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, 21 Agosto 2023
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8 minuti

Vivere il calcio nei Paesi Baschi


Siamo stati a Ipurua per assistere a Eibar-Elche di Segunda Divison.

"Erasmus" è la rubrica del lunedì in cui vi raccontiamo una partita frizzante dal weekend di calcio internazionale. Potete recuperare gli episodi precedenti qui.

Il calcio dei Paesi Baschi, nei Paesi Baschi (di Niccolò Frangipani)

Vedere le partite allo stadio è sempre stata una delle mie attività preferite; in fondo, quando vai a vedere la tua squadra del cuore è come onorare una sorta di festa laica: i soliti amici, il solito panino prepartita, i soliti rituali che credi possano condizionare l’esito di ciò che vedrai in campo, l’infinito ritorno a uno stato in cui il singolo conta in quanto parte di un qualcosa di più grande. Andare a vedere le partite in un paese straniero, però, assume tutto un altro sapore, quello della scoperta, della novità, della sorpresa. Ecco perché quando, passeggiando per il Casco Viejo di Bilbao, io e il mio amico Gabriele ci siamo resi conto che all’indomani, a pochi chilometri da lì, si sarebbe giocata una partita, non ci siamo fatti scappare l’occasione.

Comprare i biglietti sul sito dell’Eibar richiede davvero pochi minuti. Selezionando l’evento desiderato si viene mandati ad una piccola mappa che indica quali posti in quali settori siano disponibili, una volta selezionati i posti è necessario inserire i propri dati personali per procedere al pagamento e ricevere i biglietti via mail. I prezzi sono ragionevoli: per la Curva Est un biglietto costa 20 euro e il settore più caro dello stadio non supera comunque i 30 euro.

Arrivare ad Eibar da Bilbao è facilissimo: ogni ora si può prendere il treno che collega Bilbao a San Sebastian e dopo circa un’ora di viaggio si arriva ad Eibar che – devo essere sincero – non pensavo avesse così tante stazioni ferroviarie: cinque. Prendere un treno nei Paesi Baschi è assolutamente un'esperienza da fare. Il nostro treno è uscito da Bilbao – colma di turisti in questi giorni di Aste Nagusia – per andare verso un paesaggio rurale e verde, inframezzato da zone industriali che con l’arrivo della rivoluzione industriale nel XIX secolo sono diventate vere e proprie cittadine.

Ciò che colpisce l’occhio è questo verde che sembra non finire mai, è impossibile concentrarsi su un punto specifico perché si rischierebbe di perdere troppa roba: un baserri (la fattoria tipica dei Paesi Baschi) adagiato sul lato di una collina; un’ikurriña scolorita che saluta il passaggio del treno da un balcone; i luoghi che tutti conosciamo, ristoranti, farmacie, officine, che cambiano di nome e diventano restaurante, quando non taberna, farmazia e talleres. Il viaggio in treno è tutto sommato piacevole e in un’ora e dieci, spendendo 4.50 euro, si arriva ad Eibar centro.

Arrivando ad Eibar si viene catapultati in un’altra dimensione rispetto a Bilbao, si scende dal treno e la prima cosa che si vedono sono montagne e colline, anche qui ricoperte di distese verdi e alberi. Il centro di Eibar è abbastanza piccolo e, a dire la verità, non c’è molto da vedere, è più un luogo che può essere apprezzato nella sua interezza anziché valorizzato da una sola attrazione. Ciò che stupisce di Eibar, ancor più in un giorno di partita, è la calma con cui si vive in questa cittadina di circa ventottomila abitanti. Nel tragitto dalla stazione a Plaza Unzaga, la piazza principale della città, abbiamo visto pochissime persone ma tutte con la maglia o la sciarpa addosso, quasi come se la città avesse acquisito un po’ di vita solo per riempire lo stadio qualche ora dopo.

Anche gli addobbi in giro per la città rispecchiavano questa voglia di calcio e la passione per la squadra locale: non credo di aver visto una bandiera, una sciarpa, una decorazione o un adesivo che non sia stato degli Armeros, nome con cui si conosce la squadra, nonostante la vicinanza a due colossi del calcio spagnolo come Athletic e Real Sociedad. La cosa più strana di Eibar è la quantità di scale mobili in giro per la città che ti evitano di camminare per tratti ripidi in salita, sembra di star camminando in un grande centro commerciale a cielo aperto con queste rampe che collegano piani diversi.

Arrivare allo stadio è molto semplice: basta seguire le scale mobili o qualcuno con la maglia. Finché non si è entrati però non ci si rende conto che lì dentro si sta per giocare una partita. Visto da fuori, Ipurua sembra un piccolo autosilos e pensare che dentro ci possa stare un campo con le tribune sembra utopistico. La posizione dello stadio è strategica: sovrasta la città dalla cima di una collina e ha i palazzi realmente attaccati, con una piccola strada che divide la tribuna principale dalle abitazioni.

