Gudmundsson fa volare il Grifone
Guidata dall'islandese, il Genoa è ormai avviata alla promozione diretta.
Il campionato cadetto è la rappresentazione sportiva del Purgatorio dantesco. Altro che Inferno, luogo in cui regna per definizione la rassegnazione. La Serie B è il regno della speranza nel caso delle neo-promosse; dell'espiazione per le neo-retrocesse, dell'attesa per tutte le altre. Tutti sperano in qualcosa. Un giorno ti sarà concesso di tornare nel massimo campionato, ma non sai mai quando esattamente. Conta poco che si è appena retrocessi dagli splendori della Serie A: nella maggior parte dei casi questo non garantisce il ritorno immediato. Sono rari i casi in cui si verifica il rimbalzo, e non vale nemmeno la regola del più forte: in Serie B non si vince solo con i giocatori, ma anche e soprattutto con le idee. Vince la squadra più pronta ad affrontare la categoria.
Il Genoa sta sperimentando la trappola del Purgatorio sulla sua pelle. Per la trentaquattresima volta. Ci pensate? La squadra che ha dato origine al big bang calcistico italiano e che vanta nove scudetti - seppur datati - è in attesa di espiare le colpe della stagione passata. Nel Purgatorio non si fanno sconti a nessuno, anche se godi di un certo blasone e hai in squadra pezzi pregiati per la categoria. Giocatori come Massimo Coda, Mattia Aramu, Albert Gudmundsson per esempio. Interpreti che - almeno sulla carta - avrebbero dovuto rendere agevole la risalita. Eppure le cose non sono andate esattamente così.
Il Genoa ha cominciato l'attuale stagione con lo stesso allenatore della retrocessione: Alexander Blessin. L'allenatore tedesco, proveniente dalla scuola dei laptop trainer, ha fin da subito generato molta curiosità intorno ai suoi principi di gioco. Più che per il gioco in sé, però, col senno di poi l'hype era dovuto soprattutto a un impulso esterofilo. Alla curiosità di vedere una scuola tattica straniera misurarsi coi miasmi della zona retrocessione della Serie A, un contesto generalmente governato dal conservatorismo e da approcci tattici reattivi.
Quello di Blessin per molti versi può considerarsi un calcio innovativo. Si basa su un gegenpressing agguerrito, ma che spesso si è dimostrato infruttuoso dal punto di vista realizzativo. L'organizzazione del pressing metodica, a tratti maniacale, è una caratteristica fondamentale del calcio tedesco dell'ultimo decennio. Per ridurre la superficie di campo da dover difendere e tenere molti giocatori vicini alla zona del pallone, le squadre di Blessin trascurano l'ampiezza per tenere alta la densità in zona centrale. Un gioco che però ha soffocato alcune individualità tecniche del Grifone, come Albert Gudmundsson, e che in aggiunta all'insofferenza di alcuni giocatori verso i metodi spigolosi di Blessin (Marchetti e Coda su tutti), ha convinto la dirigenza a esonerare l'allenatore tedesco lo scorso dicembre.
Bisogna dire che, al momento dell'esonero di Blessin, il Genoa si trovava ancorato alla zona play-off. Un posizionamento che, per quanto positivo, rappresentava il minimo sindacale per una rosa di quella qualità. C'è un dato che più di tutti evidenzia le difficoltà della squadra sotto la gestione di Blessin: i gol fatti. Basti pensare che alla 15esima giornata il Genoa aveva segnato solo 16 gol. In media 1,06 a partita. Pochi, pochissimi, se si pensa all'arsenale offensivo di cui disponeva. Il calcio non mente: per vincere le partite basta fare un gol in più dell'avversario, ma c'è modo e modo di riuscire in questo proposito e quando il gioco si concentra più nella distruzione che nella costruzione, come spesso accadeva sotto Blessin, le difficoltà vengono sempre a galla. Blessin ha scelto la strada della rigidità, dell'assoluta fedeltà ai suoi principi. Un solo modulo, un solo approccio al gioco. Anche per questa rigidità il tedesco non ha lasciato un buon ricordo calcistico in Italia. Almeno per ora.
