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Cannavaro contrasta Zidane in scivolata
, 9 Giugno 2023

Fabio Cannavaro e l'arte della scivolata


Nessun difensore ha avuto un rapporto più speciale con le scivolate.

Qual è il gesto più sfrontato che vi viene in mente quando pensate a un difensore?

La prima risposta potrebbe essere l’anticipo. Il rischio che si assume il marcatore, ovvero la possibilità di andare a vuoto, di rivelarsi vulnerabile e incerto, è direttamente proporzionale al risultato estetico e morale. Insomma, l’anticipo è pur sempre una sevizia dell’attaccante, uno di quei duelli invisibili agli occhi dello spettatore che nascondono i dettagli di una partita di calcio. Credo però che esista un gesto ancora più punk, più incerto e quindi bello esteticamente con cui un difensore potrebbe sradicare la palla dai piedi di un centravanti.

Per questo sto scrivendo di Fabio Cannavaro e del suo rapporto con la scivolata, il gesto tecnico che più di tutti lo ha elevato a uno dei migliori difensori della sua epoca e che gli ha permesso di colmare il gap fisico con colleghi molto più strutturati e violenti di lui. Cannavaro ha in fondo dimostrato che le dimensioni contano solo fino a un certo punto, fino a alla linea di demarcazione del talento tecnico e mentale. Per un difensore normale, abituato a gestire l'attaccante meditando sulla scelta meno rischiosa da compiere, sarebbe stato impossibile toccare i picchi di Cannavaro. Innanzitutto per una questione fisica: Cannavaro è alto 176 cm, e se nel calcio contemporaneo potremmo anche non stupirci di un dato del genere, va ricordato che nella sua epoca Cannavaro era mediamente più basso del centravanti meno prestante del campionato.

È anche per questo che il suo gioco è sempre stato lucido, ma di una lucidità coraggiosa. L'intervento più famoso della carriera di Cannavaro è l'anticipo su Podolski nella semifinale del Mondiale 2006. Se non ve lo ricordate – credo proprio che ve lo ricordiate, ma ai fini del pezzo è giusto descriverlo –, beh, è sempre una buona idea riguardarlo. Cannavaro con gli occhi spiritati, fissi sul pallone. Cannavaro con l'attenzione religiosa di uno sciamano, che in qualche modo sa già come si sarebbe comportato Podolski. Eppure, per quanto sia un intervento storico, sublimato dalla telecronaca di Fabio Caressa, per Cannavaro non sarà stato niente di nuovo.

Cannavaro rischiava in ogni partita, dicevamo, e lo stesso discorso può essere allargato al suo modo di scivolare. Ovviamente le scivolate di Fabio Cannavaro avevano qualcosa di unico, cioè di inimitabile, come il movimento a rientrare sul sinistro di Robben o le conduzioni palla al piede di Messi. Non sono replicabili da parte di altri difensori, contemporanei o futuri. Non erano interventi precisi o fatti nel momento giusto. Contenevano qualcosa di cruento, di splatter: quando Cannavaro entrava in scivolata il suo piede assomigliava alla lama con cui la protagonista di Kill Bill affetta le braccia e le teste dei suoi nemici.

Le scivolate di Cannavaro come un gesto pulp che non ammette sfumature. O la va o la spacca.

Ho ripensato di recente a questa particolarità del gioco di Cannavaro quando Youtube mi ha consigliato il video qui sotto. E se il titolo è già di per sé evocativo e kitsch, “Duelo de Leyendas”, sono comunque 4:53 minuti di godimento puro, di scontri violenti e al tempo stesso eleganti. Da una parte c’è il talento impossibile di Ronaldo, sempre in piedi spalle alla porta e pronto a innescare le sue accelerazioni iper-potenti, e dall’altra Cannavaro che passa metà della partita sdraiato a terra, scivolando di continuo per impedire all’altro di girarsi fronte alla porta.

