli Acclaimed, che hanno portato la folla di Wembley a urlare all’unisono “Scissor Me, Daddy Ass”, frase che significa esattamente ciò che pensate.
Un entusiasmo che si è trasformata in pura felicità quando, dopo la fine dell’ultimo incontro, è stato annunciato che il 25 agosto del 2024, la All Elite Wrestling tornerà a Londra con una nuova edizione di All In. E persino l’infinito viaggio dall’uscita dello stadio fino alla fermata della metropolitana, durato almeno 40 minuti per via dell’affluenza e della mancanza di treni (era la domenica del Bank Holiday Weekend), è stato riempito dai cori e dalle canzoni sentite mentre si percorreva il tragitto inverso, circa 6 ore prima.
La sublimazione di questa atmosfera si manifesta davanti ai miei occhi ben oltre la mezzanotte. Stretti e chiusi in un vagone della metro che assomiglia più a un carro bestiame, cerchiamo di resistere all’impulso di addormentarci per evitare il rischio di perdere la nostra fermata (una ragazza in piedi accanto a me non ce la fa e per ben due volte, la mia nuca è l’unica cosa che si frappone fra il suo cranio e la porta del vagone. Non c’è di che).
Man mano il treno si svuota e ad attirare la mia attenzione è un ragazzo che, sfruttando la maggiore libertà ora che c’è meno ressa, si avvicina minacciosamente a un uomo sulla trentina, girato di spalle.
Mi piacerebbe poter dire di essere stato pronto a lanciarmi in mezzo alla rissa, nel caso ne fosse scoppiata una, ma ammetto che le craniate subite dalla ragazza catatonica mi avevano provato. Il ragazzo prende la mano dell’uomo e le uniche parole che escono dalla sua bocca sono: “Scusa amico, credo ti sia caduto qualcosa”
E dopo il secondo di straniamento dell’uomo, il ragazzo apre indice e medio a mo’ di forbice e urla “SCISSOR ME”, sforbiciando il sorpreso ma subito coinvolto compagno di viaggio. Il tutto condito da due sorrisi che non hanno diritto di esistere in una plumbea serata londinese, all’interno di una metropolitana.
In sostanza, pur non mettendo in scena uno show di altissimo livello, la AEW è riuscita a dare l’occasione a decine di migliaia di fan (me compreso) di vivere una giornata e un’esperienza unica. La domanda sorge spontanea: "Il modello di All In è ripetibile?" La risposta è molto semplice: "nì". All In è stata a tutti gli effetti una festa per chi ama il wrestling e dato il successo, ci sono buone possibilità che non ci si limiti a ripeterlo solo l’anno prossimo, ma che diventi un appuntamento fisso per il Bank Holiday Weekend nella capitale inglese. Non bisogna però pensare che l’evento possa essere sempre questo: in un momento storico in cui la AEW, come confermato dal suo proprietario, sta ripensando alla sua struttura annuale dei pay per view, fare uno show di simile portata oltreoceano e trasformarlo “semplicemente” in una festa sarebbe controproducente.
Per questo la federazione dovrà puntare al consolidare occasioni simili in mercati floridi come quello britannico, puntando contestualmente a esplorarne di nuovi (in conferenza stampa, Tony Khan e il campione mondiale MJF hanno accennato alla possibilità di mettere in piedi ppv in nuove strutture in futuro, facendo il nome dello Stadio Azteca). Un passo alla volta però, All In è stato un successo da ogni punto di vista e sta già mostrando i suoi effetti sul business, con la WWE che sembra sempre più incline a progettare una Wrestlemania a Londra, un desiderio che i fan coltivano ormai da decenni.
A chi c’era, come me, rimane però qualcosa di molto più semplice: il ricordo di una giornata in cui, liberi dai tribalismi e dalle rivalità che ormai da troppo tempo infestano il wrestling web, tantissimi fan hanno potuto godere di una passione comune in un teatro splendido. E forse, basta questo per rendere il 27 agosto 2023 una data che in tanti non dimenticheranno.
PS: il fatto che durante questo evento ci sia stata una semi-rissa nel backstage fra Jack Perry e CM, che ha portato alla sospensione del primo e al licenziamento in tronco del secondo potrebbe cozzare con il quadro fin troppo gioioso che ho voluto dipingere. Ma non volevo rovinare quella che è davvero una bella storia, con la verità.
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