Federico Dimarco con la maglia dell'Inter
10 minuti

Dimarco sta volando


Nell’ultimo mese l’esterno dell’Inter ha avuto un rendimento eccezionale.

Federico Dimarco è nato a Milano, appartiene alla generazione Z e la sua immagine aderisce a una certa estetica cyberpunk – anche se mutuata da sfumature casarecce tipiche dell’italianità. Ha i capelli biondo ossigenati, il corpo ricoperto di tatuaggi. Si muove per il campo con elettricità e anche se non ha una figura imponente – è alto un metro e 75 e pesa una settantina di chili – il suo corpo asciuttissimo pare scivoloso e difficile da contenere per gli avversari, fatto di un groviglio di nervi e vasi sanguigni più che di carne. Al Verona voleva farsi chiamare “Whisky”: «Non so perché», dice il suo ex compagno Marco Silvestri. Dimarco è mancino e in effetti ha un piede delicato come la maggior parte dei mancini del pianeta, ma il suo modo di abitare il campo non è riflessivo come si conviene a un artista ma adrenalinico come quello di un combattente di MMA, categoria pesi leggeri.

Dimarco ha cominciato a giocare nelle giovanili dell’Inter come centravanti, ma poi ha arretrato il suo raggio d’azione fino ad arrivare addirittura in difesa. Nel Verona di Juric, con cui si è messo in mostra in Serie A tra il 2019 e il 2021, Dimarco in un primo momento era l’alternativa a Lazovic come esterno sinistro a tutta fascia, ma poi si è guadagnato una maglia da titolare come braccetto della difesa a tre. Era un modo per non escludere nessuno dei due dal campo: Lazovic con le sue doti di playmaking, rifinitore largo a piede invertito sulla fascia sinistra; Dimarco con il suo piede da trequartista utilissimo per costruire l’azione da dietro.

Quando Dimarco è arrivato all’Inter, Simone Inzaghi lo ha visto soprattutto come un terzo di difesa. In parte perché sulla corsia sinistra c’erano già Perisic e Gosens a darsi il cambio; ma soprattutto perché Dimarco sembrava una copia-carbone ideale di Bastoni: un regista difensivo, con un piede mancino eccezionale nel gioco di passaggi sia corto sia lungo, e abbastanza intraprendenza senza palla da muoversi e creare continuamente linee di passaggio che favorissero la costruzione dal basso. In un calcio sempre più intenso e dominato dal pressing, i calciatori più tecnici e cerebrali sono più utili nella periferia del campo, là dove c’è più spazio per pensare: in zone arretrate, e verso le fasce. Questo è vero in particolare in una squadra come l’Inter da Conte in poi. Una squadra fondata sulla costruzione dal basso, i cui sforzi sembrano orientati quasi esclusivamente a trovare un modo pulito per uscire da dietro, dopo di ché l’azione si svolge da sola. Una squadra che per questo ha messo a punto dei complessi sistemi di rotazioni, scivolamenti e scambi di posizione per creare linee di passaggio, e che ha bisogno di difensori iper tecnici e creativi per far scorrere il possesso in modo pulito fin dalle primissime battute. In questo contesto Dimarco ha trascorso la stagione 2021-22, la sua prima in nerazzurro, come riserva di Bastoni, uno dei difensori in assoluto più tecnici col pallone in Serie A.

In questa stagione lo status di Dimarco non sembrava dovesse cambiare. In estate, con la cessione di Perisic, era tutto pronto perché Gosens diventasse il padrone della fascia sinistra, con Darmian a fargli da prima alternativa – Darmian liberato dall’arrivo di Bellanova come vice di Dumfries sulla destra. Gosens però non ha mai ingranato davvero nell’Inter: in difficoltà con il tanto lavoro con la palla richiesto all’esterno sinistro – il lato forte della manovra dell’Inter – Gosens è sembrato un lontano parente dell’esterno che all’Atalanta agiva quasi come un attaccante ombra. E, con le prestazioni altalenanti di Dumfries, specie post-Mondiale, a un certo punto della stagione l’Inter si è ritrovata con le gerarchie sugli esterni completamente rovesciate: Matteo Darmian titolare come quinto di destra, Dimarco titolare come quinto di sinistra.

