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Lucas Beltrán con la maglia della Fiorentina
, 24 Agosto 2023

Cosa ha visto la Fiorentina in Lucas Beltrán?


Il nuovo attaccante della Viola dovrà fare meglio degli ultimi predecessori.

La Fiorentina non ha ancora trovato un sostituto degno di Vlahovic e così ha deciso di comprare la quinta punta in un anno e mezzo. Lucas Beltrán ha 22 anni e viene da un semestre da 16 gol in 35 partite con il River Plate. Gioca punta ma in campo sa fare molte cose oltre a segnare; è asciutto tecnicamente e duttile tatticamente, il prototipo perfetto del giocatore formato nel River.

È entrato nell’accademia del club a 14 anni e da allora ha vissuto per lo più nella pensione del centro tecnico. La mattina si allenava e il pomeriggio andava al collegio. È cresciuto imbevuto della cultura del club e col tempo ha maturato uno stile di gioco poco appariscente ma perfettamente funzionale al sistema del River.

Conosciamo la capacità del River di sfornare giocatori a ripetizione, di autosostenersi attraverso il proprio settore giovanile, ma da quando Marcelo Gallardo ha rivoluzionato la gestione del club anche il processo di produzione del talento è stato sistematizzato. Oggi il River non esprime solo talenti spuri come da tradizione del calcio argentino. Gioiellini dalle straordinarie doti tecniche ma che emergono in modo spesso spontaneo, disorganico ai compagni. Al contrario, alleva calciatori dalle qualità forse più intangibili, ma meglio educati a giocare un calcio collettivo e tatticamente codificato.

Giocatori insomma “di sistema”, che crescono fin dal vivaio secondo i principi di gioco dei grandi e arrivano in prima squadra conoscendone benissimo i pattern tattici. Paradela, Palavecino, Simón, Rollheiser, Solari, sono solo alcuni dei giovani offensivi promossi nella prima squadra del River negli ultimi anni. Giocatorini che sembrano fatti con lo stampino: quasi indistinguibili, tutti possono giocare in più posizioni tra il centrocampo e l’attacco. Nessuno ha qualcosa di appariscente, tutti sanno interpretare perfettamente lo spartito tattico del River. È il compimento della visione di Gallardo: dare al River un’organizzazione simile a quella del Barcellona nell’epoca d’oro della Masia e di Guardiola.

Beltrán appartiene a questa nidiata di giocatori laboriosi come scolaretti. Giocatori magari privi di estro ma estremamente precisi e affidabili, capaci con la loro duttilità tattica a ricoprire diversi ruoli e mettere una pezza ovunque ci sia un buco. Una nidiata di cui fa parte pure Julian Alvarez, anche se quello un talento appariscente ce l’ha per davvero. Alvarez e Beltrán vengono dalla stessa città, Cordoba, hanno passato molto tempo insieme nella pensione del River e condividono un’interpretazione simile del ruolo di punta.

Due attaccanti estremamente mobili, versatili e intensi nel lavoro di pressing. «Abbiamo una grande amicizia ed è possibile che passando tanto tempo insieme e giocando insieme uno copi le cose dell’altro» dice Beltrán quando gli domandano della somiglianza con l’altro.

Beltrán non ha il talento calcistico di Alvarez, quel tipo di tecnica col pallone tra i piedi. Le sue qualità sono meno appariscenti e per accorgersi che è un giocatore interessante bisogna guardare soprattutto al suo lavoro senza palla. All’intelligenza dei movimenti incontro; alla postura del corpo, sempre orientato bene per eseguire una sponda di prima o girarsi verso la porta; agli smarcamenti in area di rigore per ricevere l’assist; all’intensità da tarantolato che mette nel pressing. Un giocatore con un dinamismo fuoriscala, capace a far da raccordo e attaccare la profondità nella stessa azione.

Per capire meglio il suo stile di gioco riguardiamo una delle sue migliori prestazioni finora, nella vittoria contro il Fluminense nei gironi della Libertadores a inizio estate. In una squadra dal pressing altissimo e le transizioni corte come il River, Beltrán era l’interruttore della riaggressione, colui che iniziava il pressing con un’elettricità da invasato che lo spingeva a inseguire il portatore avversario anche all’indietro.

Degli attaccanti come Beltrán si dice spesso che sono “i primi difensori”, tuttavia il suo talento non è tutto qui: Beltrán ha anche una buona tecnica col pallone, e un bel gioco spalle alla porta fatto di ricezioni pulite, protezioni e passaggi in verticale per i tagli in profondità dei compagni. Sono notevoli per pulizia il filtrante di prima per Solari al minuto 0:10 di questo video, o la sponda a due tocchi per l’avanzata di Nacho Fernandez al minuto 0:15.

