Rodri è l'ancora del Manchester City
Lo spagnolo è stato un simbolo emotivo della prima Champions dei Citizens.
L’Italia ha sempre avuto un rapporto complesso con Sergio Busquets. Il perché è fin troppo ovvio nei fatti – la simulazione che costò il rosso a Thiago Motta in Barcellona-Inter del 2010 – ma non nel processo mentale. Come è possibile che non solo gli interisti ma anche i tifosi delle altre squadre siano riusciti a odiarlo così tanto nonostante avesse cercato di fregare una rivale?
A distanza di 13 anni mi rimane difficile elaborare la radice profonda che ha portato a odiare in modo così viscerale e trasversale un centrocampista leggendario, che ha ridisegnato i paradigmi di un ruolo e che, pur apparendo sempre come il meno figo dei marziani del Barcellona, si è poi dimostrato essere uno dei perni più importanti. La spiegazione che mi sono dato, alla fine, ha a che fare con la narrazione – più imposta da fuori che non da dentro – che ha accompagnato quel Barcellona. Quella di una squadra eterea e perfetta, fatta da divinità che non si sporcano a giocare con gli umani e vincono ancor prima di scendere in campo. Una squadra che, alla fine, ha stancato proprio per il fatto di essere così perfetta. Busquets rappresentava invece il lato umano e più attaccabile di quel Barcellona, come l'uomo che giocava più sporco, quello più falloso e più ingannevole. Questo, forse, è stato il suo tratto più insostenibile.
Busquets, da che sembrava il più intruso di tutti, è rimasto a Barcellona per quasi 15 anni, diventandone capitano e simbolo, rappresentando una sorta di reincarnazione del Pep Guardiola giocatore. Come un golem a cui il suo allenatore avesse infuso la vita. È un tratto comune a tutte le esperienze di Pep, il tentativo di rieducare alcuni calciatori in modo da farli un po' assomigliare a lui, rendendoli dei suoi naturali eredi ma modellandone ogni volta lo stile in base alle specificità del contesto. A Monaco lo ha fatto con Kimmich: gli ha dato una forma diversa da Busquets, come un'espressione di guardiolismo adattato al calcio tedesco, capace di rendere splendidamente in più ruoli come una macchina. Rodri, in questo senso, è forse la sintesi perfetta tra Busquets e Kimmich: un giocatore spagnolo, arrivato a Manchester per tanti soldi appena prima di esplodere e diventato mente e gambe di una squadra tra le più dominanti del calcio moderno; l’ennesima estensione materiale del pensiero di Guardiola, modellata stavolta sulle peculiarità della Premier League – un contesto che prima di ergere Guardiola a dominatore era il più ostile in assoluto alle sue idee.
Rodri, come Busquets, sembra il giocatore meno figo del Manchester City. Anche solo esteticamente. In una squadra che trabocca di tecnica dal portiere al centravanti, Rodri è quello che ha il passo più pesante, che quando si muove sembra snodarsi come una action figure di Batman fatta male e che, semplicemente, ha la faccia più cattiva di tutti – un risultato non facile da raggiungere quando giochi con Erling Haaland. Lui, però, è quello che tiene tutto insieme nel City. Abbiamo visto un City dominante senza i mille gol di Haaland, in alcune stagioni lo abbiamo visto cavarsela senza il genio di De Bruyne, senza le letture di Ruben Dias o senza l’onnipresenza di Bernardo Silva. Ma, da quando è a Manchester, non abbiamo mai visto un City senza Rodri.
Nel complesso sistema di equazioni che governa il gioco del Manchester City, Rodri ha ereditato da Fernandinho, e poi migliorato, l’algoritmo per risolverle. Non deve trovare le giocate decisive ma offrire continuità e solidità. Deve coprire il campo bene, pressare con ordine e giocare essenziale. Lo ha detto anche lo stesso Pep stesso nell’ottobre 2021: “La cosa più importante per un mediano è essere stabile: 7, 8, 7, 8. Fare una partita da 10 e poi una da 2 o 3 non va bene”.
Rodri è una macchina da numeri: un giocatore che tocca centinaia di palloni a partita e ne perde, nelle giornate meno brillanti, quattro o cinque. Da due anni è uno dei migliori passatori della Premier League e tra questi è regolarmente uno di quelli che fanno avanzare di più il pallone. Per questi motivi Guardiola ha trovato in Rodri il suo simulacro perfetto, dotato pure di un fisico che si adatta pienamente all’iperatletismo della Premier League. Allo spagnolo Pep ha richiesto un lavoro senza palla cruciale per tenere ordinato il Manchester City, sfruttando forse anche la formazione avuta da Rodri nell’Atletico Madrid di Simeone, dove la fase di non possesso viene vissuta come una guerra tribale.
Dopo la finale di Istanbul, Rory Smith lo ha definito “un mix tra Makelélé e Pirlo”: un giocatore capace di creare e distruggere in modo perfetto. Sempre Smith lo ha inquadrato come un giocatore dall'intelligenza tale da renderlo di fatto l’uomo chiave del sistema del City, e in effetti la presenza di Rodri garantisce una serie di letture e coperture che nessun altro compagno può fornire.