C’è una partita nello specifico in cui Dimarco si è preso il posto da titolare come esterno di centrocampo. Inter-Roma, il 1° ottobre 2022. Le precedenti partite stagionali Dimarco le aveva giocate un po’ dove serviva: qualcuna da esterno, la maggior parte da braccetto di difesa. Contro la Roma parte titolare sulla fascia e al 30’ segna il gol del vantaggio per l’Inter (che poi perderà la partita 1-2): su una rifinitura deliziosa di Barella, un filtrante di esterno destro, Dimarco brucia Celik in accelerazione, gli taglia davanti e poi conclude di destro sul primo palo dal limite dell’area, senza nemmeno controllare il pallone, prendendo in controtempo Rui Patricio. Il modo in cui Dimarco attacca la profondità alle spalle del terzino avversario dice forse molto dell’ingenuità di Celik, ma lo smarcamento clandestino di Dimarco è altrettanto indicativo della sua capacità a muoversi sul lato debole, ad attaccare la porta eludendo il fuorigioco come un attaccante ombra navigato. Da quella partita Inzaghi non userà più Dimarco in un ruolo che non sia il quinto di centrocampo.

Tre giorni dopo l’Inter ha ospitato il Barcellona a San Siro e Dimarco ha servito l’assist per l’unico gol della partita. Non un’azione particolarmente eccezionale stavolta: Dimarco serve a Calhanoglu un semplice passaggio orizzontale al limite dell’area, il merito del gol è tutto del turco che dai 20 metri trova l’angolo basso alla destra di Ter Stegen.

Sette mesi dopo quella partita, gli assist di Dimarco in Champions League sono diventati 5: gli stessi di Joao Cancelo e Vinicius Jr. L’ultimo lo ha realizzato ieri sera, per il gol del 2-0 di Mkhitaryan nella semifinale di andata di Champions contro il Milan. Il third pass – il passaggio cioè che precede l’assist – glielo ha servito ancora Barella, e ancora di esterno, come a ottobre contro la Roma. Dimarco scatta alle spalle di Calabria, riceve il passaggio in profondità di Barella e poi serve un assist arretrato verso il limite dell’area, che Mkhitaryan raccoglie e trasforma in gol.

Quando Inzaghi tentennava a usare Dimarco come esterno, una delle ragioni era la mancanza di Dimarco dell’esplosività necessaria a coprire l’intera fascia con continue accelerazioni, sia in avanti sia all’indietro, oltre alla sua attitudine a giocare meglio col pallone che senza. Oggi Dimarco è una freccia sempre pronta a scattare per dare un’opzione in ampiezza e in profondità.

Non esiste varco alle spalle del terzino destro avversario che Dimarco non pensi di poter attaccare. Ieri al 15’ Barella ha provato a servirlo ancora dietro a Calabria, con un lancio lungo; il terzino del Milan ha intercettato per un momento, ma poi sulla seconda palla è piombato Lautaro che ha servito Calhanoglu per il tiro che si è stampato sul palo. In qualche modo, insomma, Dimarco è entrato in tutte e tre le azioni con cui l’Inter ha inclinato l’inerzia della partita nel primo quarto d’ora: ha battuto la punizione che ha condotto al corner dell’1-0, servito l’assist del 2-0 e suggerito col suo movimento senza palla la verticalizzazione da cui è nato il palo di Calhanoglu.

Per tutta la partita Dimarco ha mantenuto una posizione altissima che ha costretto Calabria a giocare con particolare cautela. Al 33’ è stato il terminale di due azioni diverse dell’Inter, arrivando a calciare due volte in porta a distanza di 50 secondi. La prima volta Dzeko ha condotto palla sul centro destra, arrivato ai 20 metri ha passato verso il centro, probabilmente per Lautaro, il quale però non è arrivato sul pallone troppo lungo; improvvisamente però da un angolo del televisore è sbucato Dimarco, che si è coordinato per calciare di prima ma ha colpito in pieno Calabria davanti a lui.