Il mio momento preferito del video è a 0:08. Italia-Brasile, giocata l’8 giugno del 1997 per il Tournoi de France, è iniziata da pochi secondi e la Selecao gestisce il possesso sulla destra. A un certo punto Dunga verticalizza per Ronaldo che, appena dentro il cerchio di centrocampo, inclina il corpo leggermente a sinistra per controllare la palla in modo orientato e puntare la difesa dell’Italia.

Ronaldo immobile che si interroga su cosa sia successo. Con le gambe leggermente piegate fissa l’origine del movimento d’aria che ha sentito alle sue spalle prima di perdere la palla come un bambino preso in giro dal padre nel giardinetto di casa. In questo caso l’adulto però è Fabio Cannavaro, e la presa in giro è un anticipo scivolato assolutamente gratuito. Uno di quei gesti che gli allenatori delle scuole calcio non accetterebbero mai e poi mai da un ragazzino.

Per arrivare prima su un pallone innocuo a centrocampo, Cannavaro è scivolato a una decina di millimetri dalla gamba di Ronaldo, rischiando un cartellino dopo pochi secondi o, peggio, di andare a vuoto e lasciare scoperta la trequarti alle sue spalle. In questo l'uno contro uno ha in sé qualcosa della roulette russa, l'esposizione a un pericolo gratuito e irrefrenabile. Eppure è grazie a quell’intervento così estremo e scenografico che Ronaldo passerà il resto della partita a ricevere la palla spalle alla porta, timorato dalla presenza brutale di un difensore che non gioca come tutti gli altri.

A volte sembra che per Cannavaro la scivolata sia qualcosa di personale, quasi un modo di esprimersi su un campo da calcio. Usa la scivolata in anticipo, nei recuperi quando è svantaggiato, ma anche se deve intercettare o sporcare un tiro verso la porta. Anzi, più si avvicina al cuore dell’area, più gli interventi di Cannavaro sono spericolati e acrobatici, perché nella sua estetica difensiva non basta fermare l’attaccante, ma è importante farlo con stile.

Quel remake di Italia-Brasile è passato alla storia come la partita del doppio tackle Maldini-Cannavaro su Ronaldo. La manifestazione del potere psicologico degli attaccanti sui difensori, quindi. Il ritratto caravaggesco di un intervento disperato, in cui i due migliori marcatori al mondo fanno uso del gesto più complesso da eseguire per fermare un singolo essere umano in possesso del pallone. Fate caso agli sguardi di Maldini e Cannavaro, però: gli occhi fissi e concentrati sulla sfera, come se Ronaldo fosse solo un intralcio alle loro mansioni quotidiane. L'Italia di fine anni Novanta è stata archiviata dalla critica e dai tifosi come ultra-difensivista, ma come si poteva fare qualcosa di diverso, con quei giocatori?

Cannavaro in particolare ci ha mostrato quanto un difensore possa essere protagonista. Nel 2006 ha vinto il Pallone D'Oro, e anche se quel premio è arrivato per lo straordinario mese ai Mondiali in Germania, possiamo espanderne il senso alla sua carriera. Cannavaro ha iniziato a giocare nel calcio delle marcature a uomo e si è affermato in quello a zona. Ha attraversato vent'anni cruciali per l'evoluzione del gioco: nel suo piccolo è stato un innovatore. Senza Cannavaro avremmo mai visto difensori centrali che osano continuamente con i tackle, come Koulibaly o van Dijk?

Qualche anno fa, la Champions League ha raccolto un po' di interventi di Cannavaro per la rubrica Flashback. In certe chiusure Cannavaro assomiglia davvero a un acrobata. Le mie scivolate preferite sono quelle in cui usa l'esterno del piede per murare il tiro avversario, come se difendere fosse una missione, un dono spirituale per cui Cannavaro avrebbe sacrificato volentieri un arto. A volte devia il pallone anche con la suola, come nel salvataggio su Berbatov in Bayer Leverkusen-Inter del 2003.

