Così è nato il Real Zigan: intervista a Gianni "Gipi" Pacinotti
Il fumettista ci racconta la sua nuova vita da presidente di una squadra di calcio a 5.
Questa intervista è riportata integralmente per come si è svolta e contiene linguaggio esplicito e passaggi che potrebbero risultare offensivi.
Gianni Pacinotti, in arte Gipi, è un fumettista italiano e, nello specifico, anche il preferito di chi scrive. I suoi lavori hanno spesso e volentieri riscosso il favore della critica e nel corso degli anni ha collaborato con La Repubblica e Internazionale, disegnato copertine di album ("Canzoni da Spiaggia Deturpata" de Le Luci della Centrale Elettrica), scritto e diretto lungometraggi, creato giochi da tavolo ed è stato il primo fumettista candidato al Premio Strega.
Nell’ultimo anno, oltre a proseguire tutte le sue altre attività nel mondo culturale, ha deciso di fondare e diventare presidente del Real Zigan: una squadra composta da ragazzi Rom della periferia di Roma.
Ho avuto la fortuna di fare una lunga chiacchierata con lui riguardo a questa bellissima realtà e a diverse altre cose, tra cui l'improvvisa esplosione della sua passione per il calcio - e per il Pisa - e i suoi progetti editoriali presenti e futuri.
Ciao Gianni, innanzitutto ti dò il benvenuto da parte di tutta la redazione di Sportellate e ti ringrazio per la disponibilità.
Grazie a voi!
Fumettista, regista, creatore di giochi da tavolo ed ora presidente di una squadra di Calcio a 5: come è nato il Real Zigan e l’idea di diventarne il presidente?
È nato in seguito ad un’amicizia che si è creata tra me e una famiglia di ragazzi rom, che vivono in un campo alla periferia di Roma: per la precisione, una giovanissima coppia che aspettavano quella che poi si è rivelata essere una bambina. Grazie a loro, ho conosciuto altri ragazzi del campo, ho iniziato a frequentarlo e mi sono trovato benissimo. É stata una sorpresa molto bella, per me, sapere che c’era ancora un posto nel mondo in cui mi sentissi a mio agio, visto che non ne trovavo più (ride, ndr) e quindi io e mia moglie abbiamo frequentato per mesi questa famiglia di neo-genitori. Li abbiamo aiutati perché non avevano nulla: documenti, codice fiscale, soldi, permesso di soggiorno: nulla, erano praticamente inesistenti. Ora hanno il permesso di soggiorno e i documenti in regola, mentre Tony (il ragazzo) ha un lavoro. Questa cosa, poi, è cresciuta in maniera esponenziale, perché a quel punto anche gli altri ragazzi del campo hanno poi chiesto il nostro aiuto, chi per tornare a scuola, chi per fare i documenti, ecc. ed ora, oltre a fare i fumetti, la mia vita è questa.
Come si è passati da “aiutare i ragazzi di un campo Rom” a “fondare una squadra”?
Il Real Zigan è stata solo la conseguenza a quanto ti ho raccontato. Vedevo questi ragazzi giovani, pieni di energia che buttavano via le giornate e, io che da giovane sono stato un po' delinquente, ho riconosciuto in quella situazione le stesse dinamiche che poi portarono me in galera, da ragazzo. Mi sarebbe dispiaciuto se fosse accaduto anche a loro, quindi ho cercato di inventarmi qualcosa che desse un po' di senso alle loro giornate e mi arrivò questa idea di creare una squadra di calcio, perché mi sembrava che il pallone fosse la loro più cristallina passione. Ma io di pallone non capisco nulla: mi sono innamorato del Pisa due anni fa, dopo 58 anni di assoluto disinteresse per questo sport. Non ho mai saputo giocare: ho sempre intuito che fosse una cosa stupenda e rosicato tantissimo di non averla potuta vivere mai. Non avevo idea di come iniziare, così ho chiamato Valerio Mastandrea, che è un amico e lui, sempre all’epoca, mi ha messo in contatto con questo allenatore di calcio a 5, che si chiama Enrico Zanchini, una persona che ha dedicato buona parte della sua vita al calcio sociale e è pure campione mondiale di questo sport con la nazionale di persone con problemi mentali.
È stato fatto anche un documentario a riguardo, vero?