Prima di entrare era d’obbligo una visita allo store, posto dentro lo stadio, dove – per mia sorpresa – i prezzi erano abbastanza bassi per quel genere di prodotti; una maglia da allenamento costava 29 euro, alcune sciarpe anche meno di 10. La cosa più strana di tutte è stata però l’ingresso allo stadio: noi siamo entrati a circa mezz’ora dal fischio d’inizio, senza alcun controllo all’ingresso oltre all'obliterazione del biglietto davanti al tornello, ed eravamo fra i primi allo stadio. Sapevo che in Spagna si entra tardi allo stadio ma vedere i tifosi entrare in campo insieme ai giocatori è stato abbastanza strano per noi abituati ad entrare allo stadio un’ora e mezza prima per prendere i posti.

Immagine esterna di Ipurua, casa dell'Eibar.

Dentro ad Ipurua ti sembra di essere in un’altra dimensione, in uno stadio sì moderno ma che conserva anche l’essenza di un calcio più vicino possibile al tifoso. Le due curve e la tribuna lato sud non hanno alcun divisorio e quindi le persone possono muoversi come meglio credono all’interno dei settori, salutando amici, cercando un po’ d’ombra o sgranchendosi le gambe nell’intervallo. Lo stadio all’interno è modernissimo, con una tribuna stampa e dei box da fare invidia a stadi ben più famosi, ma al tempo stesso crea un’atmosfera di casa e famiglia che anch’io, straniero, ho potuto apprezzare.

La cosa che mi è piaciuta di più è stata la mancanza di barriera fra noi e il campo e la presenza di sì e no dieci steward in tutto lo stadio. Nell'aria c'era un clima disteso e tranquillo. Durante la partita i tifosi di casa sono stati sempre partecipi ma quasi distaccati, come se gli avvenimenti in campo gli interessassero ma fino a un certo punto, e le tribune erano piene di giovani e donne, queste ultime non smettevano di farsi aria con ventagli portati da casa, quasi a creare una piccola coreografia tanto erano coordinate.

Lucas Boyé masterclass (di Massimiliano Bogni)

Juan Diego Molina Martínez, universalmente conosciuto come Stoichkov. Tra il 1990 e il 1993 il padre incontra Hristo in un bar a Barcellona e, caduto da cavallo come Paolo di Tarso, vorrebbe chiamare così il figlio. La madre si oppone, preferendo Juan Diego. Neanche fosse Silvio Berlusconi. Terza stagione all'Eibar, serie di prestiti tra Segunda e Tercera.

A Ipurua le telecamere sono a ridosso del campo da gioco e il primo sussulto della partita è una spazzata finita in tribuna che sembra voler spaccare gli schermi dei telespettatori. Eibar-Elche è il tono minore della sinfonia del calcio spagnolo contemporaneo. Due squadre retrocesse da poco in Segunda Division, entrambe non hanno perso il gusto aristocratico e raffinato nel trattare il pallone e l'apprezzamento per giocatori tecnicamente superiori alla media ma tendenti all'indolenza. Giocatori che sembrano poco interessati a dimostrare il loro talento tutte le settimane. Il palcoscenico ideale per uno come Lucas Boyé, argentino passato dal River al Toro che a 27 anni ha già deciso di mettere le tende nella periferia del calcio spagnolo, nonostante i lampi (pigri, sporadici) del suo talento.

Tra i convocati di Exteberria non figura Stoichkov 🙁
Carlos Clerc, terzino sinistro adattato da Beccacece al centro della difesa, ovvero l'imperfetta crasi dei piloti della Scuderia Ferrari.

I baschi approcciano come meglio non potrebbero la partita. La fascia sinistra funziona a meraviglia: Berrocal ha un destro notevole in relazione al ruolo, il neo acquisto Gutiérrez dal Malaga fissa molto bene l'ampiezza permettendo a Matheus Pereira e Rahmani di creare negli spazi intermedi. Nemmeno 300" e l'Eibar passa: la gestione della ripartenza da corner di Guti è fatale, lasciando la libertà al pennello basco di Aketxe di dipingere nell'unico punto dove Badia non sarebbe mai potuto arrivare.

Manuale di cosa non fare sulla respinta corta da un calcio d'angolo a sfavore: appoggiare di piatto al trequartista avversario.
Mani nei capelli e incredulità: l'arcobaleno di Aketxe non può lasciare indifferenti.

Con la leggerezza del vantaggio acquisito, l'Eibar continua ad arrivare facilmente nella trequarti avversaria, dove Mario Soriano si muove come un ballerino aggraziatissimo tra le linee di pressione elicitane. La struttura offensiva dell'Elche, una delle poche basate su una coppia di punte anni '90, inizia lentamente ad ingranare: Mourad fissa la profondità, Boyé inizia a vaneggiare sulla trequarti gravitando su di sé le attenzioni della difesa di casa e aprendo per i tagli sulle fasce.

