Cinque giocatori da seguire a Wimbledon 2023
Con nomi più e meno noti.
Wimbledon. Vero che è una parola piuttosto lunga, ma nove lettere non bastano per spiegare tutto ciò che si porta dentro. È l’inizio dell’estate, è un rincorrersi di nuvole che - come le macchie di Rorschach - assumono le forme di sogni e paure infiniti. È il palcoscenico verde su cui guardare la poesia che prende vita. Il gioco sull’erba ha un legame atavico con l’infanzia e l’infanzia è il regno in cui il gioco è sacro. Ora, per le prossime due settimane, abbiamo il diritto di rientrarci.
Wimbledon è la struggente malinconia per il passato - ripensi ogni volta alla tua prima volta, agli antichi eroi, che siano Borg, McEnroe, Boris, Edberg, Sampras o altri a seconda dell’età, e alla mancanza di Federer che qui si avverte più forte che altrove - ma anche la certezza cieca e irrazionale che la cerimonia tennistica proseguirà fino alla fine del mondo. In realtà tutto è apparecchiato perché Djokovic protragga il proprio dominio tetro e incontrastato su queste terre fino a cibarsi ancora dell’amata erbetta, minacciato eventualmente solo dal feroce Alcaraz. Noi però abbiamo voluto divertirci immaginando qualche alternativa ardita e folle.
Aleksandr Bublik
Ode alla follia. Non è facile descrivere ciò che si prova guardando giocare Aleksandr Bublik; un misto di piacere e disagio, un cortocircuito emotivo che ti ipnotizza ma in certi momenti ti nausea. Questo ragazzo dissacrante dal sorriso obliquo tenta in ogni modo di ostentare una sorta di sdrammatizzazione, eppure gli si legge negli occhi la tragedia. Forse perché vive la propria follia con la coerente devozione di chi non può fare altrimenti. Lui non cerca ogni strada per vincere, anzi al contrario rifiuta ogni compromesso, sacrificando piuttosto la vittoria pur di rimanere se stesso. Per questo dobbiamo amarlo quando perde e dobbiamo alzare gli occhi al cielo quando vince. Perché vince con un ace di seconda; perché perde servendo dal basso; perché esplora tutti i colpi del tennis con un’ingenuità quasi forzata, a prescindere da chi sta dall’altra parte della rete.
Con il tre su cinque ha combinato poco: gli mancano la continuità fisica e mentale. I suoi blackout gli sono spesso fatali, il suo talento finisce stritolato dalla furbizia, dalla regolarità e dall’adattabilità degli avversari. Eppure ha vinto Halle, proprio nel giardino interiore di Federer. Sì, ha vinto: ha battuto tra gli altri Sinner, Zverev e ha superato Rublev in una finale difficile in tre set. Ha saputo soffrire senza precipitare e, per tornare su un piano più pragmatico, ha accumulato ore in campo, fiducia e condizione atletica. E allora possiamo sperare che su Londra cali la magia per un paio di settimane, in una zona di tabellone non troppo magnanima che vede subito Mc Donald - in forma - e Wolf, prima di Aliassime - involuto ma temibile - Rublev/Kyrgios, poi Nole ai quarti e non se ne parli più perché non ha senso pensare oltre. È oggettivamente impossibile, ma al cuor non si comanda.
Tallon Griekspoor
A Wimbledon, con un buon servizio e un dritto efficace si possono fare miracoli. Noi italiani poi lo abbiamo visto in prima persona, quando nel 2021 Matteo Berrettini ha brutalizzato l’All England Club perdendo solo in finale da un monumentale Djokovic. Purtroppo per noi, in questo pezzo non parleremo di Berrettini; lui stesso ha detto di non avere grandi aspettative e di prendere tutto per come verrà, partita dopo partita.
Chi invece qualche aspettativa su se stesso può nutrirla è Tallon Griekspoor, a mani basse il nome più esotico che troverete in questa lista. In realtà non è nemmeno troppo azzardato, visto che circa due settimane fa ha vinto il 250 di ‘s-Hertogenbosch battendo un in formissima Alex de Minaur, e ad Halle ha perso in tre set ai quarti di finale contro Rublev, poi finalista.
La sua avventura sui prati inglesi inizia con una sfida impegnativa, vista la scomodità di un avversario come Fucsovics, che due anni fa eliminò addirittura Sinner e Rublev. Guardando oltre però, Griekspoor potrebbe rivelarsi la vera sorpresa di quella parte di tabellone, con un probabile terzo turno contro Daniil Medvedev. Il quarto di finale teorico poi sarebbe con uno tra Norrie e Tsitsipas, due dei top francamente più abbordabili.
Insomma, l’olandese è il tipico giocatore che sull’erba è meglio non affrontare. Si muove abbastanza bene nonostante il metro e ottantotto ed è molto pericoloso sulla diagonale di dritto. Un giocatore serio, Griekspoor. Talmente serio che se andate sotto il video della sua vittoria a ‘s-Hertogenbosch il primo commento che vi appare recita: “Prima volta che vedo Griekspoor sorridere”. Forse, più che sull’erba, è meglio non incontrarlo mai.