Ad ogni modo, dopo l'esonero di Blessin la dirigenza ha deciso di mettere la squadra in mano al tecnico della primavera, Alberto Gilardino. L'ex campione del mondo, rispetto a molti suoi colleghi, una volta diventato allenatore era partito dal basso. Due esperienze in serie D e altrettante in Serie C, prima di finire ad allenare le giovanili del Genoa. L'approdo in prima squadra è stato piuttosto naturale. Quello che doveva essere un traghettatore, però, si è trasformato in una figura stabile. Da brutto anatroccolo a cigno. Come succede nelle migliori favole.
Alberto Gilardino ha letteralmente stravolto la squadra genovese e riportato entusiasmo in una piazza che necessitava di nuovi stimoli. Niente più rigidità. Niente più attaccamento morboso alle tattiche. Spazio anche e soprattutto all'estro dei singoli. Tra i primi a trarre vantaggio dal cambio allenatore c'è stato Albert Gudmundsson. Anche Coda, che aveva avuto poco feeling con Blessin, ha speso parole di stima verso il nuovo tecnico. In particolare, l'ex attaccante del Benevento ha lodato la capacità di Gilardino di dettare direttive precise prima e durante la gara.
Valorizzare i singoli non vuol dire necessariamente disaffezionarsi agli aspetti tattici. D'altra parte la tattica deve essere uno strumento a supporto dei singoli, e non il contrario. Questo principio sembra l'unico alla base dell'idea di gioco di Gilardino, insieme alla liquidità. Per il resto il nuovo tecnico rossoblù ha dimostrato di non avere nemmeno un modulo tattico predefinito: in 20 partite sotto la sua gestione, il Genoa ha alternato indistintamente 4-3-3 e 3-5-2, con quest'ultimo che sono negli ultimissimi tempi sembra essersi imposto come modulo di riferimento.
Con la difesa a 3 il Genoa riesce a impostare dal basso in modo sicuro e a creare superiorità dietro le linee di pressione. Il centrocampista centrale, Badelj, si abbassa spesso per ricevere palla dai centrali o addirittura dal portiere in una sorta di salida savolpiana. Il gol segnato al Benevento a gennaio, nel video qua sotto, è un manifesto di questo modo di creare spazio partendo da dietro.
Si vede chiaramente come la posizione ben aperta dei centrali di difesa favorisca l'abbassamento dei centrocampisti. Prima Gudmundsson e poi Badelj scambiano coi difensori e attirano il pressing del Benevento. Una volta elusa la pressione avversaria, per l'islandese si è spalancata una prateria: Gudmundsson avanza indisturbato, poi giunto ai 25 metri serve un filtrante che mette in porta Coda. In un certo senso, è come se Gilardino avesse restituito ai suoi il piacere di giocare a calcio. Meglio: di giocare la palla.
Il possesso palla è l'arma in più del Genoa di Gilardino. Anche quando la squadra si dispone a 4 dietro. La superiorità tecnica della rosa del Grifone è evidente e la gestione del pallone è usata al contempo come arma offensiva e difensiva. Banalmente: se noi gestiamo il pallone, la probabilità di subire gol si abbassa, per parafrasare in estrema sintesi uno dei principi di Guardiola. Pur non praticando un calcio difensivo tradizionalmente inteso, la solidità del Genoa è evidente: da quando Gilardino siede in panchina la squadra ha subito solo 8 gol e ha mantenuto la porta inviolata in ben 15 gare. Numeri da strabuzzare gli occhi. Numeri da cui si può trarre una lezione anche un po' controintuitiva: l'imbattibilità non è necessariamente figlia di un calcio difensivo.
Dicevamo che il giocatore che più ha beneficiato della cura Gilardino è senza alcun dubbio Albert Gudmundsson. Il tecnico ha capito come resettare l'islandese, riportandolo al centro del progetto genoano. L'impatto della nuova gestione è evidente. In 20 partite, Gudmundsson ha messo a segno 8 reti. Nelle precedenti 15 gare, invece, ne aveva segnata solo 1. Sbloccare il potenziale dell'islandese era la chiave di volta per riportare risultati positivi in casa Genoa. Gudmundsson sta vivendo la sua seconda migliore stagione realizzativa. Meglio di quest'annata, solo la stagione 2016-2017 con il Jong PSV in Eerste Divisie (18 gol).