Possiamo definire Beltrán essenzialmente un attaccante di manovra; è lui stesso a raccontarsi così: «Sono un attaccante che fa gol e a cui piace partire fuori dall’area. Fare da perno, tenere palla e concludere arrivando da dietro», diceva ai tempi delle inferiori del River. Ma quando può attaccare la porta frontalmente – come dimostrano i momenti in cui il River raggiungeva la zona di definizione dell’azione – Beltrán ha movimenti da finalizzatore vero. Contro il Fluminense ha segnato il gol del vantaggio tagliando sul primo palo, fiutando prima del difensore dove sarebbe andata la palla.

Beltrán è stato un protagonista assoluto della Liga Profesional vinta dal River Plate lo scorso semestre, in cui per la prima volta nella sua carriera è andato in doppia cifra: 12 gol in 25 partite. Il più bello, forse, in casa contro il Godoy Cruz. Una giocata che mostra la sua agilità in spazi stretti, in cui controlla il pallone spalle alla porta e poi se lo sposta in un fazzoletto per proteggerlo dalla scivolata disperata di un difensore. La morbidezza del controllo orientato e la rapidità con cui si prepara il tiro esprimono agilità tecnica e freddezza.

Appena arrivato nella prima squadra del River, con Marcelo Gallardo in panchina, Beltrán giocava principalmente in supporto del primo centravanti, come esterno su entrambe le fasce o da seconda punta. Era soprattutto la sua abilità nel lavoro sporco, la sua attitudine ad aiutare la manovra con un mix di lotta e tecnica, a essere esaltate. Fin dalle giovanili Beltrán non è mai stato un finalizzatore troppo prolifico. Aveva buona tecnica e calciava bene, certo, ma in qualche modo non spiccava per nessuna specializzazione particolare.

Un giocatore con una tecnica disciplinata, che si muoveva bene senza palla e si spendeva molto nel lavoro difensivo. Il core del suo gioco era la completezza e la versatilità, e questo aveva convinto Gallardo a usarlo come un coltellino svizzero per risalire il campo, lontano dalla porta. Spostato in fascia, però, Beltrán mancava dell’estro e dell’esplosività di un’ala che dribbla; è difficile che superi un avversario in uno contro uno. Quando nel 2021 è stato ceduto in prestito al Colón, la carriera di Beltrán sembrava già a un punto di ristagno.

La specializzazione di Beltrán come punta è arrivata parallelamente alla sua esplosione, nell’ultimo semestre. È stata un’esplosione veloce, inaspettata: nelle prime sei partite di campionato l’allenatore Martín Demichelis – subentrato sulla panchina del River a gennaio dopo l’addio di Gallardo – lo ha schierato titolare solo una volta. Poi alla sesta giornata Beltrán ha segnato da subentrato contro il Lanús, e da quel momento non è più uscito dall’11 titolare.

In principio Beltrán era la terza scelta di Demichelis per l’attacco, dietro i più esperti Salomón Rondón e Miguel Borja, ma poi ha scalzato i concorrenti mettendoci qualità e dedizione. Ha dimostrato freddezza sotto porta (ha trasformato tutti e 4 i rigori calciati) e segnato alcuni gol di fattura davvero pregevole. Contro il Lanús si è preparato la conclusione con un controllo orientato delicatissimo, e poi ha scaricato in porta un tiro secco e preciso.

Nonostante sia stato paragonato a Fernando Cavenaghi, Beltrán è piuttosto carente nel gioco aereo. Null’ultimo campionato ha vinto meno di un duello aereo a partita, appena il 30% di quelli tentati. Questo lo rende un tipo di centravanti atipico, più tecnico che fisico. Intorno alla stazza fisica di Beltrán è facile cadere in un equivoco: è alto solo un metro e 76 e pesa 75 chili, ma in campo per qualche motivo sembra più grosso e pesante di così.

È soprannominato “El Vikingo” non solo per il tono rossiccio della pelle e dei capelli, ma anche per un senso di possanza fisica che trasmette. Se questa possanza non è giustificata da caratteri antropometrici oggettivi, allora è l’uso tecnico che fa del fisico a suggerirla. Il modo in cui orienta il corpo per proteggere palla, l’aggressività che mette nel pressing. Le armi che Beltrán oppone alle difese avversarie sono puramente tecniche: il dinamismo dei movimenti senza palla, la pulizia del controllo orientato con cui lavora bene il pallone spalle alla porta, anche quando riceve con l’uomo addosso.