50 secondi dopo l’Inter manovra ancora a destra; Barella allarga a sinistra dove Dimarco è tutto solo, quello si coordina per calciare di nuovo di prima, siamo a circa 25 metri dalla porta, ma il pallone viene ancora deviato da Calabria e per poco non diventa buono per il tap-in di Dumfries.

Dimarco ha tenuto sempre una posizione estremamente alta sull’esterno sinistro, non solo in fase di possesso ma anche di pressing. Quando il Milan costruiva dal basso l’Inter rispondeva – non sempre, ma spesso – con un pressing uomo su uomo, e i due esterni Dimarco e Dumfries salivano fino a prendere in consegna i due terzini milanisti. Dimarco non ha fatto una partita difensiva particolarmente ricca di eventi, ma non ce n’è stato bisogno: l’Inter ha schiacciato indietro il Milan con un atteggiamento piuttosto aggressivo, e privato i rossoneri dell’arma più pericolosa a loro disposizione, le transizioni veloci, non sedendosi in basso e chiudendo gli spazi ma con un approccio al contrario spregiudicato, ambizioso. Soprattutto nel primo tempo. È stato possibile anche grazie alla continua minaccia di ampiezza e profondità portata da Dimarco e Dumfries, due terzini offensivi abituati a giocare quasi sulla stessa linea degli attaccanti.

Già contro il Benfica, nei quarti di andata, Dimarco aveva dato il tormento al terzino destro avversario semplicemente occupando una posizione piuttosto alta. Contro una squadra iper-aggressiva come il Benfica di Schmidt, cha ha bisogno di restare corta con molti uomini vicino al pallone, l’Inter aveva scelto la strategia di allargare il più possibile il campo: specie Dimarco a sinistra restava altissimo a apertissimo, sempre disponibile a ricevere un cambio campo che spostasse velocemente il fronte dell’azione e disordinasse la struttura del Benfica. In quella partita, vinta dall’Inter per 2-0, Dimarco non aveva partecipato ad alcun gol, ma con la sua presenza costantemente minacciosa sull’esterno aveva costretto il terzino avversario a restare inchiodato indietro, privando il Benfica di un ingranaggio fondamentale nello sviluppo del suo gioco.

Al ritorno, a San Siro, Dimarco si è scialato. Ha servito due assist per il 3-3 finale: nel primo ha ricevuto in isolamento, ben largo a sinistra, aspettato l’arrivo di Mkhitaryan con cui scambiare e si è sovrapposto all’interno per chiudere il triangolo, prendendo di sorpresa Aursnes che non è riuscito a seguirlo. Arrivato in area di rigore ha servito una palla tesa in orizzontale che ha trovato Lautaro a un metro dalla porta.

Quest’anno Dimarco è una delle principali armi in rifinitura dell’Inter. Con 8.8 expected Assist in tutte le competizioni è il calciatore più creativo della squadra, davanti a Barella (6.1) e Calhanoglu (6.0, tutti i dati sono Fbref). Tutte le occasioni in cui Dimarco è decisivo nel terzo offensivo di campo nascono da un scatto da quattrocentometrista, un taglio sul lato cieco dell’azione, una sovrapposizione che coglie di sorpresa la difesa avversaria. Quando la difesa si accorge che con Dimarco non ha a che fare con un terzino ma con un’ala vera e propria, è sempre troppo tardi. Il 26 aprile contro la Juventus ha segnato il gol che ha mandato l’Inter in finale di Coppa Italia. Su un attacco manovrato ha tagliato nel cuore dell’area, Barella lo ha pescato con un bellissimo passaggio di punta, e Dimarco ha spiazzato Szczesny con un altro tocco di punta.

È un’azione diversa dalle altre viste finora, non è un taglio profondo di Dimarco durante una transizione lunga; qui Dimarco ha accompagnato l’attacco posizionale della squadra, e quando taglia dentro sembra non vederlo nessuno, essere trasparente, come se nessuno credesse davvero che possa trovarsi lì – il suo corpo come un’allucinazione, uno spettro. Dal canto suo Dimarco dimostra un certo senso predatorio da attaccante: è bravo a non finire in fuorigioco, e freddo nel concludere in modo controintuitivo a tu per tu col portiere.