Sebastian Korda
“Mi sento uno dei favoriti per i Championships”. No, non l’ha detto Djokovic e nemmeno il suo rivale Carlos Alcaraz. Lo ha detto Sebastian Korda dopo aver battuto Tiafoe agli ottavi di finale del Queen’s.
Per quanto possa sembrare una sparata arrogante, la dichiarazione di Korda ci aiuta a inquadrare lui stesso e questa edizione di Wimbledon. Esclusi infatti i due superfavoriti per la finale, nel tabellone regna l’incertezza più assoluta. Ed è in situazioni del genere che fioccano le sorprese. Il gioco sull’erba vede oggi un’ampissima classe media di interpreti. Gente che gioca bene per carità, ma certamente non eccelle. In questo contesto, Sebastian Korda è forse il migliore dei non eccelsi. Tra i primi di quelli che non si chiamano Novak o Carlos.
L’americano poi non ha tutti i torti. Al Queen’s ha battuto Evans, Tiafoe e Norrie dimostrandosi perfettamente a suo agio nonostante qualche problema fisico. La semifinale persa nettamente contro Alcaraz è la dimostrazione di quanto detto poco fa, e non ci stupisce.
Regolare da fondo e sorprendentemente estroso sotto rete, il gioco propositivo di Korda può costituire un problema per chiunque. Il tabellone gli sorride, visto che a separarlo da un eventuale quarto di finale ci sono teoricamente Norrie e Tsitsipas. Il primo ha già dato prova di poterlo battere pochi giorni fa, mentre con il secondo c’è un unico precedente che risale al 2021: 7-6 6-3 per il greco sul cemento di Cincinnati. Le cose però sono un pelino cambiate, e Korda non desidera nient’altro che dimostrare a tutti di avere ragione, arrivando fino in fondo.
Frances Tiafoe
Il sogno americano sui verdi prati all’inglese. L’ultima volta risale al 2000, quando Sampras fece sette volte ai Championships. Pistol Pete è tutt’ora il secondo giocatore con la più alta percentuale (90%) di vittorie a Wimbledon. Negli States è da vent’anni che aspettano un erede. Frances Tiafoe sta attraversando il momento più alto della sua carriera, con il raggiungimento della top 10 grazie alla convincente vittoria a Stoccarda. Big Foe è da tutti considerato un joker, uno con cui scherzare sia dentro che fuori dal campo. Uno che fa del divertimento un elemento imprescindibile del proprio gioco. Fino a poco tempo fa però, non c’era nient’altro. Intrattenimento e discontinuità, un loop che sembrava destinato a ripetersi per sempre.
Poi qualcosa è scattato. Una serie di buoni risultati ha introdotto in lui un sentimento nuovo e adulto: la responsabilità. Tiafoe si è completato. Ha aggiunto al suo tennis quella componente puramente agonistica che gli mancava. Continua a giocare per il pubblico certo, ma ora gioca anche per se stesso, e in uno sport solitario come il tennis è la chiave per andare lontano. Dietro quell’andatura apparentemente indolente si cela la fame di chi sa di aver perso tempo e adesso ha l’urgenza di farsi sentire.
La fantasia e la sua capacità di ergersi a capopopolo lo rendono una delle più spaventose mine vaganti del torneo, agevolato da un tabellone che fino ai quarti di finale vede come unico ostacolo Holger Rune, in una sfida buono contro cattivo che promette spettacolo. Ciò che Tiafoe proverà a portare sui campi di Wimbedon è un’imprevedibilità controllata, un ambiente confusionario ma gestibile, trattato coi guanti affinché non degeneri nel caos più totale, da dove persino uno come lui fatica a riemergere. Il confine è sottile.
Andy Murray
Ultimo tango a Londra? Sir Andy Murray è una quercia del tennis, l’unico terrestre a issarsi al numero uno nell’era dei semidei, tanto da costringere l’opinione pubblica ad allargare il club e a coniare i fab four. C’è voluta una volontà ferrea, che però sparisce al confronto con lo sforzo sovrumano profuso per tornare in alto tra protesi di titanio, sale operatorie e peripezie fisiche che avrebbero steso chiunque. Lo abbiamo visto lottare nei peggiori challenger del mondo e perciò lo amiamo anche nel caso lo avessimo odiato nel suo prime. Su questo si può scrivere un libro, ma torniamo al qui ed ora. Animale da Slam lo è sempre stato e lo è ancora; lo ha dimostrato in Australia contro Berrettini e Kokkinakis, solo che la classifica degli ultimi anni lo ha costretto a primi turni massacranti che ne pregiudicano il percorso seguente.
Qui però arriva in buone condizioni, zitto zitto; dopo una campagna di terra piuttosto frustrante (in cui ha comunque sollevato un challenger), si è spostato in Inghilterra con largo anticipo e da un mesetto calca la superficie con discreti risultati: le vittorie ai tornei di Surbiton e Nottingham - dieci partite di fila - lasciano ben sperare, mentre le successive sconfitte al Queens e in esibizione potrebbero consentirgli di non arrivare con la lingua per terra. Come al solito l’inizio non sarà facile: c’è Tsitsipas in rotta di collisione, ma Andy tatticamente è ancora in grado di portare a scuola chiunque e l’erba potrebbe consentirgli una rinascita. D’altra parte è anche l’unico che ha battuto Djokovic in finale qui, ormai dieci anni fa.
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