Cosa non va nella Roma?
I giallorossi stanno vivendo il peggior inizio di stagione dal 1995.
"Non voglio lacrime, ma solo orgoglio per quello che avete fatto. Abbiamo perso ma avete dato tutto quello che avevate dentro. Anzi, ci hanno fatto perdere ma non avete perso la dignità, lottando con il cuore fino all’ultimo pallone, mettendoci il 110%. Sono orgoglioso di voi, mai stato più orgoglioso di un gruppo di calciatori come questo in vita mia.” Aveva usato queste parole José Mourinho nel discorso ai giocatori della Roma dopo la finale di Europa League, annunciando che sarebbe rimasto con loro nonostante le voci che lo volevano più o meno ovunque. Quella partita, cicatrizzata nel cuore dei tifosi attraverso uno strano sentimento a metà tra la rabbia e il dolore, ha rispecchiato l'intera stagione della Roma. Una squadra che ci ha provato in tutti i modi e che ce l'avrebbe quasi fatta, ma che sul più bello ha visto il mondo polverizzarglisi tra le mani.
L'inizio di questa stagione sembra la naturale continuazione di quel dolore che tutta la Roma, in campo e fuori, ha provato alla Puskás Arena. Un punto in tre partite di Serie A: prestazioni opache di un gruppo di giocatori che ha sbattuto duramente contro una realtà cinica. Un ambiente che, nonostante un numero ormai imperscrutabile di sold out consecutivi dell'Olimpico, uno stadio che tracima di corpi come se fosse un infinito carnevale giallorosso, vive la polarizzazione più classica di chi vive il calcio in modo così profondo e viscerale. Se per alcuni la responsabilità dei problemi recenti della Roma è da cercarsi in Mou, per altri è in un mercato insufficiente, in Tiago Pinto, nei leader non all'altezza, nel Fair Play Finanziario, negli infortuni, negli arbitri, nella sfortuna e così via.
La verità è che, a vario grado, tutti questi aspetti hanno inciso. Se è vero che la rosa romanista ha ancora diverse incognite – legate ai possibili problemi fisici di Dybala, Renato Sanches, Aouar, Pellegrini, Smalling e Lukaku – va detto che anche Mourinho è sembrato riuscire a imprimervi il suo stile solo nelle partite europee, in cui il portoghese ha imposto un controllo tecnico e mentale semplicemente inscalfibile. Un approccio che ha ripagato tutti con un successo, la vittoria della Conference League a maggio 2022, che il tifo romanista bramava da 15 anni. Un approccio che stava per riportarne un secondo, cementando due imprese che rimarranno scolpite nella legacy di Mourinho non diversamente da tutti i suoi trofei più importanti.er.com/findareaction/status/1579558120652623872?s=20://twitter.com/findareaction/status1579558120652623872?s=20
Ciononostante, lo stile di gioco di Mou non si è mai mostrato pienamente compatibile con la rosa a disposizione. Questo è emerso soprattutto nelle lunghe distanze della Serie A: vicino alle due imprese in Europa che hanno fatto bene all'entusiasmo e al ranking UEFA, la Roma ha raccolto due sesti posti in campionato, mancando due volte la qualificazione in Champions League, obiettivo che la società ha sempre visto come realistico almeno secondo le parole del general manager Tiago Pinto.
Non è un caso se le dichiarazioni del direttore portoghese sono spesso entrate in conflitto con quelle di Mourinho, che è sempre stato netto in senso opposto: “La Champions con 7 milioni spesi sul mercato non è storia, non è neanche un miracolo, ma Gesù Cristo che è andato a Roma ed è andato a fare una passeggiata al Vaticano.” Sul rapporto tra i due lusitani c’è sempre stato un vago mistero: Mourinho in quella stessa intervista ha definito Pinto un amico ma ci sono state varie occasioni in cui è sembrato mandargli qualche frecciatina, come sull'acquisto di Sardar Azmoun, che Mou ha definito “proposto dal direttore”.
Quello dell'iraniano è stato il penultimo acquisto di un mercato molto più difficile del precedente, in cui la Roma ha dovuto operare con un budget contenuto già in partenza e dove ha dovuto anche gestire gli infortuni al crociato di Kumbulla e Abraham, due potenziali partenti sia in virtù dello scarso rendimento che, soprattutto, dello spropositato costo a bilancio.
