Il Cagliari al settimo cielo
La vittoria agonica contro il Bari ha riportato i sardi in Serie A.
382 giorni dopo il pareggio di Venezia che aveva decretato la retrocessione in Serie B, il Cagliari, al termine di una partita altrettanto drammatica ma dall'epilogo diverso, ritorna in Serie A. Decisiva è stata la zampata di Pavoletti al 94esimo minuto della gara di ritorno di un equilibratissimo duello con il Bari. Nel complesso, a indirizzare la promozione verso Cagliari, come spesso accade nei playoff, sono stati piccoli dettagli e singoli episodi disseminati lungo la doppia sfida, ma il percorso che ha riportato i rossoblu in Serie A nonostante il quinto posto in regular season ha radici più profonde e un protagonista indiscusso che risponde al nome di Claudio Ranieri.
La confusione di Liverani
Ma facciamo un passo indietro. Archiviata la stagione 21/22 con la retrocessione, il Cagliari riparte dalla Serie B con l’ambizione di tornare immediatamente nella massima categoria. La squadra viene affidata a Fabio Liverani, a caccia di un riscatto dopo la deludente esperienza di Parma. La rosa, considerando il cambio di categoria, non subisce una rivoluzione radicale, anzi, diversi elementi di valore vengono trattenuti. Per un Simeone che parte, c’è un Pavoletti che resta; per un Joao Pedro che vola in Turchia, c’è un Nandez che, sorprendentemente, decide di restare in Sardegna. Ad un gruppo che può contare anche sui vari Altare, Zappa, Rog, Deiola e Pereiro, vengono integrati diversi ragazzi dalle giovanili e qualche innesto che si rivelerà decisivo nell’arco della stagione. Con un’operazione che tra qualche mese potremmo arrivare a definire geniale, dal Maribor viene prelevato per un paio di milioni Antoine Makoumbou, centrocampista classe ‘98 dal talento luccicante a cui vengono subito affidati i codici della squadra. In avanti viene ricomposta la coppia Mancosu-Lapadula che aveva ben figurato a Lecce sotto l’egida proprio di Liverani; mentre la difesa viene rinforzata con l’acquisto dall’Avellino di Alberto Dossena, centrale affidabile, ben strutturato, ma poco considerato fino alla svolta di metà stagione.
Liverani dà un indirizzo tattico chiaro alla squadra, o almeno ci prova. Il modulo scelto è il 4-3-3, con diversi aggiustamenti in base alle caratteristiche dei singoli. I terzini, ad esempio, eseguono compiti diversi: Zappa, impiegato a destra, garantisce sovrapposizioni e un grosso contributo atletico alla fase offensiva; Obert, sulla sinistra, agisce quasi da terzo centrale, in modo da sfruttare le sue doti in costruzione per facilitare lo sviluppo del gioco. I risultati tuttavia saranno altalenanti: il terzetto difensivo durante tutta la gestione Liverani soffrirà continuamente gravi squilibri.
Nella prima fase di campionato nel ruolo di prima punta si alternano Lapadula e Pavoletti, mentre Nandez e Mancosu agiscono sull'esterno, una posizione piuttosto insolita per entrambi. Tutti e due nascono centrocampisti, Nandez con un’interpretazione più fisica del ruolo, Mancosu più tecnica, improntata alla gestione del pallone nell’ultimo terzo di campo. Ciò che li accomuna è la preferenza per ricevere il pallone in zone centrali del campo, ben distanti dalla linea laterale. Questo, specie sull’out sinistro, costituisce un problema che Liverani non sarà in grado di risolvere: la mancanza di ampiezza su quel lato di campo, visti i continui movimenti ad accentrarsi di Mancosu.
Pur disponendo di un centrocampo ben assortito e amalgamato, che permette alla squadra di gestire il pallino del gioco contro qualsiasi avversario, il Cagliari fatica a generare occasioni pulite e ad attivare il proprio reparto offensivo. Pavoletti è un fantasma, Lapadula va a corrente alternata, mentre i giovani Luvumbo, Prelec e Millico vengono utilizzati con il contagocce. Tra novembre e dicembre, in un ultimo disperato tentativo di invertire la rotta, Liverani vara uno schieramento a due punte, con Luvumbo e Pavoletti ad alternarsi al fianco di Lapadula. Il mutamento tattico non dà i frutti sperati, specie quando le due punte sono Lapadula e Pavoletti, troppo simili per potersi completare in una squadra dagli equilibri precari. Entrambi garantiscono presenza e stazza in area di rigore, ma poca mobilità verticale e altrettanto poco contributo in fase di non possesso. La sconfitta di metà dicembre contro il Palermo, nello stadio in cui Liverani ha scritto alcune delle pagine più significative della sua carriera da calciatore, segna la fine della sua esperienza da allenatore in Sardegna.
