Il dominio del Barcellona sulla Women’s Champions League
Contro il Wolfsburg le catalane hanno vinto la seconda coppa in tre anni.
Riconoscibile alla prima nota, senza essere l’Uomo Gatto, ritmo ipnotico, basso ostinato, estremamente ostinato per citare Mary Poppins, è Seven Nation Army, per gli amici Po po po po po po. La canzone della vittoria dei millenials, un cult al retrogusto vintage come Stranger Things per la generazione Z, le carte in regola per diventare un trend su TikTok le ha tutte. Per ora è il pezzo più passato dall’impianto del Philips Stadion di Eindhoven sabato scorso.
È il terzo minuto della finale di UEFA Women’s Champions League tra Barcellona e Wolfsburg, la seconda dopo il cambio di format che prevede i gironi, quando la centravanti della squadra tedesca Ewa Pajor fa partire un secco destro che fa lo stesso rumore dei pungiball nei luna park. Cento, jackpot, all in! Si sente per la prima volta nel pomeriggio olandese Seven Nation Army. Pajor è al suo nono gol in questa edizione della competizione, ha staccato di quattro reti tutte le inseguitrici. Si è tenuta alle spalle gente come Stina Blackstenius, Sam Kerr e Aitana Bonmatì.
La ventiseinne polacca aveva segnato le sue prime due reti già in ottobre contro il St. Polten, con una doppietta che aveva chiuso la pratica già nei primi quindici minuti. Il primo costruito da sinistra per arrivare poi in area a raccogliere un flipper di destro; il secondo correndo a braccetto con l’ultimo difensore, aspettando che l’assist di una compagna gli si accomodasse sul piede e potesse spedirlo in rete con uno scavetto delicato come un mignolo alzato. Il terzo gol, con lo Slavia Praga, è stato una rete da vera rapace d’area: va incontro al cross che piove da destra e lo indirizza alle alle spalle della portiera impattandolo col destro, il suo piede forte. A fare i conti con la capocannoniera della Champions è stata anche la Roma, sempre nella fase a gironi, sia all'andata che al ritorno. Prima è Linari, superata brutalmente nell’uno contro uno al limite dell’area, a guardare Pajor segnare con un piattone destro a giro; poi, nel ritorno, è stata tutta la linea difensiva romanista a essere presa in controtempo dalla corsa di Jonsdottir sulla sinistra e dal colpo di testa in torsione di Pajor, che per colpire il pallone si è avvitata quasi per terra come in un passo di breakdance. Prima di Natale i gol sono già sette: ancora contro il St. Polten, che il Wolfsburg batte 8-2, Pajor punisce una presa sbagliata della portiera avversaria raccogliendo la respinta e ribattendola in porta col mancino. Risparmiato il PSG ai quarti, perché forse patisce l’arrivo della primavera, il gol numero otto è un fendente di destro sul palo lontano dopo il controllo con lo stesso piede. L’esultanza è copiata a Cristiano Ronaldo. A subirlo, in semifinale, il derelitto Arsenal privato a ogni passo di una pedina fondamentale e aggrappato con le unghie e con i denti a una sperata finale.
In finale contro il Barcellona, dicevamo, a Pajor sono bastati tre minuti per mettere il suo marchio: ha messo il fiato sul collo a Bronze mentre quella cercava di uscire dalla pressione palla al piede, le ha rubato palla e ha calciato dalla lunetta un destro potente e affilato come una lama metallica.
Per riascoltare di nuovo Seven Nation Army bisogna aspettare una mezz’ora abbondante. Sempre Pajor, sul vertice destro dell’area di rigore, sceglie di non puntare la terzina Bronze davanti a sé; invece frena e lascia partire un traversone telecomandato sulla testa di Alexandra Popp che di mestiere fa proprio questo: materializzarsi dove arriva la palla e far alzare in piedi le tribune. Trentadue anni, diesel, capitana della nazionale tedesca, ha finito in crescendo il torneo realizzando 3 reti tra quarti di finale e finale: ai quarti contro il PSG, infilando il piede sotto il pallone vicino alla linea dell’area di rigore e spedendolo con precisione all’angolo alto della porta; contro l’Arsenal, in semifinale, trasformando direttamente un calcio d’angolo, come sogna di fare ogni giocatore che bacia il pallone prima di calciare dalla bandierina; poi contro il Barcellona, nella partita più importante della stagione.
Nel secondo tempo la musica cambia, almeno in campo, dagli altoparlanti del Philips Stadion risuona sempre Seven Nation Army, ma stavolta per il Barcellona, che rimette in equilibrio la partita segnando due reti in due minuti. Entrambi portano la firma di Patri Guijarro: nel primo cuce il gioco sulla trequarti, poi allarga a destra e si butta in mezzo a raccogliere il cross: anche se Guijarro colpisce di piede e non di testa, nella mente di chi Seven Nation Army se la ricorda bene la dinamica dell’azione ricorda un’altra azione di Zidane nella finale del Mondiale 2006, quando nei tempi supplementari ha prima aperto verso destra e poi costretto Buffon alla parata simbolo di quel mondiale. Guijarro invece riceve un cross basso e forte: allarga il sinistro, colpisce il pallone con un colpo sordo che dimezza lo svantaggio.
Neanche il tempo di ricomporsi e tirarsi ben su i pantaloni sugli spalti dopo l'esultanza che Guijarro ha di nuovo attaccato l’area senza palla: stavolta il cross dalla destra è di Aitana Bonmati e morbido, Guijarro lo allunga di testa verso il secondo palo per il gol che vale il pareggio. Una doppietta che si aggiunge al gol segnato al Benfica, e a quello segnato di testa contro la Roma.
All’ora di gioco, Wilms, nel tentativo di rinviare, colpisce la compagna Hendrich e il pallone diventa preda delle attaccanti del Barcellona, attente a resistere agli affannosi recuperi delle calciatrici del Wolfsburg che tagliano l’aria con scivolate disperate. Il pallone arriva tra i piedi di Fridolina Rolfo, a cui basta incrociare il pallone verso il palo lontano per completare la rimonta. Per la svedese è il quarto gol del torneo, dopo la doppietta contro la Roma ai quarti – un destro sullo scarico di Oshoala e un sinistro con il il più facile dei tap in sul secondo palo – e quello al Rosengard, da posizione defilata di sinistro, potente. Il punteggio non cambia più, Seven Nation Army non risuonerà più. Il Barcellona vince così la seconda Champions League in tre stagioni, nella sua terza finale consecutiva, confermandosi un club agguerrito nell’intenzione di contestare all’Olympique Lione la leadership sul calcio europeo.
Prima e seconda per gol segnati in questa edizione del torneo, rispettivamente 40 il Barcellona e 28 il Wolfsburg. Prima e seconda per tentativi, 274 il Barcellona, 204 il Wolfsburg e tutto questo con il pallone d’oro Putellas entrata solo al 90’. Barcellona-Wolfsburg l’ha vinta chi ha sentito risuonare una volta più degli altri Seven Nation Army, una canzone che compie vent’anni quest’anno ma che sembra esistere da sempre. Come sembra esistere da sempre anche la UEFA Women’s Champions League, che invece ha soli 22 anni – gli stessi di Lena Oberdorf del Wolfsburg, premiata miglior giovane del torneo.
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