Con queste premesse, e tenendo a mente che la Roma, per vincoli finanziari, non può aumentare i costi della rosa iscritta nelle liste UEFA (motivo per cui Kristensen e Azmoun non verranno iscritti), si capisce subito come il mercato di Tiago Pinto sia partito con limitazioni pesanti: da un lato la necessità di monetizzare – la Roma deve accumulare plusvalenze per liberarsi quanto prima dai vincoli del FFP –, dall’altro mantenere una rosa il più possibile competitiva per il quarto posto. Lo stesso Tiago Pinto, nella tradizionale conferenza stampa di fine mercato, ha sottolineato la necessità di far coesistere tre piani: tecnico, economico e strategico.
Si intuisce che la situazione della Roma non è delle più semplici: per quanto gli ultimi due mercati abbiamo, almeno in parte, alzato sia il volume che la qualità della rosa di Mourinho, resta difficile da capire come la dirigenza abbia intenzione di muoversi sul medio-lungo termine. Mourinho e Tiago Pinto sono in scadenza, così come Rui Patricio e Spinazzola, e su nessuno di questi si è parlato ancora concretamente di un rinnovo; cinque giocatori della rosa – Kristensen, Llorente, Renato Sanches, Azmoun e Lukaku – sono in prestito: il peggiore scenario è quello in cui Mourinho e Pinto, o chi per loro, nell'estate 2024 si troveranno per le mani una squadra potenzialmente ridotta di un terzo dei suoi effettivi e lo stesso, ristrettissimo margine di manovra sul mercato.
Oltre al trend crescente dell’età media dei giocatori – passata da 25.8 a 26.7 anni, da sesta squadra più giovane a quarta più vecchia – la sensazione è che la dirigenza della Roma abbia tentato di "salvare capra e cavoli", tagliando i costi in accordo con le direttive sia della UEFA che della proprietà – che, giustamente, dal primo giorno ha messo la sostenibilità al centro di tutto – ma senza andare eccessivamente contro le indicazioni di un allenatore che, altrettanto giustamente, chiede profili adatti al suo stile di gioco e al suo curriculum.
Negli ultimi anni a Roma sono quindi arrivati giocatori di altissimo calibro come Dybala, Wijnaldum e Matic, ma con risultati non totalmente convincenti. L’impatto di Dybala è stato immediato e lo ha portato a una stagione di un livello che non si vedeva da anni; quello di Matic è diventato realmente positivo solo nella seconda parte di stagione, una volta inquadrata la coppia con Cristante; quello di Wijnaldum è stato semplicemente disastroso, per via delle scarse motivazioni e del grave infortunio di inizio stagione. Chiaramente, con i paletti tra cui si è dovuta destreggiare la dirigenza romanista, si può dire che è difficile trovare il profilo perfettamente aderente alle necessità della rosa, con il risultato che si sono presentati molti giocatori che non hanno impattato sulla qualità della rosa o sulla sua profondità.
Quello degli esterni di difesa in particolare rimane un settore scoperto da almeno due anni e con grandi conflittualità sul piano tattico mai risolte dal mercato, visti i fallimenti degli acquisti di Viña e Maitland-Niles due stagioni fa e di Çelik nella scorsa. In questo momento, infatti, i due esterni sinistri della Roma, Leonardo Spinazzola e Nicola Zalewski, hanno caratteristiche tra loro molto simili: entrambi preferiscono ricevere il pallone in corsa, potendo usare la velocità di passo come strumento per nascondere modeste qualità in dribbling e i tagli interni per sfruttare la scelta di partire sul piede debole – entrambi sono destri naturali.
Eppure, il gioco della Roma non è mai riuscito nell'intento di premiare i punti forti del loro gioco: Spinazzola e Zalewski tendono spesso a ricevere sui piedi, cercando delle accelerazioni dal posto, dove poi sono costretti a cross di sinistro, spesso all'altezza della linea di difesa, imprecisi o a movimenti verso l'interno per calciare con il piede forte, mandando i palloni molto più spesso verso le mani del portiere o la linea di fondo.
La loro tendenza a convergere verso al campo non è mai stata compensata dai movimenti associativi del centrale o del mediano di parte. Roger Ibañez, per esempio, spesso criticato per gli errori nei derby e per il finale di stagione in calando, con la cessione accolta come una sorta di trionfo dalla tifoseria, era l'unico centrale capace di allungare il campo, spezzare la linea e aggredire lo spazio lasciato dai due esterni davanti a sé. Ora l'unico difensore della Roma che riesce occasionalmente a partecipare alla manovra è Gianluca Mancini, che quest'anno è nel 70° percentile dei difensori che tentano più passaggi progressivi in Serie A (0.82 ogni 90') e nel 79° di quelli che creano più azioni da tiro (1.05 a partita). Il suo contributo però non sopperisce alla staticità degli attacchi della Roma.