La scelta giusta
Per la successione circola sin da subito il nome di Claudio Ranieri, legato al Cagliari e a Cagliari sin dai suoi esordi, sin da quando cioè a cavallo tra gli anni '80 e i '90 ha riportato i sardi nella massima categoria dopo un lungo periodo di anonimato. Contemporaneamente, la società opera sul mercato per cercare di colmare le lacune palesate nella prima metà di stagione e per epurare elementi non adatti alla Serie B. In questa categoria rientra Gaston Pereiro, un giocatorre di talento che per impatto potenziale che poteva avere in cadetteria poteva essere assimilato a Gudmunsson, ma che invece non è riuscito a calarsi in un contesto peculiare come quello della Serie B. L’investimento più cospicuo, invece, è quello fatto per prelevare Paulo Azzi dal Modena, terzino sinistro rivelazione della passata Serie C, ma stranamente ai margini della squadra di Tesser.
Ranieri e Azzi esordiscono insieme, il 14 gennaio, in occasione della ventesima giornata di campionato, la prima del girone di ritorno. In quel momento il Cagliari è 11esimo in classifica a quota 25 punti (22 ottenuti con Liverani e 3 con Pisacane nell’unica gara da allenatore in attesa dell’arrivo di Ranieri), distante un punto dalla zona playoff e con sole cinque lunghezze di vantaggio sulla zona playout. Pochi giorni prima, durante la conferenza stampa di presentazione, Ranieri aveva rilanciato le ambizioni della squadra dichiarando di volere la Serie A e di avere in testa l'obiettivo di raggiungere il duo di testa. Nella presentazione della finale playoff di alcuni giorni fa, è tornato su quella esternazione ammettendo di essersi sbilanciato molto, anche oltre le sue reali aspettative, poiché sentiva di dover ricaricare un ambiente che gli era parso sfiduciato.
Ranieri studia la squadra, sperimenta moduli e cerca soluzioni tattiche ideali per un organico profondo, ricco, eterogeneo ma proprio per questo non semplice da rimettere in carreggiata a stagione in corso. Dopo un paio di mesi interlocutori, nei quali la squadra viaggia ancora a marce basse alla ricerca di un compromesso tra una difesa diventata accorta e rocciosa e un attacco che però è spuntato, abulico, con l’arrivo della primavera il Cagliari di Ranieri finalmente sboccia. Il tecnico testaccino ripone in soffitta l’esperimento difesa a tre, apre le porte della titolarità a Zito Luvumbo - fondamentale per l’abilità nell’uno contro uno -, ritrova i gol di Lapadula e comincia a macinare risultati. Il Cagliari è una squadra fluida sia nelle scelte del mister, che variano di partita in partita, che nella disposizione in campo dei giocatori, eccezion fatta per alcuni punti fermi che rispondono ai nomi di Dossena, Zappa, Makoumbou, Nandez, Mancosu e Lapadula, oltre al portiere Radunovic.
Le intuizioni vincenti sono diverse, in primis quella di individuare in Alberto Dossena, praticamente inutilizzato prima dell’arrivo di Ranieri, il perno su cui fondare la struttura difensiva. Dossena tornava in B cinque anni dopo gli esordi con la maglia del Perugia, a conclusione di un quinquennio passato in Serie C ad accumulare esperienza, specie ad Avellino, dove si era imposto come uno dei migliori centrali della categoria. Domenica nel play-off di ritorno al San Nicola ha fornito l’ennesima prova del suo valore, annullando un Cheddira imbolsito rispetto ad inizio anno, ma pur sempre temibile. Lo ha fatto colmando il gap atletico che separa i due con grande intelligenza: ha concesso in alcune occasioni le ricezioni in profondità all’attaccante marocchino, ma poi nei duelli ha sempre usato bene il corpo per sbarrargli la strada. Si può affermare che Dossena, nonostante un fisico da corazziere, sia un difensore più cerebrale che muscolare.
Altrettanto fruttuosa l’idea di continuare a dare fiducia a Makoumbou, anche nel ruolo di vertice basso. Il centrocampista congolese, con il passo dinoccolato e l’andatura caracollante, ha garantito pulizia nell’uscita dal basso, palesando una fiducia nei propri mezzi sorprendente per un ragazzo che per quanto non si possa più definire giovanissimo, aveva meno di 60 partite tra i professionisti alle spalle. Seguirlo in Serie A sarà interessante per misurarne i progressi e anche divertente per l’eleganza e la sfacciataggine con cui gestisce il pallone in zone calde del campo.
La prerogativa della fase offensiva era invece quella di fornire più palloni possibili a Gianluca Lapadula. E allora il prodotto delle giovanili e classe 2002 Luvumbo - un freak atletico con un’esplosività prodigiosa negli arti inferiori - e il rivitalizzato Nandez si disimpegnavano sulle fasce a suon di duelli, sgasate e cross (entrambi nella top 10 per quantità di cross effettuati in regular season), mentre Mancosu alimentava la fame di gol dell’attaccante peruviano attraverso rifiniture centrali e combinazioni figlie di un’intesa riesumata dopo l’anno di Lecce.