Esattamente. Si chiama “Crazy for football” e se ti capita guardalo, perché è bellissimo. Vedrai che persona è Enrico: è meraviglioso come parla, come tratta i ragazzi. È perfetto. Comunque, tornando al Real Zigan, ad Enrico è piaciuto subito il progetto e ha messo a nostra disposizione il circolo con i campi e gli spogliatoi. Allora Enrico mi aveva anche detto che mi avrebbe trovato un allenatore, perché purtroppo era troppo impegnato per poter seguire anche i "miei" ragazzi, ma – sorpresa – mentre stavo attendendo di essere contattato da questo potenziale allenatore, Enrico ha cambiato idea e mi ha scritto un messaggio molto chiaro: "Vaffanculo, li alleno io". In quella situazione, inoltre, Enrico mi fece una battuta che mi fece molto ridere e che va presa per quello che è: "Ho allenato i matti, ho allenato i tossici, mi mancano solo gli zingari! Cazzo, lo faccio!". E l'ha fatto: è diventato l'allenatore del Real Zigan.
Raccontami un po’ com’è cominciata quest’esperienza…
Il primo giorno di allenamento i ragazzi sono arrivati con 40 minuti di ritardo (ride, ndr), perché all'inizio già l'idea di alzarsi alle 8 di mattina, per loro, era una cosa, diciamo, inusuale: la loro vita nel campo era tutt'altro che strutturata. Enrico li ha accolti con una roba come: “Maledetti zingaracci, mortacci vostra 40 minuti di ritardo" e questo li ha fatti ridere e affezionare subito - cosa che fu subito reciproca – al loro allenatore. All'inizio i ragazzi erano un po' diffidenti: non erano abituati al fatto che persone esterne al campo fossero interessate a loro. Avevano difficoltà a fidarsi, perché avevano il timore ci fosse “la fregatura sotto“. Ma gli unici per cui c’era la fregatura eravamo io, che dovevo fare su e giù a recuperare quelli che non si svegliavano e Enrico, ritrovatosi ad allenare l'ennesima squadra gratuitamente.
Se il buon giorno si vede dal mattino, non oso immaginare come sono stati gli inizi in campo.
All'inizio giocavano come i bambini: andavano tutti dietro la palla, non davano retta all’allenatore, facevano tipo le mosche sulla cacca, tutti attratti dal pallone. Ci sono state anche delle belle litigate durante le partite: momenti di tensione, tutta roba bella, cose che succedono quando sei vivo. Per fortuna, pian piano hanno iniziato a seguire i dettami del Mister, iniziando a tratti ad essere una squadra e non un gruppo di singoli. Il Real Zigan prendeva forma, allora feci fare le divise, disegnate da Tony e Alpacino che presero spunto dalla bandiera Rom (verde e blu con una ruota di carro rossa nel mezzo), però la ruota del carro ho voluto fosse fatta con la bandiera dell'Italia, perché per me i ragazzi sono tutti italiani e quindi adesso la ruota è tricolore. Trovai addirittura lo sponsor: la “Cmon games”, grazie a David Preti un mio carissimo amico e Santo protettore della squadra.
Ho letto che ci sono alcuni problemi relativi ai campi del circolo "Il Faro": com'è la situazione?
I problemi del campo, purtroppo, ci sono da tanto: da molto prima che io e gli zingari arrivassimo. Enrico ha provato a spiegarmeli nel dettaglio, ma io “sono de coccio”. La situazione, più o meno, è questa: il circolo dove si allenano è proprietà della Croce Rossa, a cui pagano l’affitto regolarmente, ma la nuova dirigenza di questi ultimi ha deciso che le attività del Circolo (calcio sociale, calcio per bambini ecc.) non rientrano nella loro visione del mondo. Si, quello che sto dicendo è che un circolo dove si fa calcio sociale, dove le persone più disagiate trovano una casa, dove i bambini del quartiere trovano un posto dove allenarsi e fare comunità pare non sia ben visto dalla Croce Rossa: insomma, un paradosso. Per fortuna il comune è dalla parte del Circolo e per ora ha respinto la richiesta di “restituire” loro il circolo, ma in questo momento non si parla che di una specie di tregua estiva.
Torniamo al tuo “innamoramento” del calcio, di cui mi hai parlato prima. Com’è avvenuto? Lo vivi come un’opportunità o un errore?