Tejero e Cristian sono terzini solo di nome ma non di fatto: lo spazio alle loro spalle è un buco nero che moltiplica le possibilità di risalita dell'Elche, che sfrutta bene la difficoltà dei due a girarsi e posizionarsi nel modo corretto. Eppure gli ospiti faticano a fare breccia nell'area avversaria: il primo tempo del portiere dell'Eibar è fatto unicamente di lanci millimetrici verso il centrocampo e appoggi ai centrali difensivi, senza alcuna parata. Il suo nome è Luca, il cognome Zidane. Chissà da chi avrà ereditato le doti di passatore.

La prima frazione si chiude con alcuni svarioni che ricordano, brutalmente, che nonostante le notevoli proprietà in palleggio e costruzione di entrambe le squadre stiamo pur sempre guardando una partita di Segunda Division e non il Clasico.

Qui Edgar Badia riuscirà a mettere una pezza sul tiro di Quique, ma la copertura a zona dell'Elche inizia a lasciare voragini nella trequarti centrale dal sapore sinistro.
Álvaro Tejero e le ripetute gettate al vento nella gestione dell'anticipo ai tempi della cantera del Real Madrid.
Heinze-Evra-Kakà, Man Utd-Milan 3-2, 24 aprile 2007.

Non riuscendo a finalizzare i cross dalle fasce, il secondo tempo dell'Elche si apre con un cambiamento radicale di approccio. Non più lanci lunghi alle spalle della difesa dell'Eibar ma, con un movimento ad aprirsi di Tete Morente e Salinas, conduzioni palla al piede gestite direttamente da Álex Martin, sfruttando l'angolo di pressione che indica all'esterno valenciano di tagliare dall'esterno verso l'interno e trovare filtranti nella zona centrale della mediana. Il risultato è la salita in cattedra del talento più puro in campo, ossia la scaltrezza snob di Boyé nel creare e distruggere calcio a suo piacimento. Su una punizione guadagnata dall'ex Toro, Matheus Pereira aggiunge il pizzico di negatività necessario a rendere la sua una partita totale a tutti gli effetti, dando le spalle alla spizzata e colpendo la palla di mano. Rigore, dopo la revisione del VAR, inevitabile.

Boyé batte il rigore e mette la palla sotto la traversa. La sensazione tattile di ciò che l'argentino sarebbe potuto diventare si attacca sulla pelle come la salsedine dopo una giornata al mare.

Tra il pareggio e il doveroso cooling break trascorrono 10' targati quasi esclusivamente Elche, con Fidel che accarezza l'idea del controsorpasso dopo l'ennesima cavalcata centrale di Martin. Chissà se nelle borracce degli uomini di casa fosse contenuta la Michael's Secret Stuff di Space Jam, ma la prima azione dopo la pausa per reidratarsi coincide con la giocata che decide la partita.

L'avevamo detto che la copertura a zona dell'Elche lasciava voragini nella trequarti centrale.

L'ultimo terzo di gara è estremamente godibile, a maggior ragione che si tratta di calcio d'agosto: Zidane salva il risultato all'85' su Nico Castro e al 90' su Oscar Plano, mostrando qualità apprezzate dagli amanti del mantra "un portiere deve saper parare". Entra Unai Vencedor, per la gioia di tutti i Paesi Baschi che ancora credono nel talento in prestito dall'Athletic.

Jugon (cit. Niccolò Frangipani)

L'ultimo tentativo degli ospiti è quello che dà il titolo al racconto. Lucas Boyé riceve spalle alla porta sul vertice sinistro dell'area dell'Eibar. Regge il contrasto con Venancio e attira il raddoppio di Tejero. Croqueta per anticipare la chiusura delle porte dell'ascensore rossoblu e si sposta verso la lunetta dell'area. Spallata per restistere al recupero di Matheus e tavola apparecchiata per il tiro. Lucas si ferma. Esita, quel mezzo secondo di troppo. Borrocal lo anticipa e spazza. Boyé continua il movimento del tiro senza convinzione e, frustrato, strattona il centrale dell'Eibar. La palla era stata recuperata dai compagni in vista dell'ultimo assalto. Niente da fare: fallo fischiato da De la Fuente Ramos. Boyé protesta, alza gli occhi al cielo. Punizione battuta da Zidane e fischio finale. Tutto Lucas Boyé in un'azione.


  • Classe 99, come Darwin Nuñez. Tifoso della Fiorentina, dell’Athletic Club ed ossessionato dalla Doce. Apprezza il mate, un buon regista davanti alla difesa e tutto ciò che venga dal Rio de la Plata

  • (Bergamo, 1999) Calcio e pallacanestro mi hanno salvato la vita, ma anche il resto degli sport non è male. Laurea in Lettere, per ora, solo un pezzo di carta.

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