L'Inter ha sfruttato i punti deboli del Benfica
Rigirandogli contro l’aggressività del suo gioco.
Prendiamo una delle prime azioni della partita, quella al 7’. L’Inter recupera un pallone a centrocampo e riparte dai propri difensori, costruendo con calma nel centrosinistra. Brozovic si fa dare palla da Bastoni e allarga dall’altro lato, verso Darmian, poi dopo una serie di passaggi sulla destra che coinvolgono anche Dumfries e Onana il pallone ritorna a Brozovic, nel frattempo venuto a destra, che cambia campo una seconda volta tornando a sinistra, verso Dimarco. Dimarco appoggia indietro per Acerbi, che da dentro il cerchio di centrocampo cambia ancora lato dell’azione, con un lancio verso destra per Dumfries che nel frattempo ha attaccato la profondità.
Il pallone viene allontanato da Grimaldo di testa, ma sulla seconda palla piomba Barella, che senza pensarci due volte, sempre dalla linea laterale destra, crossa verso il centro dell’area. Il pallone è di poco alto per Dzeko, ma sul tentativo di recupero di Joao Mario – il pallone è adesso sulla fascia opposta, a sinistra – piomba l’altra mezzala dell’Inter, Mkhitaryan, che recupera il pallone e appoggia a Dimarco per il controcross. Dzeko stavolta ci arriva ma la sfiora appena e il tiro finisce largo sul fondo.
È un’azione conclusa senza creare pericoli concreti, ma indicativa del piano tattico giocato dall’Inter al Da Luz, in una partita in cui i nerazzurri hanno soffocato con un atteggiamento iper-aggressivo un Benfica normalmente abituato a soffocare, e dove alcuni singoli come Bastoni, Barella, Brozovic e Mkhitaryan hanno inclinato la partita con il loro talento individuale, risvegliandosi dal torpore che pareva avvolgerli negli ultimi mesi. Soprattutto, però, questa trama di gioco tutto sommato ordinaria – cosa c’è di anomalo nell’Inter che manipola l’avversario muovendo il pallone da un lato all’altro, e poi gli gira intorno sfruttando gli spazi che si sono liberati? – è un manifesto delle contromisure prese dall’Inter per disinnescare l’aggressività del Benfica: aumentare la gittata media dei propri passaggi e scavalcare il blocco di pressione dell’avversario cambiando continuamente lato del campo.
All’inizio, quando l’Inter imposta coi suoi difensori, il Benfica scherma tutti i riferimenti centrali nerazzurri orientandosi sull’uomo: la punta sul difensore centrale, gli esterni d’attacco sui braccetti, il trequartista su Brozovic e i due interni di centrocampo sulle mezzali. In teoria restano liberi i due quinti – in questo modo il Benfica orienta l’azione verso le fasce – ma quando Dumfries entra in possesso il blocco del Benfica scivola verso destra e le marcature ruotano, con l’esterno d’attacco del lato forte (Aursnes) che si muove verso l’esterno in possesso e gli altri che scalano per riadattarsi alla nuova situazione. Così, mentre Darmian, Dumfries e Onana si scambiano la palla per accogliere ulteriormente la pressione del Benfica su questo lato, anche Brozovic scivola verso destra per aggiungere densità in zona palla.
Naturalmente viene seguito dal suo marcatore, Rafa Silva, e da Joao Mario, che abbandona Bastoni per accentrarsi verso Acerbi. E altrettanto naturalmente sul lato sinistro si apre lo spazio per due giocatori completamente liberi, Bastoni e Dimarco, verso cui Brozovic sposta subito l’azione con un cambio campo preciso.