Per descrivere Lapadula mi affido a un sostantivo entrato nel lessico comune dei social nell’ultimo periodo: demone. Con i capelli ingelatinati tenuti in ordine da una fascetta molto anni 2000, gli occhi piccoli e stretti incastonati in un volto ruvido, sempre teso, i pantaloncini ad altezza ombelico in quello che sembra un omaggio al Fantozzi di Paolo Villaggio, Lapadula ha pasteggiato con i resti delle difese avversarie segnando in tutti i modi, ma in particolare di testa, la specialità della casa. I suoi numeri in Serie B parlano chiaro: in 118 apparizioni ha realizzato 68 gol, di cui 9 nei playoff, in 12 presenze. Numeri che, con ogni probabilità, gli varranno un ultimo tango in Serie A, alla soglia dei 34 anni.
Domare il caos dei play-off
Il brillante finale di stagione è valso al Cagliari un buon quinto posto in classifica, accolto però con un po’ di amarezza vista la composizione del tabellone. I sardi hanno dovuto affrontare il Venezia nel turno preliminare, una delle squadre più in forma nell'ultimo mese di regular season, con in prospettiva un doppio scontro con il Parma, l’unica squadra in grado di battere i rossoblu nelle ultime 15 giornate di campionato.
Il Venezia è stato regolato con una partenza sprint targata Lapadula. Il doppio scontro palpitante con il Parma, invece, è iniziato con l’uno-due dei ducali alla Domus Arena, ed è terminato con il gol annullato dal VAR a Bonny dopo diversi minuti vissuti col cuore in gola a causa dell'assenza della goal line tecnology in Serie B. Nel mezzo, l’assolo di Zito Luvumbo nel secondo tempo della gara d’andata: Luvumbo ha segnato due gol e si è guadagnato il rigore nella rimonta per 3-2. Una prestazione che mi ha ricordato una semifinale playoff tra Varese e Padova terminata 3-3 in cui il mondo ebbe contezza del talento di Stephan El Shaarawy.
Della finale con il Bari si può dire tutto e niente. In un doppio scontro adrenalinico e calcisticamente drammatico, a prendersi le luci della ribalta è stato il pubblico del San Nicola, che ha costruito una cornice entusiasmante per un duello che prometteva scintille e che non ha tradito le attese. Valutando l’evolversi di entrambe le gare e il percorso delle due squadre, è difficile dire se abbia vinto o meno la squadra più meritevole. Quel che è certo è che alla fine ha vinto quella con l’organico più forte e completo, capeggiato dal mister più scafato.
Dire che tutto è andato secondo i piani di Ranieri, dopo un match d’andata per sua stessa ammissione deludente e uno di ritorno deciso da un soffio di vento, sarebbe sbagliato e forse lo riterrebbe scorretto anche Ranieri stesso, che di solito è molto lucido e onesto nelle analisi. Ma è fuori discussione che il suo Cagliari abbia gestito nel modo migliore la gara del dentro o fuori, limitando i rischi e acquisendo metri gradualmente fino a schiacciare il Bari nella propria trequarti, soprattutto nella prima frazione. Il gol è arrivato a pochi minuti dal triplice fischio, ma l’idea di Ranieri era proprio quella di mantenere la gara in bilico il più possibile per poi attingere a piene mani dalla panchina e provare a far saltare il banco.
Prospettive e cambi di rotta
A conti fatti, la promozione rappresenta un’altra impresa nella splendida carriera di Claudio Ranieri, che è iniziata a Cagliari più di trent’anni fa e che, in una chiusura del cerchio dal sapore romantico, proprio in Sardegna potrebbe concludersi, dopo essersi concesso un'ultima passerella d'onore coi rossoblu in Serie A.
Il presidente Tommaso Giulini, dopo l’amara retrocessione dell’anno scorso, aveva dichiarato di aver pagato a caro prezzo il desiderio di alzare l’asticella per rilanciare le ambizioni della squadra e della società. Si riferiva chiaramente agli investimenti esosi ma poco fruttuosi fatti nelle stagioni intorno al centenario del 2020, incluse le scelte poco lungimiranti in merito alla guida tecnica. Solo il tempo ci dirà se il secondo anno di Serie B in nove di presidenza lo avrà aiutato a comprendere come gestire al meglio questa squadra e il rapporto con una piazza che non è mai stata troppo tenera con lui. Intanto, per iniziare al meglio questo processo di redenzione, sarebbe cosa buona e giusta ripartire da Claudio Ranieri e da buona parte del gruppo che, forse in modo diverso dalle aspettative ma sicuramente più esaltante, ha riconquistato la Serie A.
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