Nella finale di Champions League del 2021, la scelta di Guardiola di mettere in panchina Rodri e Fernandinho aveva lasciato uno spazio tra le linee insostenibile da coprire per Gundogan, tanto che il tedesco si era visto passare il pallone davanti senza poter intervenire nell’occasione del gol di Havertz. Da quel momento, Rodri non ha più saltato nessuna delle partite importanti, diventando il riferimento in possesso del City.
🔵 Unforgettable Chelsea moment for Kai Havertz!@kaihavertz29 | @ChelseaFC | #UCL https://t.co/0U9GQRdJzP pic.twitter.com/3TrUw970js
— UEFA Champions League (@ChampionsLeague) September 4, 2021
Il processo che ha portato Rodri a rendere così bene a questi livelli anche senza palla è stato lungo. Nel dicembre 2021 Guardiola aveva spiegato come, nei suoi primi due anni, avesse la tendenza a muoversi troppo, penalizzando l’aspetto difensivo del suo ruolo. “Il mediano deve stare lì e non muoversi. Se guidi una macchina e ti sposti sul sedile di dietro rischi di schiantarti” aveva detto Pep. Una critica che, in parte, giustificava la sua esclusione nella finale di Porto ma che era rivolta soprattutto ai suoi compiti difensivi: se ti muovi troppo, poi è facile lasciare spazi. In questo, Rodri ha lavorato brillantemente dopo la delusione di quella panchina.
Il senso di Rodri non va solo cercato nella quantità folle di campo che copre, nel fatto che è probabilmente il passatore più preciso del pianeta o nel fatto che ha segnato due dei gol più pesanti nel cammino del Manchester City verso la prima Champions League della sua storia – tra cui il gol che ha deciso la finale. Un’azione che spiega bene l’importanza di Rodri per il City arriva intorno all’ora di gioco della semifinale di andata contro il Real Madrid, con il City sotto per 1-0.
È un fallo a centrocampo: uno di quelli che fanno snervare chi li subisce. Nasce tutto da un triangolo veloce tra Benzema e Rodrygo. Rodri, che in quel momento si trova sopra la linea del pallone, deve seguire il movimento del suo avversario, ma il suo fisico colossale non riesce a sostenerne la rapidità. Prova a fermarlo con il braccio ma Rodrygo gli scappa nuovamente via, tagliando il campo in orizzontale dalla destra alla sinistra. Lì riesce a scaricare su Vinicius che, con l’esterno, prova a fare un sombrero a Rodri, ma quello per tutta risposta lo manda giù con una spallata e riprende palla. Quando l’arbitro fischia fallo, Vinicius ride nervosamente e si lamenta con l’arbitro.
Il fallo che fa Rodri non ha un’utilità particolare: l'azione si sta svolgendo in un luogo molto lontano dalla porta, e in più la pressione di Rodri su Rodrygo ha già dato il tempo ai compagni di rientrare, per cui è realistico credere che il City potrebbe serenamente gestire la situazione senza interrompere il gioco. Insomma, quando Vinicius tenta di saltarlo, Rodri potrebbe anche lasciarlo passare senza grandi problemi. Probabilmente farebbe così uno qualsiasi dei suoi compagni, accontentandosi. Lo spirito con cui Rodri difende, però, è diverso. Sembra quasi tradire il suo passato con Simeone: fa un fallo che è superfluo ma che spezza il ritmo del Real, fa innervosire Vinicius e trasmette ai compagni un senso di fiducia. Come a dire a tutti che lui c’è e non vuole mollare nulla.
Cinque minuti dopo, il Real parte da dietro con Kroos, scalato a sinistra dei centrali. Modric si allarga, con Camavinga che prende il suo posto nel mezzo spazio di sinistra. Quando Kroos serve Modric, Bernardo va subito a pressarlo ma il 10 del Real, con una calma impressionante, fa ballare il pallone sulla linea laterale e poi, con un esterno destro perfetto, elude la pressione servendo Camavinga tra le linee. Il francese controlla orientato con il destro e ha il volto rivolto all’area del City, con davanti i quattro difensori in linea e Rodrygo, Vinicius e Benzema pronti ad attaccarla. È una situazione molto promettente per il Real, se non fosse che alle spalle di Camavinga c’è Rodri: lo spagnolo sapendo di non poter raggiungere Camavinga correndo, gli si attacca al braccio e gli fa perdere il tempo per giocare il pallone. Camavinga non deve neanche cadere; si ferma e basta. L’arbitro fischia e, ancora una volta, Rodri è impassibile. Stavolta però è Ancelotti a dare di matto: urla contro il cielo e si tira la giacca quasi in preda a una furia mistica.