Se nella stagione di Gudmundsson c'è un pre e un post Gilardino, è per precise ragioni tattiche. Gilardino non ha ingabbiato Gudmundsson, lo ha lasciato libero. Non ha costruito maglie tattiche su misura, ma lascia che la sua fantasia fluisca sponateamente. In questa intervista di circa un mese fa, proprio l'allenatore ha parlato dell'estro dell'islandese e dell'importanza di lasciarlo libero di svariare sul fronte d'attacco. Forse per un ragazzo cresciuto in uno dei paesi con la più bassa densità di popolazione è normale sentirsi soffocato in mezzo al traffico. Gudmundsson si trova a proprio agio quando può galleggiare nello spazio secondo la propria sensibilità; che parta da ala sinistra o da punta, lui nel corso della partita trova la giusta collocazione tattica da sé. Ha bisogno di sentirsi comfortable – la stessa parola che l'islandese ha usato in una recente intervista per descrivere il suo stile al di fuori del terreno di gioco.
Gudmundsson si abbassa a ricevere palla e poi si allarga sulla destra per ricevere lo scarico. Qualche secondo dopo si ritrova nell'area avversaria come terminale offensivo. La sua posizione in campo non è ben definita.
Nella stessa intervista sopracitata, l'11 rossoblù ha indossato delle maglie rétro per il set fotografico. Maglie che su di lui si adatterebbero bene anche sul campo, per la sua aura di calciatore vintage. D'altra parte la sua libertà di spaziare per il terreno di gioco ricorda i giocatori creativi del passato. Per lui, fare la spola dalla difesa per aiutare la tessitura dell'azione sembra la cosa più normale al mondo. Anche se, in realtà, è appannaggio di pochi.
Vedere Gudmundsson in azione è un'esperienza contrastante. Nonostante venga descritto come giocatore veloce e dinamico, le sue prestazioni iniziano sempre in sordina. Per alcuni tratti di gara, è come se qualcuno schiacciasse la velocità di riproduzione a 0,5x. Forse, più semplicemente, sono delle fasi di studio per l'islandese. Momenti fondamentali per capire in che modo può allentare le maglie delle difese avversarie. Eppure, quando il biondino si mette a ciondolare per il campo sono momenti di pura estetica. Ai romantici come noi basta poco per emozionarsi: un paio di calzettoni bassi e qualche dribbling non troppo articolato. Ci hai già conquistato.
Ci sono poi delle frazioni in cui l'islandese si accende. Il motore trova i giri giusti e con lui tutta la squadra inizia a salire di ritmo. Non è un caso che la maggior parte delle azioni pericolose partano dai suoi piedi. Bastano pochi, centellinati tocchi per trovare il varco giusto. Un semplice controllo orientato, ad esempio: Gilardino stesso ha elogiato questa qualità del gioco di Gudmundsson, la sensibilità con cui può creare vantaggi col primo tocco di palla. Gudmundsson è capace con un solo tocco di dare il là ad un'intera orchestra.
Non è raro vedere l'islandese avvitarsi su se stesso con una veronica per proteggere il pallone. Uno dei dribbling primordiali del calcio, con cui il portatore evita l'avversario che invade il suo spazio. Con gesti semplici come questo, da calcio di strada, Gudmundsson infonde la sua influenza tecnica sulle azioni del Genoa.
Se la veronica ricorda le porte girevoli degli alberghi, pure il cambio di allenatore del Genoa è stato una porta girevole nella stagione di Gudmundsson. Se non fosse arrivato Gilardino, avremmo visto lo stesso Gudmundsson? Probabilmente adesso staremmo parlando di un comprimario della risalita del Genoa, non del giocatore determinate che è diventato sotto il nuovo tecnico.
"È molto lontana l'Islanda, è vicino a Padova l'Islanda", diceva un bambino in una vecchia edizione dello Zecchino d'Oro; una frase diventata iconica e ripresa dallo stesso Gudmundsson in un video registrato in occasione della partita col Cittadella. La Serie A, invece, è sempre più vicina. La corsa del Genoa sembra ormai inarrestabile e Albert Gudmundsson vuol tornare a far volare il Grifone.
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