Logo sportellate
Sergio Busquets con la maglia del Barcellona
, 18 Maggio 2023

Non ci sarà un altro Sergio Busquets


Il centrocampista spagnolo lascerà il Barcellona a fine stagione.

Un giorno racconteremo Sergio Busquets a chi non l’ha visto giocare. Racconteremo di quello spilungone ossuto, anti atletico, che smistava, recuperava, ripuliva palloni dando l’impressione di essere ovunque e allo stesso tempo di non muoversi dal cerchio di centrocampo. Racconteremo di quel ragazzino sconosciuto che, lanciato senza preavviso nel grande calcio da Guardiola, così all’apparenza inadatto, aveva finito per rivoluzionare il modo di intendere il suo ruolo e poi racconteremo di come, oltrepassato dalla sua stessa rivoluzione, dal grande calcio è stato costretto a farsi da parte, prematuramente. E racconteremo anche di tutto quello che c’è stato in mezzo: quindici anni di trame tessute, di partite cucinate a fuoco lento, di architettura applicata al calcio. Quindici anni che non torneranno mai più, semplicemente perché Sergio Busquets è stato un giocatore unico.

Sergio Busquets è stato arte del muovere la palla. Ci sono calciatori che rendono più armonioso il movimento della palla quando la colpiscono. Non è un cliché. Sono pochissimi, ma esistono davvero. Busquets è uno di questi, è l’estetica del passaggio rasoterra. I suoi passaggi sono più riconoscibili: il pallone, invece che rotolare sgraziatamente, scivola via senza attrito, dando quasi l’impressione di non toccarlo nemmeno il prato. Busquets è il brivido che precede lo stupore e la calma piatta nel prendersi un rischio. Ingabbiato dal pressing avversario, si crea una strada tutta sua per uscirne, con un tocco di tacco, una ruleta, o un tunnel. Tu che lo guardi, rabbrividisci, poi sgrani gli occhi. Lui fa tutto come se fosse la cosa più normale del mondo.

Sergio Busquets è la creatura perfetta nata dalla perversione calcistica di Pep Guardiola: la personificazione del passaggio corto, di prima, a volte apparentemente inutile. Negli anni si è abusato dell'espressione tiki-taca per definire un gioco che invece non aveva niente di conservativo, ma se pensiamo al tic-tac come al suono dell'orologio allora Busquets era il perno dell'orologio, e Xavi e Iniesta le due lancette. Sergio Busquets era il metronomo, il gestore del tempo. Busquets era l'essenza del gioco di posizione dei blaugrana e il gioco di posizione era l'essenza di Busquets. Sono nati insieme, l'uno in funzione dell'altra. Eppure, alla morte del gioco di posizione Busquets è sopravvissuto alla grande. Nel Barça più verticale di Luis Enrique e dei suoi successori gli è bastato allungare le traiettorie, agire da regista anche sul medio-lungo raggio: sempre in orizzontale, cambiando il fronte da una parte all’altra del campo; talvolta anche in verticale, innescando direttamente le punte, con un pensiero improvviso e inatteso che sembra dire “ciak si gira” ai compagni offensivi. Per tutta la sua carriera è stato l’ingranaggio che fa ruotare tutte le altre componenti del meccanismo. Fisso, lì, in mezzo al campo. Se Dante Alighieri lo avesse visto giocare, ne avrebbe parlato come di “Colui che tutto move”.

Questo è il video del suo esordio in Liga, il 13 settembre 2008 contro il Racing Santander, con tanto di sottofondo sonoro che, abbinato alla calma con cui Busquets smista i suoi primi palloni da professionista, trasmette più serenità di un video con le onde del mare.

L’importanza che ha rivestito Busquets per il Barcellona in questi quindici anni è perfettamente spiegata dal fatto che il dibattito su come rimpiazzarlo sia aperto da almeno due anni e non abbia ancora trovato una soluzione. Semplicemente perché una soluzione non c’è. E così gli anni sono passati, parlando del futuro problema senza provare attivamente a risolverlo, un po' come chi, trovandosi davanti una muraglia insormontabile, continua a costeggiarla, sperando forse di trovare miracolosamente una breccia. Una tale impotenza del Barça davanti al problema di sostituirlo non si era vista nemmeno con gli addii di Xavi e Iniesta.

Busquets è stato anche giocatore divisivo per certi aspetti. O lo ami o lo odi e spesso, se sei un tifoso avversario, lo odi. Quello che più gli è stato rimproverato è l’essere un simulatore seriale, che si lascia cadere al minimo sfioramento e rimanere a terra, fingendo. Gli interisti non hanno ancora fatto pace con l’immagine di lui, sdraiato al suolo, che scosta le dita dal viso per vedere se Thiago Motta è stato espulso. I continui svenimenti in mezzo al campo che fanno imbestialire Madrid, invece, sono l’esasperazione del più alto e decisivo compito del vertice basso del centrocampo nel calcio: non perdere la palla. Sa che se perde la palla gli avversari sono in porta e deve fare di tutto affinché ciò non capiti. Per questo, al minimo dubbio di vedersela scippata si lascia cadere, sperando che l’arbitro abbocchi. È sopravvivenza.