Dimarco è un giocatore che può interpretare spartiti tattici diversi. È un giocatore associativo e cerebrale, bravo ad alimentare il gioco di passaggi della squadra coi suoi smarcamenti e un piede da trequartista (che lo rende anche un ottimo calciatore di punizioni, corner e tiri da lontano); questo è il lato che già si conosceva di Dimarco, quel lato prettamente tecnico che aveva convinto Juric e Inzaghi a usarlo inizialmente come playmaker difensivo. Poi c’è un secondo lato di Dimarco emerso soprattutto quest’anno all’Inter: quello degli inserimenti senza palla, del tormento al terzino avversario. Il Dimarco che vive negli spazi ampi e morti alle spalle dell’ultimo uomo.

Il 6 maggio in Roma-Inter ha segnato il gol del vantaggio tagliando alle spalle di Zalewski e arrivando per primo su un traversone di Dumfries. Un’altra azione che nasce dal posizionamento altissimo di Dimarco fin dall’avvio: quando Brozovic raccoglie palla dai difensori e porta palla a centrocampo, Dimarco è praticamente un’ala, posizionato già alla stessa altezza di Lukaku in un tridente ideale completato dall’altro esterno Dumfries. L’azione poi la completano proprio i due esterni: una connessione da quinto a quinto come da paradigma di Gasperini, Dimarco a mangiarsi lo spazio sul secondo palo come il miglior Gosens.

Come Gosens dei tempi d’oro, c’è una certa voracità nei tagli con cui Dimarco si appropria della profondità dietro il terzino. Ogni volta che ha spazio in cui infilarsi, e subodora la possibilità di un filtrante – proveniente quasi sempre dall’altro lato, quasi sempre da Barella – Dimarco si fionda sul pallone come fosse l’ultimo della sua vita. Negli ultimi anni la Serie A è diventata una sorta di riserva indiana di questi esterni a tutta fascia tarantolati, che paiono fare un gioco a metà tra il calcio e uno sport più fisico e adrenalinico – il football americano, o direttamente qualche gioco letale come il tiro alla fune di Squid Game. Dimarco oggi è l’esponente migliore di questa piccola eccellenza italiana: quando parte senza palla sembra diffondere intorno a sé piccole scariche elettriche; lui col fisico compatto, i calzettoni abbassati, la faccia un po’ truce, il ricco corredo di tatuaggi e la sbuffata bionda sui capelli: l’essere umano più simile a un war boy di Mad Max: Fury Road, o a Flea dei Red Hot Chilli Peppers, in alternativa.

Questo l’assist che ha servito a Dzeko in Inter-Viktoria Plzen di ottobre. A servire il taglio di Dimarco è sempre un lancio geniale di Barella.

Dalla partita di andata con il Benfica a quella di ieri contro il Milan è passato un mese esatto. In questo mese Dimarco è stato decisivo in 6 partite diverse, servendo 4 assist e segnando 2 gol. Anche nel 6-0 contro il Verona del 3 maggio ha provocato il gol del vantaggio con un tiro da fuori area da cui è scaturito l’autogol di Gaich.

È stato senz’altro il mese migliore per Dimarco da quando è all’Inter, e forse di tutta la sua carriera. In questi giorni si è parlato molto di lui in quanto milanese e interista dalla nascita, gli hanno chiesto cosa si prova a giocare un derby in semifinale di Champions. Dimarco ha raccontato che «Nel 2003 ero a San Siro, non ho bei ricordi da tifoso interista». Allora Dimarco aveva 6 anni; oggi ne ha 26 e nella partita di andata ha dimostrato non solo di poterla giocare una semifinale di Champions, ma anche di poter essere decisivo. Adesso manca l’ultimo tassello, la partita di ritorno tra una settimana, per rendere questo mese per lui già eccezionale indimenticabile.


Autore

  • Damiano Primativo (1992) è salentino e studente di Architettura. È nato il 23 dicembre come Morgan, Carla Bruni e Vicente Del Bosque.

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