Ad agire sul suo lato, poi, sono a lungo stati due giocatori, Zeki Çelik e Rick Karsdorp, di cui Mourinho non sembra riuscire a fidarsi: il primo, nato come esterno per una difesa a 4, non ha il passo per reggere le zone più avanzate del campo – paradossalmente, il meglio lo ha dato proprio quando, negli assalti finali, veniva riportato in un contesto più idoneo dove poteva tentare più cross dalla trequarti – mentre il secondo ha già avuto una pesante lite con il tecnico di Setúbal, finendo fuori rosa per alcuni mesi e infortunandosi al rientro; pur essendo il più adatto a completare la batteria d’esterni per il modo in cui gestisce il pallone, non è mai riuscito ad avere una continuità adeguata per farlo.
L'acquisto di Kristensen in estate ha comportato un teorico miglioramento in termini di prestanza atletica e movimenti senza palla negli ultimi metri ma il danese, come i suoi colleghi di ruolo, è un esterno poco efficace nei cross e nella risalita del pallone, prediligendo ricezioni simili a quelle di Spinazzola e Zalewski. La sensazione è che la Roma abbia avuto (e abbia tutt'ora) bisogno di esterni capaci di far salire la palla, in conduzione o con i passaggi, ed eventualmente trovare cross con continuità; un nome che avrebbe risposto bene era quello di Adama Traoré, che sembrava vicino al club e di cui avevamo scritto ma che poi è stato scartato in favore proprio di Kristensen.
In questo momento la difesa a tre della Roma diventa spesso una retroguardia a cinque per l’inconsistenza dei suoi esterni in fase di possesso, che offrono pochi movimenti per aumentare la presenza nelle zone avanzate di campo. Nelle prime uscite la Roma ha mostrato sicuramente una maggiore tendenza a cercare combinazioni veloci tra i suoi attaccanti, con Aouar ed El Shaarawy che hanno provato giocate più rischiose di prima e a due tocchi ma che, inesorabilmente, si sono scontrati con l’assenza di un giocatore in grado di trovarsi a ricevere queste giocate, spesso fatte in inferiorità numerica contro difese schierate. Per certi versi, la Roma vista in queste partite sembrava giocare con un giocatore in meno in possesso: Mourinho potrebbe intervenire su questo aspetto, abbandonando la difesa a tre.
Quello della difesa a tre, per molti versi, è un tema ricorrente nella Roma: l’assemblaggio del pacchetto difensivo romanista ha vissuto diverse storture che lo hanno reso una sorta di mostro di Frankenstein: un difensore, Smalling, quasi ancorato alla propria area di rigore, e due partner, Mancini e Ibañez e poi Mancini e Llorente, formati in squadre più orientate a una difesa aggressiva e di anticipi. Nella scorsa stagione, l'incongruenza tattica dei difensori era stata parzialmente risolta schiacciando la squadra verso la propria area, con due centrocampisti difensivi, Matic e Cristante, formidabili nel pulire le linee di passaggio davanti alla difesa e i tre centrali più protetti e meno costretti a lunghe rincorse.
La cessione di Matic e gli arrivi di Aouar e Paredes hanno spinto Mourinho a cercare di alzare il baricentro – anche per rendere la squadra meno sterile e dipendente dagli appoggi sugli attaccanti – ma la scelta si è scontrata con la difficoltà dei tre ad accorciare in avanti in modo coerente, lasciando decine di metri che possono essere facilmente occupati e sfruttati – come fatto da Reijnders in Roma-Milan – o esponendo molto più chiaramente i limiti di Smalling, che se chiamato a muoversi in spazi più ampi ha sempre mostrato difficoltà – come sul gol di Ngonge in Verona-Roma e sulla prima rete di Candreva in Roma-Salernitana.
Quello che Mourinho ha davanti è un rebus pressoché insolvibile con le risorse a disposizione. Se e come Evan N'Dicka – giudicato ancora non pronto – sarà una soluzione al problema non è ancora chiaro, ma al tempo stesso la sensazione è che uno dei tre centrali sia sacrificabile, viste le fragilità nel difendere il campo alle spalle. Inoltre, queste fragilità sono acuite da un portiere, Rui Patricio, che nella scorsa stagione è stato il secondo portiere meno efficace del campionato, con 6.4 gol subiti in più rispetto ai post-shot xG subiti (dati Opta) e che anche in quella attuale si sta mostrando poco affidabile anche in termini di reattività e uscite.
Nonostante la Roma si sia spinta a difendere leggermente più in avanti, non è migliorata la fluidità posizionale né la creatività che dovrebbero diversificare gli attacchi tra le linee. Ha sicuramente inciso l'iniziale assenza di Paulo Dybala, e il recente infortunio di Aouar non ha migliorato di certo la situazione. L'umoralità della Roma è anche e soprattutto legata all'eccessiva responsabilizzazione che impone al talento dei suoi calciatori offensivi: una scelta che può ripagare nell'aleatorietà di una competizione europea, ma che naufraga facilmente nel lungo termine del campionato.
