Leo Messi è ancora tra noi
E con lui la sua magia.
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un video, realizzato dagli spalti dello stadio di Nashville, buttato in pasto a TikTok e ricilatosi nei vari social, in cui un tifoso riprende Lionel Messi in campo. È un video fatto stranamente bene per venire da un telefono ma per due terzi del video non succede nulla: Messi cammina, si aggiusta i capelli e la barba, ogni tanto si ferma e guarda il Tata Martino in panchina. Cammina e guarda, continua a camminare e guardare.
All’improvviso accelera e dall’incrocio tra la linea laterale e quella di metà campo scatta; ai trenta metri alza il braccio per chiamare la palla, lo fa nuovamente mentre stringe verso la lunetta dell'area; la palla arriva e lui va talmente veloce che il persino il cameraman improvvisato si sorprende, la ripresa stacca un attimo e si perde il controllo con l'esterno sinistro con cui Messi si sposta il pallone per eludere l’intervento del difensore. Messi calcia a giro sotto l’angolino. 9 secondi, tanto passa dall'accelerazione al boato di Nashville. 9 secondi. Troppo pochi anche per TikTok, tanto che il nulla che precede lo scatto assume tratti apocalittici.
Il modo in cui Messi arriva, tocca la palla e la scarica sotto al sette è ormai talmente incredibile che non fa quasi più notizia, non sappiamo nemmeno più quale valore di realtà dare alle immagini. Dovrebbe farci riflettere sul modo in cui lui e Cristiano Ronaldo ci hanno mostrato la ripetibilità della grandezza. Per gli standard estetici di Messi, gol come questo, o questo, o uno qualsiasi dei primi 5 che vi vengono in mente pensandoci sembrano normali, una diretta e naturale emanazione del suo talento. Questo forse ha addirittura qualcosa in meno: è arrivato in una competizione di livello imparagonabile a quello della Champions League o del Mondiale, contro avversari modesti e con ritmi troppo più bassi per non mostrare la naturale flessione che l'età ha portato nel fisico di Leo.
Arrivato a 36 anni, con venti passati suoi campi di gioco, Messi ci ha assuefatto alla grandezza: le sue giocate ormai fanno permeare un senso di già visto, come se mettere un pallone nell'angolino fosse la cosa più normale per lui. Forse anche lui si è assuefatto della sua grandezza: forse si è stancato di essere Messi, quello che deve vincere tutto da solo, e per questo è andato in Florida, a godersi il tempo con la famiglia, il sole, il traffico e l'umidità di Miami. D'altronde, che altro può chiedere? Come altro può completare la sua legacy da campione di ogni cosa possibile? Ora, dopo vent'anni, Messi può tornare a giocare per il gusto di farlo, spogliato dall’obbligo di dimostrarsi il più vincente e il più forte.
Le prime partite di Messi in America sono state delle piccole opere d'arte: un esercizio di controllo gioioso ma al tempo stesso subdolamente violento, come a ribadire che, anche a 36 anni, anche dopo tutto questo tempo, Leo Messi è ancora Leo Messi, l'alieno tra gli umani. I video delle sue giocate ci restituiscono ancora la sua vita, la sua unicità e bilanciano quasi perfettamente la rabbia e il fastidio con cui Cristiano Ronaldo cerca di ribellarsi invano al suo decadimento fisico. Messi ha segnato subito, alla prima partita, non partendo nemmeno da titolare: lo ha fatto con una punizione neanche straordinaria per i suoi canoni, in cui è ancora facile comprendere che ad aver sbagliato sono stati la barriera e il portiere.
Inizia da titolare quella dopo, contro Atlanta, e sembra aprire le acque davanti a sé. La portata di questa prestazione è tale che il canale YouTube di ESPN FC gli dedica un video di highlights individuale – la prima volta nella storia, chiaramente. Anche in questo caso, l’abitudine a vedere Messi fare ciò che vuole sui campi di tutto il pianeta rende questa prestazione quasi normale. Quello che fa Messi resta però insensato, anche se non è più costretto a farlo tra Sergio Ramos, Pepe e Casillas al Bernabeu.