L’Inter è maestra nelle costruzioni dal basso palleggiate. Dall’arrivo di Simone Inzaghi in panchina ha arricchito ulteriormente il suo set di meccanismi di uscita dalla difesa impiantati da Antonio Conte, e con l’ingresso di un portiere bravo con i piedi come Onana questa fase del gioco ha raggiunto un livello successivo di compiutezza. La chiave di volta del primo possesso dell’Inter è Brozovic, coi suoi movimenti incessanti che nella scorsa Serie A l’hanno reso il giocatore con più chilometri percorsi. I suoi scivolamenti continui da destra a sinistra come quelli di un pendolo, i suoi smarcamenti che procurano sempre una linea di passaggio ai compagni.
Dell’Inter si sottolinea spesso che è una squadra “di rotazioni”, che in mancanza di individualità capaci di creare superiorità numerica coi dribbling e la tecnica deve ovviare con gli strumenti della tattica collettiva. Con le sofisticate rotazioni a orologeria della struttura posizionale, cioè. Tutto un esercizio di sovrapposizioni, movimenti coordinati, salite e scalate per attirare la pressione e giocargli alle spalle. Quest’anno con la perdita di Perisic e dei suoi strappi, e con l’ingresso al suo posto di un giocatore molto tecnico ma meno autosufficiente come Dimarco, l'insistenza dell’Inter per uscire in modo pulito da dietro ha raggiunto il parossismo. La squadra, per diverse ragioni, ha lentamente smesso di essere affilata nell’ultima trequarti campo, e così il sistema complesso e baroccheggiante della prima costruzione è pian piano diventato sterile. Un esercizio fine a se stesso, arte per l’arte. L’Inter come la migliore squadra al mondo in uno sport dove non serve segnare ma solo uscire dal basso.
Contro il Benfica la qualità dell’Inter in costruzione e consolidamento del possesso è tornata estremamente efficace grazie a un piccolo correttivo: i giocatori dell’Inter hanno tenuto le distanze tra loro più ampie e in questo modo hanno aperto il campo come puntine da disegno fissate agli angoli del foglio. Per andare da un lato all’altro hanno usato più cambi campo e passaggi lunghi del solito, riuscendo così a mandare continuamente a vuoto il pressing avversario. Contro il Benfica l’Inter ha fatto 8 cambi campo: solo in 2 partite in questa stagione ne aveva fatti di più (dati Fbref). Va detto che il modello statistico usato (Opta) considera “cambi campo” solo i passaggi orizzontali lunghi almeno 40 yards (circa 36 metri e mezzo) per cui dal conteggio è esclusa tutta quella mole di passaggi leggermente più brevi con cui l’Inter ha continuamente spostato l’azione da un lato all’altro.
Non rientrano tra gli 8 cambi campo, ad esempio, i passaggi che hanno liberato Bastoni in occasione del primo gol. L’Inter costruisce a destra con Darmian e Dumfries, l’olandese passa in orizzontale a Brozovic, controllato alle spalle – in modo un po’ blando a dire il vero – da Rafa Silva; il croato usa il controllo orientato per girarsi sul sinistro e torna da Acerbi al centro della difesa, che apre per Bastoni. Joao Mario, preso in mezzo tra Acerbi e Bastoni, non può accorciare verso il braccetto quando quello parte in conduzione nella metà campo avversaria. Arrivato sulla trequarti Bastoni mette un cross sopraffino verso il secondo palo, dove arriva Barella con il colpo di testa che vale l’1-0.
Per tutta la partita l’Inter ha cercato insistentemente l’ampiezza, anche forzando passaggi lunghi che sembravano fatti a casaccio, ma che in verità rendevano ancora più evidente il piano tattico preparato dai nerazzurri.