Con l'acquisto di sette giocatori dal mercato è evidente che la dirigenza della Roma abbia messo una toppa a uno dei limiti peggiori della scorsa stagione – ossia una rosa fin troppo corta – ma, al tempo stesso, non ha trovato soluzione al pessimo accoppiamento dei suoi esterni; non ha dotato Mourinho di un portiere più affidabile e, in ultimo, ha inserito dei giocatori necessari in modo estremamente tardivo, con Renato Sanches – trattato per circa due mesi per strappare condizioni più favorevoli – arrivato a Roma meno di una settimana prima dell'esordio in Serie A e addirittura i due attaccanti, Azmoun e Lukaku, presi a campionato già iniziato.
Per Tiago Pinto, come già detto in precedenza, non è stato facile costruire una squadra dovendo fare i salti mortali tra i paletti del FFP e della società; al tempo stesso, però, le scelte in sede di mercato hanno tradito una poca chiarezza di idee, come mostrano le lunghissime trattative per il sostituto di Abraham, con profili molto diversi tra loro, come Scamacca, Morata, Arnautovic, Beltran e Zapata trattati nello spazio di tre mesi e con Marcos Leonardo inseguito per settimane solo per ottenere, forse, un acquisto a gennaio. Se per certi versi si può dire che l'acquisto di Lukaku abbia fatto cadere tutti in piedi, è anche vero che la trattativa con il Chelsea si è realizzata per un incastro quasi miracoloso di rifiuti ad altre squadre da parte sua – all'Inter e all'Arabia Saudita – e necessità dei Blues di togliersi il suo gigantesco ingaggio dai bilanci.
Che la dirigenza della Roma stia vivendo sul filo del rasoio è abbastanza evidente; secondo i dati di Capology, la Roma è riuscita a ridurre, seppur di poco, il suo monte ingaggi di base rispetto alla scorsa stagione ma il modo in cui lo ha fatto è stato rinunciando al controllo su molti giocatori. Se un anno fa nella rosa della Roma c'erano solo due giocatori in prestito – Wijnaldum e Camara – ora questi sono diventati cinque, quasi un quinto della rosa, e, di questi, tre sono dei titolari designati.
Ci sono delle prospettive?
La risposta immediata a questa domanda, che è anche quella che è più legittimo farsi dopo un inizio di campionato così amaro, è "sì". Per quanto il terzo anno di Mourinho porti con sé quasi una maledizione – una stagione negativa e due esoneri – è oggettivo che il portoghese non abbia ancora potuto attingere pienamente alla rosa. Lukaku e almeno uno tra Renato Sanches e Paredes sono stati presi per essere dei titolari ma, complici gli arrivi a preparazione quasi conclusa e lunghi periodi di inattività, dovranno entrare in condizione nelle prossime settimane prima di diventarlo a tutti gli effetti. In questo senso, il cameo del belga in Roma-Milan resta una buona copertina di Linus per i tifosi della Roma, che hanno visto, anche a detta dello staff, un giocatore più in forma del previsto.
Oltre a ciò, c'è anche la realistica speranza di trovare risorse da Aouar, che ha mostrato delle buone prestazioni prima di infortunarsi contro il Milan, e N'Dicka ma anche dallo stesso Mourinho, da sempre poco propenso a parlare delle sue idee di gioco ma che nelle prime tre giornate ha sperimentato abbastanza, che ha messo – per ora con poco successo, va detto – Cristante nel vecchio ruolo da incursore contro il Verona e ha già lasciato intendere che proverà a far coesistere Dybala, Pellegrini e lo stesso Aouar. L'idea alla base è che la Roma deve aumentare la qualità – oltre che la quantità – dei suoi interpreti negli ultimi metri, un passaggio utile per lasciarsi alle spalle una squadra che nella scorsa stagione è stata ancorata al talento di Dybala e Pellegrini e ai calci piazzati per produrre occasioni.
Per Mourinho, questo rimane uno spartiacque fondamentale: se già lui aveva ridimensionato le aspettative sulla sua squadra, appare chiaro come, anche quest'anno, sarà nei fatti costretto a dover imprimere qualcosa di nuovo, sia per ridare inerzia a una squadra che da Budapest è uscita molto provata emotivamente, che per raggiungere, al terzo tentativo, l'obiettivo del quarto posto. Da questa stagione passa molto del prossimo futuro della Roma ma, anche e soprattutto, del futuro del portoghese.
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