Nel 4-2-3-1 della Fiorentina Beltrán arriva per occupare la posizione di punta, ma in qualche caso potrebbe giocare anche come trequartista/seconda punta. Lo ha già fatto nel River, giocare in supporto di un centravanti più statico come Borja o Rondón. Il ruolo di punta titolare, comunque, se lo contenderà con M’Bala Nzola. Un altro attaccante specializzato nel gioco di raccordo fuori dall’area di rigore, già allievo di Vincenzo Italiano al Trapani e allo Spezia.

Per il suo gioco intenso con e senza il pallone, la Fiorentina di Italiano ha disperatamente bisogno di punte che facciano molto lavoro sporco. Che ripuliscano le verticalizzazioni della difesa, che si muovano incessantemente per trovare lo spazio in cui ricevere il pallone, che macinino una grossa mole di gioco. La classe di attaccante a cui appartiene Vlahovic, un giocatore che alla Fiorentina sembrava coprire due o tre ruoli per l’intensità che metteva in campo.

Beltrán si inserisce bene in questo senso: viene da un sistema iperintenso come quello del River, e ha già familiarità con meccanismi di riconquista del pallone aggressivi come quelli della Fiorentina, la seconda squadra con l’intensità del gegenpressing più alta nella scorsa Serie A (dato Soccerment). Rispetto a Nzola offre meno garanzie nel gioco aereo, ma in compenso è più dinamico e agile.

L’anno scorso la Fiorentina ha faticato disperatamente ad aprire spazi sulla trequarti, a costruire rifiniture che non passassero dai cross dalle fasce. Beltrán sarà chiamato a ovviare a questo problema coi suoi movimenti incessanti: dovrà staccarsi dalla difesa per offrire un appoggio sulla trequarti e poi lanciarsi velocemente in profondità. Ha l’intensità fisica per riuscirci, ma è un lavoro oggettivamente difficile e faticoso, in cui finora ha brillato solo Vlahovic.

Beltrán non ha il talento da fuoriclasse di Vlahovic, quella capacità miracolosa che hanno i migliori talenti di piegare la realtà al proprio volere. Non dà mai l’impressione di poter risolvere le partite da solo. È un buon “operaio”, un giocatore associativo che si esalta quando può connettersi a compagni dinamici come lui, che compensino i suoi movimenti. Nel River si accoppiava bene con Solari, una punta leggera pronta a lanciarsi in profondità quando Beltrán veniva incontro.

Beltrán, insomma, non è un giocatore autosufficiente, che può sbloccare da solo quelle azioni stagnanti tipiche della Fiorentina dell’anno scorso, con l’attacco impantanato in un giro palla orizzontale. La sensazione è che per valorizzare le sue qualità la Fiorentina dovrebbe diventare più verticale e diretta, affidarsi di più alle transizioni; negli spazi angusti degli attacchi posizionali più statici, invece, il furore e il dinamismo di Beltrán potrebbero appassire. Per rendere il gioco più dinamico, la Fiorentina potrebbe cominciare dall’incoraggiare i tagli in profondità dei trequartisti, ma al momento solo Bonaventura ha nelle corde movimenti simili, mentre i due esterni titolari Ikoné e Nico González preferiscono ricevere sui piedi in isolamento.

Beltrán è stato pagato circa 22 milioni di euro: una cifra importante per l’attuale Serie A. Il prezzo d’acquisto ha un significato relativo, certo, ma è lecito domandarsi se la Fiorentina abbia fatto la scelta giusta a investire tutto il tesoretto della cessione di Cabral su Beltrán. In fondo si tratta di un giocatore che non ha esperienza fuori dal calcio argentino.

Uno che nel curriculum non ha molti gol, e che in carriera ha vissuto solo quattro mesi ad alti livelli, quelli che vanno da marzo a luglio scorsi. Un periodo di tempo oggettivamente troppo breve per basarci sopra previsioni ad ampio raggio. È vero, d’altra parte, che anche Julian Alvarez era stato comprato dal Manchester City dopo un solo semestre sulla cresta dell’onda. In quel caso la scommessa ha ripagato, se lo farà anche quella della Fiorentina lo scopriremo col tempo.


  • Salentino e studente di Architettura. È nato il 23 dicembre come Morgan, Carla Bruni e Vicente Del Bosque.

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