Contro un Benfica che in fase di non possesso pressa con molti uomini vicini alla palla – applicando quindi il principio di difendere in un campo piccolo – l’Inter ha risposto ampliando il più possibile la superficie del gioco. Ci è riuscita anche grazie al posizionamento sempre larghissimo e alto dei due esterni Dimarco e Dumfries, i quali sono riusciti con la costante minaccia dell’ampiezza a tenere schiacciati indietro i terzini avversari. Come ha scritto Simone Tommasi in un pezzo recente, nel Benfica Grimaldo e Gilberto sono due ingranaggi fondamentali nel gioco di Schmidt, necessari sia a costruire le combinazioni di fascia con cui la squadra risale il campo in fase di possesso, sia ad accorciare in avanti e partecipare alla riaggressione una volta persa palla. Ieri invece sono stati costretti da Dumfries e soprattutto Dimarco in posizioni molto più basse del solito, e a restare esclusi sostanzialmente dalla partita.
L’altro aspetto su cui l’Inter ha costruito la vittoria è l’aggressività. La squadra di Inzaghi è notoriamente una delle più aggressive del campionato (4a sia nell’indice PPDA sia in quello GPI che misura l’intensità del gegenpressing, secondo i dati Soccerment) ma ieri ha colpito soprattutto per l’aggressività individuale con cui i giocatori hanno affrontato i contrasti in giro per il campo. In un contesto tattico che ha finito per stirare i confini del Da Luz e per far sembrare il campo enorme, i giocatori nerazzurri hanno giocato una partita molto dispendiosa atleticamente per coprire le lunghe distanze che, una volta persa palla, li separavano dagli avversari. I giocatori dell’Inter non si sono limitati però a schermare le linee di passaggio, né hanno usato altre contromisure utili a centellinare lo sforzo fisico. Hanno gestito invece ogni transizione difensiva cercando di andare a contrasto, con un’intensità che è stata semplicemente ingestibile per il Benfica. In tutta la stagione l’Inter non ha mai fatto tanti contrasti e intercetti come ieri: 37 (dato Fbref).
Un esempio di questa aggressività è nell’azione al 7’ mostrata all’inizio di quest’articolo, dove prima Barella e poi Mkhitaryan recuperano due palloni nel giro di pochi secondi e in zone molto profonde di campo. In quel periodo di partita, più o meno nei primi 20 minuti, l’Inter ha spinto molto sull’aggressività, per dare un chiaro segnale delle sue intenzioni e inclinare da subito l’inerzia del match a proprio favore. Venti minuti in cui l’Inter ha tentato 11 contrasti contro i 3 del Benfica, intercettato 4 passaggi (di cui 3 nella metà campo offensiva) e vinto 4 duelli aerei contro 0.
In quei minuti Mkhitaryan e Barella hanno posto le basi della loro eccellente prestazione individuale. Le due mezzali hanno coperto una quantità enorme di campo, e guidato la riaggressione dell’Inter ogni volta che il pallone veniva perso nella metà campo offensiva. Quando il Benfica costruiva da dietro si occupavano di controllare i due interni di centrocampo portoghesi, ed erano pronti ad allargarsi per chiudere i terzini contro la linea laterale se questi fossero entrati in possesso. L’armeno in particolare ha giocato un primo tempo di grande applicazione difensiva, prima del calo fisiologico del secondo tempo. Ha chiuso la partita con 3 contrasti vinti su 4 (meglio di lui solo Gosens), e 3 intercetti (meglio solo Darmian).
Contro un Benfica che ci aveva impressionato per l’intensità con cui soffoca l’avversario, non ci aspettavamo che l’Inter avrebbe potuto addirittura superare quella intensità. Siamo abituati a vedere le squadre italiane languire nei ritmi lenti del nostro campionato, e poi faticare nelle partite europee soprattutto per la maggiore aggressività del pressing degli avversari. Questa stagione europea non sta smettendo di stupirci: dopo la qualificazione di sei squadre italiane ai quarti delle coppe europee (qualcosa che non accadeva dal 1999) abbiamo visto l’Inter vincere una partita molto difficile, contro un avversario che ha finito per sembrare meno forte di quello che è realmente. Il merito è dell’Inter e di Simone Inzaghi, che hanno saputo, con una buona dose di sadismo (e anche di audacia), surfare sulle peculiarità del gioco del Benfica e rigirargliele contro.
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