Questi due falli arrivano nel momento più critico della Champions League del Manchester City: le scorie della semifinale dell'anno precedente pesano a livello psicologico e molti giocatori sono chiaramente in difficoltà. Il Real, invece, è consapevole che deve cercare di indirizzare la doppia gara già all’andata e gioca come sa. Le combinazioni spontanee tra i giocatori madridisti sono fluide e brillanti come non mai e, soprattutto nel periodo intorno al secondo fallo, la sensazione è che il 2-0 del Madrid sia più vicino del pari del City.
I falli tattici di Rodri sono quasi artistici e lui li gestisce talmente bene e con una calma tale che, spesso, riesce a uscirne senza il cartellino che avrebbe meritato, come se la sua pacatezza suscitasse una forma di rispetto nell’arbitro. Nell’agosto del 2019, Manuel Pellegrini si era lamentato della quantità di falli che il City aveva commesso contro il suo West Ham: “Non abbiamo creato tante occasioni perché le nostre azioni venivano fermate con dei falli. Loro hanno fatto 13 falli, noi 5”. Rodri, che contro il West Ham aveva giocato la sua prima partita in Premier League, era uscito dal campo con tre falli commessi, gli stessi di Sterling e Gabriel Jesus e più di tutti gli altri in campo. Tre sono anche i falli con cui esce dal campo a Madrid – anche in questo caso nessuno accompagnato da cartellino – dopo aver strattonato nuovamente Camavinga nel finale. Leggendo queste parole si può intuire il senso di frustrazione che Rodri induce nei suoi avversari, che lo affrontano sapendo che potrà fermarli regolarmente perché è un fenomeno nelle letture, e che se pure dovesse sbagliare lettura potrà comunque fermarli in modo subdolo, ricorrendo alla sua maestria nel gioco sporco.
Tornando a Madrid, va detto che la partita di Rodri non è nemmeno una di quelle da ricordare negli annali: negli ultimi due anni ha portato il suo gioco a un livello talmente alto in tutti gli aspetti che questa, per i suoi standard, è una partita da 5.5; non da 7/8 come gli chiede Guardiola. Ha anche sbagliato qualcosa, facendosi fregare da Vinicius in un’azione che ha portato al tiro Benzema. Tuttavia, in quel momento, si capisce la dimensione emotiva della presenza di Rodri, che sembra prendere in mano l’inerzia psicologica della partita e mostrare ai compagni che c’è ancora da giocare e che almeno lui non è disposto ad arretrare di un centimetro.
Nei momenti peggiori Rodri è sempre il collante del Manchester City e quasi come un premio, sette minuti dopo il fallo su Camavinga, da un suo recupero alto il pallone finisce a Grealish, poi a Gundogan e infine a De Bruyne che lo scarica in porta con una violenza inaudita. Il City pareggia. Il senso di Rodri per il City forse va cercato qui. Nel suo essere sempre presente caratterialmente in campo.
Se poi di Rodri ricorderemo anche e soprattutto il gol con cui ha deciso la finale di Istanbul è perché lo spagnolo ha lavorato brillantemente anche per arrivare ad avere sui suoi piedi quel tipo di palloni. È un giocatore che ha segnato già tanti gol pesanti: a maggio 2022 è stato lui a firmare il 2-2 nella rimonta sull’Aston Villa che ha dato il titolo al Manchester City; nei quarti di questa Champions League il suo sinistro a giro contro il Bayern ha indirizzato la qualificazione in semifinale.
Sono tre gol materialmente diversi, ma nascono tutti da una scelta consapevole che porta Rodri a occupare gli spazi giusti nei momenti giusti. Il gol contro l’Inter, in particolare, appare casuale perché il pallone gli finisce davanti dopo due rimpalli, ma non lo è affatto per il modo in cui Rodri si costruisce il tiro. La scelta di attaccare l’area in un secondo momento rispetto ai compagni in modo da arrivare per primo sui cutback è stata studiata a lungo e molti dei gol di Rodri sono arrivati proprio grazie a questo studio.
Inoltre, Rodri è sempre stato un tiratore formidabile.
Dopo il gol all'Inter Rodri è diventato uno dei pochi giocatori che possono vantare di essere usciti da una finale di Champions League con il premio di migliore in campo. È un premio che gli è stato conferito soprattutto per il gol segnato e che lui non sente suo. Nel post-partita ne parlerà, dicendo giustamente di aver giocato un primo tempo terribile. La sua partita non era stata brillante e, come con il Real Madrid, anche lui era sembrato soffrire il peso della finale, probabilmente ingigantito pure dalla pressione di dover dimostrare che la panchina di due anni prima non era meritata. Come con il Real Madrid, però, Rodri non ha mai perso il controllo sulla partita e alla fine è stato premiato, trovandosi sul pallone giusto per decidere la partita più importante della sua carriera.
“Ogni giorno mi convinco sempre più che questo acquisto sarà uno dei migliori del club in questi anni”, aveva detto Guardiola nell’estate 2019, commentando l'acquisto di Rodri. Forse, però, neanche lui si sarebbe aspettato un impatto simile.
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