La seconda che hai detto: è stato un errore. Se l’avessi saputo, mai e poi mai mi sarei fatto mordere dalla quella tarantola. É una storia stupidissima, in realtà: i miei suoceri sono andati in vacanza, lasciandomi la loro scheda della Pay-TV dove c’era, tra le altre cose, l’abbonamento al calcio. Per questo, io che sono un anziano, mi sono messo sul divano e ho guardato un qualche partitone, non ricordo con precisione, una roba tipo Real Madrid – PSG e guardando la partita mi sono detto: “Porca troia, che cosa incredibile!” e allora ho iniziato a guardare, una dopo l’altra, queste partitone. Non so cosa fosse: forse Coppa dei Campioni, partite con dei fenomeni incredibili e lì ho capito per la prima volta che ci sono delle partite “super” anche al di fuori dei Mondiali. Anche gli Europei un po’ mi avevano accesso il fuoco, grazie alla cavalcata trionfale della nostra nazionale, ma poi, all’improvviso, mi sono ritrovato a pensare: “Ma il Pisa? La squadra della mia città natale, il Pisa do’cazzo è?”
In serie B…
Già… Scoprii che il Pisa era in serie B ma, in quel momento, era pure primo in classifica! E aveva questo allenatore: Luca D’Angelo, un uomo straordinario, del quale io mi sono calcisticamente e umanamente innamorato. Ho cominciato a seguirlo, ad ascoltare le interviste, il modo in cui parlava ai giocatori, come stava in campo durante le partite. Mi ricordo una partita in cui stava piovendo a dirotto con lui che non è mai andato al riparo sotto la panchina, passando tutti i 98 minuti del match sotto l’acqua, come i suoi giocatori. Io sono proprio un uomo all’antica: a me queste cose…
Ti gasano?
Si, tantissimo. Magari è normale, magari lo fanno tutti. Io non ne ho idea. Devi pensare che per me era la prima volta che assistevo a queste cose. Così ho cominciato a seguire il Pisa, che giocava in una maniera strepitosa, in quel campionato. Quell’anno (Stagione 2021/2022) arrivammo fino ai playoff con il Monza per andare in seria A, con Berlusconi, buonanima, che mentre una traversa spaccava il cuore a noi pisani, dormiva sulle tribune. Mentre io stavo morendo, lui dormiva, dandomi l’ennesima prova della sua superiorità nei miei confronti. Perdemmo una partita incredibile ai supplementari. Una cosa da infarto. Io, tra l’altro, ero andato talmente in fissa con i calciatori che avevo preso a far loro ritratti su Instagram. Finita la stagione, mandarono via D’Angelo e presero Maran. Un disastro. Ogni sconfitta di Maran pubblicavo su Instagram il ritratto di D’Angelo che avevo fatto e taggavo il Pisa chiedendo: “Quando me lo ridate?” (ride, ndr). Un ritratto che, tra l’altro, gli ultras portavano ogni partita in curva sul due aste, riempiendomi il cuore d’orgoglio.
Sono passato dal totale disinteresse, condito dalle classiche frasi sugli “undici imbecilli in mutande che corrono dietro ad un pallone” alla malattia: ormai l’estate, per me, è soltanto l’attesa per l’inizio della prossima stagione. Ho la sciarpa del Pisa, la maglia di Torregrossa che metto sempre quando c’è la partita e soffro come un cane, in quei 90 minuti. C’è questa cosa strana poi, questo legame con Pisa a distanza, visto che ci sono cresciuto. Quando vedo i tifosi in curva, che tra l’altro credo siano le persone più diverse da me come tipo di esistenza, penso che siano miei fratelli. Ho questa sensazione assurda verso queste persone a torso nudo, tutte tatuate e rapate a zero, che urlano offese contro il Livorno e Fiorentina, che neanche giocano in quel momento. Ho questa sensazione di fratellanza verso di loro che non so neanche spiegare: mi sembrano cugini. Sono chiaramente impazzito.
Facendo un passo indietro, hai sempre detto che scrivere alcuni tuoi fumetti ti ha salvato la vita, esattamente quanto coltivare passioni come sport, musica e tutto il resto. Questa “formula”, secondo te, può aiutare le persone nei momenti bui della vita che prima o poi tutti siamo costretti ad affrontare?