Con il Barcellona e la Spagna ha vinto di tutto. Eppure, una delle sue prestazioni più indimenticabili è una sconfitta, quella nella semifinale di Euro 2020 contro l’Italia. Davanti aveva quello che sarebbe diventato il centrocampo campione d’Europa e che probabilmente era, se non il più forte, quantomeno il più completo e il più in forma: Jorginho, Barella, Verratti. Non ci capirono nulla. Mancini non aveva impostato una marcatura a uomo su di lui. Ci andavano un po’ tutti, da Jorginho in su, a turno. Non gliela portarono via praticamente mai. Il problema è che non si può arrivare in anticipo su chi nell’anticipo ci vive, ne fa una condizione mentale, una dimensione temporale tutta sua. Quando arrivavano, la palla era già nei piedi di qualcun altro. La Spagna addomesticò prima e dominò poi, grazie al possesso, un’Italia che fino a quel momento aveva surclassato chiunque sul piano del gioco - esclusa forse la brutta parentesi austriaca. E la chiave di tutto fu proprio la prestazione di capitan Busi.

D’altronde aveva già detto tutto, oltre dieci anni prima, il suo primo allenatore nella Roja, Vicente Del Bosque: «Se guardi la partita nel suo complesso Busquets non si nota, ma guardando Busquets riuscirai a capire la partita nel suo complesso».

Sergio Busquets è stato la rivoluzione nel cerchio di centrocampo. Non avrebbe dovuto fare il calciatore. Il suo fisico non ha mai avuto nulla del calciatore. È testa e piedi collegati da un inutile tronco. Poi avrebbe dovuto essere un mediano di rottura, uno spazzaneve, o quitanieves, come quel veicolo che ha un'enorme pala sul davanti e fa suo tutto quello che gli passa nei dintorni. È stato anche questo, ma è stato anche molto di più: uno smistatore eccezionale del gioco, fenomenale intercettatore di trame, lavatrice di palloni, dittatore di tempi, gestore di situazioni bollenti. Dopo gli addii di Xavi e Iniesta è diventato anche imbucatore di lettere per gli attaccanti.

È stato la massima espressione della doppia missione: rottura e costruzione. È stato colui che ha portato il ruolo di vertice basso di centrocampo nella dimensione del calcio moderno – pur restando, lui, ancorato al paradigma secondo cui la tecnica e la testa prevalgono su fisico e ritmo, e per questo sorpassato dalla sua stessa rivoluzione. Come tante rivoluzioni, la sua è stata rapida; una breve parentesi di novità presto evoluta in qualcos'altro, più nuovo. I successori Casemiro, Jorginho, Bennacer, Brozovic, Fabinho, Lobotka sono figli di Busquets, eppure di Busquets non hanno quasi nulla. Rodri, che è considerato il suo erede, ne è in realtà l’evoluzione. È il superuomo applicato al concetto di mediano: è strapotere fisico al servizio di testa e piedi. Non ha, però, la poetica del passo cadenzato, del fisico inadatto. È pura linearità, perfezione.

Negli ultimi anni si è discusso parecchio se Busquets fosse ancora adatto al calcio contemporaneo, se i suoi ritmi e le sue capacità fisiche potessero ancora reggere le furiose lotte per il predominio che oggi impazzano in mezzo al campo. Ecco, in questi ultimi anni Busquets è stato l’eccezione al mediano moderno, pur avendolo, in un certo senso, inventato. È stato l’unico a dimostrare che si può sopravvivere, nei grovigli di centrocampo sempre più intricati, anche senza la tipologia di fisico che l’evoluzione del ruolo ha reso fisiologicamente adatta e necessaria – iper possente o al contrario estremamente agile – e senza quell’intensità fisica che oggi pare fondamentale per non farsi sopraffare dai ritmi forsennati del calcio di più alto livello.

Busquets è stato la vita lenta che germoglia nella frenesia della metropoli. I panni che svolazzano sui balconi, il vecchietto che legge il giornale fumando la pipa su una panchina al parco, le vie deserte la mattina di un giorno di festa, il pescatore che tende la canna, seduto sulla diga della Barceloneta, mentre fiumi di turisti si fermano per un istante a guardarlo, straniati.

Ci è riuscito quasi sempre a governare le partite dalla sua postazione di comando nel cerchio di centrocampo, tranne quelle volte in cui la modernità ha raggiunto i suoi massimi picchi. In quelle partite, oggi, anche Busquets viene sopraffatto. Probabilmente anche per questo ha deciso di lasciare il calcio di massimo livello. Ora lo aspetta qualche anno in Medio Oriente o negli Stati Uniti, condannato alla vita lenta della periferia del calcio. Forse troppo lenta per chi è nato per stare al centro.


  • Un altro ragazzo col vizio dell’overthinking e la passione per i mediani intelligenti e i mezzi trequartisti inconcludenti.

Ti potrebbe interessare

God Save the Premier #9 - K.O. tecnico

Perché il Manchester City è in crisi

Calcio e pandemia: ne siamo usciti migliori?

Marc Casadó, il pensatore

Dallo stesso autore

Parigi val bene una tripla

Guida alla Liga Portugal 2024/25

Cosa deve fare il Parma sul mercato?

Parigi 2024 low cost

Ardon Jashari è il mediano moderno

Liga Portugal 2023/24, la squadra della stagione

La marcia trionfale tornerà a suonare in Serie A

Lisa Vittozzi ci farà appassionare al Biathlon

Slavia Praga e colline rossonere

L’Union Saint-Gilloise ha fatto la storia

Newsletter

pencilcrossmenu