Considerazioni sparse post Nuggets-Heat, NBA Finals G5
Il commovente 4° quarto ha dato il titolo alla squadra più forte, i Nuggets.
- Una serie finora mai realmente in discussione, nemmeno dopo la vittoria dei Miami Heat alla Ball Arena in Colorado in gara 2. Gli uomini di coach Spoelstra in Gara5 sono chiamati a un'impresa riuscita solo ai Cavs di LeBron nella storia, provare a rovesciare un 1-3. Per riuscirci Spoelstra punta ancora su Love dall'inizio, anche Malone insiste col suo quintetto tipo. L'inizio di partita è fatto di parziali e controparziali: 12-0 Nuggets figlio di canestri su taglio e 11-2 Miami con dribble hand off di Abedayo e conclusioni di Strus. Il primo tempo, in generale, vede un solo giocatore davvero all'altezza del suo massimo potenziale: Bam Adebayo ne mette 18 con 8/13 dal campo, nonostante un attacco di Denver che cerca di toglierlo dal pitturato sfruttando Jokić da passatore e non da scorer;
- Definire polveri bagnate quelle della gara5 di Denver sarebbe un meraviglioso eufemismo: nei primi due quarti i Nuggets registrano 1/15 da 3 e 3/8 ai liberi. "Non segnano manco con le mani", dicono quelli bravi. Come spiegare allora i soli 7 punti di svantaggio all'intervallo? I dati sui rimbalzi offensivi (5-6 per Miami), e il saldo recuperi-perse (+2 Miami, -7 Denver) sono una spiegazione solo parziale. Denver tira meno, tira peggio, difende con pochissima disciplina, non tanto a livello di comunicazione ma a livello di scelte dei singoli. Né i numeri né il controllo della tensione in entrambe le metà campo dovrebbero permettere a Denver di stare, tutto sommato, in partita. La realtà è che anche dall'altra parte l'efficienza fisica è al lumicino: Jimmy Butler sta pagando il conto di una run Playoffs dispendiosa come poche altre nella storia, e sta giocando come se avesse una pesantissima giacca di flanella che ne limita l'esplosività. Miami dopotutto non è che stia facendo molto meglio al tiro (15/34 in area, 26,7% da 3), e Bam Adebayo non è il primo violino in grado di dominare offensivamente da solo una partita di Playoffs, figurarsi gara5 delle Finals;
- Il terzo quarto, se possibile, è il prolungamento ulteriore di un'agonia che perdura da inizio partita. Miami non ha la forza per attaccare il ferro (0 tiri liberi tentati nel quarto), Denver si limita a minimizzare le palle perse ma non riesce affatto a innescarsi oltre l'arco. Un plauso alla preparazione della partita difensiva di Spoelstra, ammesso che ce ne sia ancora bisogno. Di seguito tutte le differenti coverages affrontate da Jokić e compagni nella terza frazione: uomo/uomo che cambia su tutti i blocchi; zona 2-3 con raddoppi su Jokić; zona 1-3-1 che si trasforma in zona 2-3 quando il serbo si apre oltre l'arco per ricevere; zona 2-3 che diventa a uomo nel caso in cui ci sia un taglio senza palla al centro dell'area; zona 3-2 che si trasforma in zona 2-1-2 con Adebayo in punta che si abbassa sulla linea del tiro libero quando un taglio dalla guardia vorrebbe ricevere al nail; zona 2-3 che si trasforma in 3-2 quando la palla viene ribaltata per la prima volta sul lato. Non si può certamente dire che Spoelstra non riesca a mascherare tutti i limiti tecnici e atletici dei suoi, e la serata al tiro di Denver gli sta permettendo di continuare a proporre difese non a uomo anche contro Nikola Jokić, forse il miglior giocatore al mondo nell'attaccare la zona secondo le regole NBA. Nonostante ciò Denver ritrova il vantaggio nel punteggio per la prima volta dal 18-16 del 1°Q dopo 3 rimbalzi offensivi consecutivi e un 6/9 ai liberi, indicativo sul chi sia la squadra più sana in campo;
- C'è stata una partita per i primi 3 quarti, ce n'è un'altra nell'ultimo quarto, summa di tutta la commozione che le Finals più squilibrate dell'ultimo decennio può suscitare. C'è il 7/10 complessivo al tiro di Jokić e Murray, sin lì uno limitato dai falli e l'altro da una visione di gioco annebbiata dalla tensione. C'è l'8-0 personale di Jimmy Butler che riporta avanti gli Heat sull'87-86, in una partita in cui aveva probabilmente a disposizione un'unica cartuccia e se l'è tenuta per il momento decisivo, quello in cui emergere dal pelo dell'acqua e azzannare la preda come uno squalo che fiuta il sangue. Ci sono gli ultimi due possessi davvero decisivi della partita, il rimbalzo offensivo di Bruce Brown che riconsegna le redini della partita nelle mani di Denver e la lettura della linea di passaggio di Butler da parte di Caldwell-Pope, che sulla transizione successiva realizza i liberi della staffa. Alla fine è 94-89, punteggio che solitamente arriderebbe agli Heat ma che stavolta significa Anello per Denver, il primo della storia dei Nuggets;
- Si potrebbe discutere sul mancato reinserimento nelle rotazioni degli Heat di Tyler Herro, assecondando la logica di non rischiare una ricaduta dell'infortunio alla mano e negando quindi di fornire un'alternativa credibile a un attacco gestito per vari minuti della partita e della serie da Gabe Vincent. Si potrebbe discutere del mismatch hunting di Jimmy Butler, letale nelle 3 serie precedenti di play-off e deficitario in queste Finals (perché insistere con gli isolamenti contro Murray e non ricercare più i cambi per attaccare KCP o MPJ?). Non è questo il momento dei processi. Questo è il momento della celebrazione del titolo dei Denver Nuggets, frutto di un roster dalle mille risorse, in cui ogni tassello ha continuamente modificato il proprio ruolo, compito e gerarchia senza ingolfare il motore (Michael Porter Jr., un tiratore da 41% da 3 in Regular Season che nonostante il 4/28 nella serie si è riciclato da tagliante e fattore a rimbalzo offensivo), guidato da una delle coppie meno glamour e catchy della storia della NBA ma che, volenti o nolenti, ha segnato un'epoca della pallacanestro americana. Dallo Stockton-to-Malone allo Jokić-to-Murray-and-vice-versa.
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