Le poche volte che faccio ancora seminari sul fumetto, o le tante volte che parlo con i ragazzi giovani che vogliono fare questo mestiere, la cosa che dico sempre è: "non si fa per la pagina, si fa per la tua vita". Ci vuole una passione forte, che però non dev'essere velleità di pubblicazione, il desiderio di diventare famosi o quello di avere 100/200 mila follower del cazzo su qualche social. Dev’essere seria e sana passione per quello che fai! Una sana ricerca, desiderio di migliorarsi e di scoprire il mistero che c'è dietro alla creazione artistica. Quella cosa ti salva la vita e te la salva perché non ti annoi mai: non è poco. Io non mi sono mai annoiato in vita mia, nemmeno un minuto, neanche in galera mi sono annoiato. È una cosa che ti cambia proprio l'anima, ti fa vedere il mondo e le persone in un altro modo: questo vale per tutto, dal modellismo con gli stecchini, al coro della chiesa.
L’essere umano ha bisogno di queste cose, di un livello che ci trascende e l'arte ti trascende. Io sono realmente contento quando faccio un disegno, quando accade questa specie di miracolo in cui mi sembra di "sparire". Il disegno non è un’affermazione di me, ma l’esatto contrario: sparisco come se non fossi più io. In un momento come questo, nel quale l'attenzione su sé stessi e sul proprio ego sembra essere una religione dominante (almeno nella società occidentale), abbiamo bisogno di qualcosa cosa che riduce, che ti trascende, ti fa sentire piccolo, che annulla il tempo e ti toglie la sensazione di invecchiare. È tutto questo che può salvare una vita.
É questo che succede anche ai tuoi ragazzi del Real Zigan?
Non lo so. io so solo che in campo si trasformano. Dovresti vedere come sono belli! Come cazzo sono belli, come cambia il portamento, la determinazione. Passano da essere dei “ciondoloni" attaccati ai video di TikTok a gente che da il meglio di sé, che si sfonda il fiato correndo. Adoro come si trasformano.
Come presidente di questi ragazzi, che obiettivi hai?
Io sono un “uomo del novecento” credo che dire la verità sia sempre una cosa buona. La prima cosa che dissi ai ragazzi, all’inizio fu qualcosa come: “siete Rom e state sul cazzo a tutti, pure a ragione, spesso” [sic!], inutile girarci intorno, “quindi la prima cosa che voglio è che le persone che vi vedono giocare tornino a casa e pensino a come vi comportate bene voi ragazzi”. Quindi, per prima cosa, in campo e fuori, si devono distinguere per educazione, gentilezza e rispetto. La seconda cosa è quella più banale, quella di non essere obbligati a vincere, ma di fare del proprio meglio per provarci. Chiaramente però, quando si perde, rosico tantissimo.
Per chiudere, non posso non farti almeno una domanda sui fumetti. Dopo “Barbarone sul pianeta delle scimmie erotomani”, che è un fumetto ironico e anarchico soprattutto...
Bravo, meno male che qualcuno l'ha capito.
Beh un fumetto senza contorni, con le didascalie a dividere le vignette...
Meno male che qualcuno se n’é accorto "parte due". Sei appena diventato uno dei miei intervistatori preferiti, nessuno ha mai sottolineato questa cosa, parlando con me di Barbarone. Ti ringrazio, sul serio! Il fumetto italiano mi sembra diventato triste: un sacco di sermoni, un sacco di lezioni di vita, su cosa è bene e cosa e male... Posso dirlo? Ma che palle! Con “Barbarone” volevo divertirmi e ho creato questa cosa folle.
Troppo buono… ma quindi, dopo “Barbarone”, cosa dobbiamo aspettarci da “Stacy”?
Io da Stacy io mi aspetto cazzi nel culo, voi non lo so.
Perché?
Perché “Stacy” è un fumetto nato da solo emozioni negative: rabbia, rancore e risentimento. Il risentimento penso sia uno dei peggiori sentimenti che l'uomo possa provare, proprio a livello di distruttività. Ero una furia: mi sono accorto che dentro avevo solo rabbia o brutti sentimenti, quindi li ho buttati su carta, confidando che scaricarli sul fumetto mi avrebbe aiutato a superarli. Per fortuna è successo e questi sentimenti mi sono passati, ma non per “Stacy”, bensì grazie ai ragazzi Rom che ho conosciuto e di cui ti ho parlato. Stacy è un libro intriso di rabbia, ma anche di libertà. Per questo, quindi, "solennemente prometto che non parlerò più di Stacy".
Grazie mille, Gianni. É stato un piacere, per me, come parlare con un amico!
Grazie a te della bella chiacchierata.
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