Nella canzone Giorgio by Moroder dei Daft Punk – contenuta nell'album Random Access Memories del 2013 – c'è una frase che Moroder stesso dice a proposito della creatività: «Una volta che hai liberato la mente dai concetti di armonia e musica giusta, puoi fare tutto quello che vuoi». Ecco, a me pare che la difesa di Fabio Cannavaro si basasse su una visione così sfacciatamente libertaria. Ci ricordiamo di Cannavaro come simbolo dell'Italia del 2006 e quindi del significato stesso di Nazionale, ma il suo stile non aveva niente a che fare con il nostro calcio.

Come lui stesso ha raccontato una volta, mentre frequentava il corso da allenatore a Coverciano, Renzo Ulivieri stava parlando del modo di difendere: «Non si rischia mai l'anticipo». Un indottrinamento rigido, a cui Cannavaro a quanto pare ha risposto: «Beh, mister, io senza anticipo ero un difensore normale». Per diventare uno dei migliori difensori del suo tempo, Cannavaro ha dovuto mettere da parte gli insegnamenti reattivi tipici della scuola italiana, per arrivare a difendere con lo stesso animo giocoso con cui gli esterni d'attacco cercano il dribbling.

È inevitabile notare come anche il Cannavaro più agée, quello passato al Real Madrid tra il 2006 e il 2009, sia stato un difensore istintivo e spettacolare. C'è un intervento su Benayoun nella partita contro il Liverpool di una quindicina di anni fa che possiamo prendere come prova (nel video è a 0:50). Benayoun conduce la palla sulla fascia destra, e una volta tagliato dentro il campo vede Cannavaro uscire in pressing. Prova a dribblarlo, ma il difensore riesce a toccargli la palla con la punta del piede, e quella scivola verso la linea del centrocampo.

È un contrasto banale, come ne vediamo a decine durante una partita. Anche se avesse recuperato il pallone, Benayoun si sarebbe trovato spalle alla porta dopo aver perso i metri guadagnati. Era davvero essenziale entrare in scivolata così ruvidamente? Nessun difensore di alto livello risponderebbe di sì, tranne Fabio Cannavaro, che sul modo unico di giocare ha costruito se stesso.

Fabio Capello, che ha allenato Cannavaro alla Juventus e al Real Madrid, lo ha definito in un modo piuttosto suggestivo: «aveva tanta vitalità, soprattutto nei recuperi». È qui l’altra caratteristica mentale che rende la scivolata così spensierata e sublime tecnicamente: per Fabio Cannavaro allungare al massimo la coscia sull’erba, sentire con i tacchetti il tocco della palla ed estromettere l’attaccante dal gioco non è stato un mestiere, è stato un divertimento. Al contrario della tradizione di quei difensori umili e smorti, che aspettano solo di crollare come Boateng contro Messi, Cannavaro è stato il primo difensore attivo, che si sentiva protagonista del gioco e dello spettacolo tanto quanto gli attaccanti che marcava. Uno che si annoiava quando la sua squadra non era in trincea.

Era proprio la tendenza di Fabio Cannavaro a essere scatenato – cioè senza nessuna remora nell’eseguire acrobazie pazzesche anche nel cuore dell’area per bloccare tiri o cross – che rendeva il suo portiere (che nella maggior parte dei casi era comunque Buffon) superfluo. In questo senso, Cannavaro è stato un difensore generazionale non solo per il Mondiale vinto da capitano, ma soprattutto perché incarnava tutta l'epica della difesa calcistica: un uno contro uno perenne con l’attaccante da marcare, e da cui alla fine dello scontro anche quando usciva sconfitto, usciva felice. Felice perché un motivo per scivolare lo trovava sempre.


  • Nato a Giugliano (NA) nel 2000. Appassionato di film, di tennis e delle cose più disparate. Scrive di calcio perché crede nella santità di Diego Maradona. Nel tempo libero studia per diventare ingegnere.

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