Dopo otto minuti e Messi segna il primo gol: attacca la linea su un lancio di Busquets, mette giù col sinistro, calcia sul palo e segna di destro sulla respinta. Altri cinque e con un interno sinistro così profondo da lambire il tacco recapita la sfera sul piede di Taylor, che di prima fa andare l'ex Torino Josef Martinez davanti alla porta. Altri nove e segna di nuovo, ancora col destro, guidando una transizione lunga e dipingendo un triangolo con Taylor. Nel secondo tempo ci mette otto minuti prima di condurre in campo aperto come avesse cosparso il suo sinistro di vinavil e servire Taylor davanti alla porta. Nel mezzo, vari momenti in cui va a prendersi il pallone direttamente dai piedi di Busquets, distribuendolo sugli esterni con precisione millimetrica e altre corse in cui la palla sembra un'appendice naturale del sinistro.
Messi ha ormai assunto le sembianze di un senescente Maradona: sciolto dai vincoli dei compagni e libero di giocare alle altezze del campo che preferisce, svincolato dalla necessità della giocata decisiva e libero di lasciar fluire il suo infinito talento, che in campo lo fa muovere come se fosse circondato da luce angelica. La leggerezza e la serenità con cui Messi dipinge gioco sui campi americani è qualcosa a cui non eravamo più abituati, almeno nei club: negli ultimi anni in Europa abbiamo visto il Messi sovraccaricato di responsabilità in versioni disfunzionali del Barcellona, il Messi triste del PSG, il Messi quasi rabbioso della nazionale ma mai un Messi veramente felice.
Lo stiamo vedendo ora, con indosso una maglia rosa e i fenicotteri sul cuore in una sorta di icona vivente del turbocapitalismo americano. Forse se ora incrociasse ora Weghorst negli spogliatoi non gli direbbe “Qué mira’ bobo?”, forse lo abbraccerebbe e gli direbbe che le sue sponde erano bellissime e a Manchester non lo hanno capito. Messi ora è libero dal fardello della nazionale, dei mondiali, delle Champions League, degli avversari che cercano di portargli via le caviglie ogni tre giorni, dei capi di stato che chiamano i suoi compagni per chiedergli di non andare al Real Madrid.
Messi col calcio non ha ancora finito – a vederlo giocare verbbbe da pensare che non avrebbe ancora finito nel calcio che conta, che noi facciamo contare – ma non vuole più illudere nessuno, sé stesso per primo: quella fine non è così lontana. In un’intervista al Miami Herald, Messi cita solo tangenzialmente il lato sportivo quando motiva la scelta di andare in Florida: “È stata una decisione di famiglia, con mia moglie e i miei figli”, dice Leo, “sono contento, non solo sul piano sportivo ma soprattutto per come la mia famiglia vive ogni giorno”.
Si vede ora, seppur in controluce, il lato umano di Leo Messi: contemplando le sue giocate ci si dimentica che non c’è più la frequenza turbinante di dieci anni fa, che non è più quello che segna o che fa più assist di tutti, ma la sua qualità, la sua eleganza e il suo stile sono ancora al loro posto, cristallizzati in giocate sempre meno frequenti, più lente e appesantite ma ancora vive, che emanano calore, che ogni volta ci lasciano fermi lì, a godere della sua straordinarietà.
Messi ha giocato sei partite e segnato dieci gol all'Inter Miami. Ha vinto la Leagues Cup, un torneo creato neanche cinque anni fa per spingere gli americani a vedere la MLS sfruttando la popolarità del campionato messicano – che a oggi è ancora il campionato più visto negli USA – e che alla prima edizione nel suo nuovo formato ha ricevuto la teofania nella forma di un argentino con una maglia rosa e qualche segno nero sulle spalle e sul petto. Messi ha segnato in tutte le partite del torneo, assurgendo a salvatore come 8 mesi fa in Qatar. Negli ottavi contro Dallas ha segnato con un piazzato rasoterra, entrato a mezzo palmo dal palo: una violenza sadica, o quasi.
Sempre contro i texani ha telecomandato una punizione sotto l'incrocio dall’angolo destro dell’area e ha segnato il rigore nella serie finale. Contro Philadelphia in semifinale ha realizzato con un sinistro rasoterra incrociato da oltre ventri metri. L’ultimo gol, quello nella finale contro Nashville, lo abbiamo visto. Una visione eterna e ugualmente contingente, che passa e resta. Hegel aveva visto lo "spirito del tempo" intuendo in Napoleone a cavallo un futuro in grado di riportare al passato e sublimare il presente. I 30mila persone che hanno riempito il Geodis Park di Nashville, forse, lo hanno visto in Leo Messi.
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