È diventato difficile battere la Lazio negli scontri diretti
Contro la Juventus un'altra vittoria prestigiosa dei biancocelesti.
Prima della partita Massimiliano Allegri aveva detto che «Non vorrei che venisse fuori una partita come Aglianese-Sangiovannese, un bello 0-0 senza un tiro in porta», ricordando l’ormai leggendario primo incontro con Maurizio Sarri avvenuto in Serie C2 nel 2003. Quella di Allegri era una battuta, ma al suo interno conteneva la fondata ipotesi che Lazio-Juventus potesse essere una partita bloccata, con poche occasioni da gol. Una partita molto tattica, tra due squadre allenate da due tecnici che inseguono la solidità difensiva prima di ogni cosa.
Anche se nella percezione collettiva è associato al calcio di possesso spumeggiante, Sarri ha fondato i successi della sua carriera su una fase difensiva efficace e meticolosa. La sua Lazio di quest’anno non fa eccezione, anzi, ha raggiunto un livello di solidità difensiva ulteriore: i biancocelesti hanno la migliore difesa della Serie A e il maggior numero di partite senza subire gol, 17, al pari proprio con la Juventus. Non solo: Ivan Provedel arrivava alla sfida con la Juve con alle spalle una striscia di 6 clean sheet consecutivi, e mantenendo la porta inviolata per un’altra partita avrebbe raggiunto il record storico del club in Serie A, i 7 clean sheet consecutivi stabiliti da Marchegiani nel 1997-98. Insomma, con queste premesse era davvero possibile che Lazio-Juventus diventasse un manifesto della priorità della difesa sopra tutto il resto, e la realtà della partita non è andata molto lontano da questo scenario, dal momento che il contesto tattico dei novanta minuti è stato definito da come le due squadre hanno deciso di difendersi.
Luis Alberto chiave tattica del match
Per quanto Sarri prima della partita avesse detto che si aspettava che i giocatori bianconeri “verranno a prenderci altissimi”, la Juve ha mantenuto invece un atteggiamento estremamente reattivo senza il pallone. Il 3-5-1-1 bianconero in fase di non possesso si trasformava in un 4-4-2 dalle linee strette e compatte, il cui obiettivo era negare la profondità ad Immobile e le ricezioni tra le linee a Milinkovic-Savic, e orientare in questo modo il possesso della Lazio verso le fasce.
Probabilmente, la scelta di Allegri di distorcere il suo schieramento iniziale in un 4-4-2 derivava dalla volontà di limitare la superiorità numerica degli esterni laziali sulle fasce: tenendo una difesa a 5, infatti, gli esterni Cuadrado e Kostic si sarebbero trovati in inferiorità contro le coppie di fascia della Lazio (rispettivamente Hysaj-Zaccagni e Marusic-Felipe Anderson). Fin dai primi minuti, però, è stato evidente come la Lazio riuscisse ugualmente a trarre vantaggio da questa situazione grazie alla posizione di Luis Alberto che, staccandosi dalla marcatura per venire a ricevere davanti al centrocampo bianconero, creava sulla fascia sinistra un triangolo con Hysaj e Zaccagni che metteva in inferiorità il duo Fagioli-Cuadrado. Il primo tiro della partita, al 4’, nasce da una situazione di questo tipo e a scoccarlo è proprio Luis Alberto: la posizione alta di Hysaj tiene bloccato Cuadrado, Fagioli è preso in mezzo da Zaccagni e Luis Alberto, e lo spagnolo approfittando di un vuoto nella marcatura calcia un tiro da fuori area che finisce centrale tra le braccia di Szczesny.
Non è una novità che Luis Alberto si abbassi per prendersi il pallone dai difensori e fare da primo regista, eppure conoscendo bene i pericoli che lo spagnolo è capace di creare da questa situazione la Juventus non ha fatto niente per limitarlo. Anzi, se possibile ha persino alimentato questa tendenza della Lazio a creare un lato forte a sinistra. Nel 4-4-2 senza palla della Juventus i due attaccanti si occupavano a turno di schermare le ricezioni di Cataldi, il mediano, ma in questo modo favorivano il coinvolgimento di Luis Alberto, contro cui invece non hanno usato le stesse misure protettive. Una scelta strana, considerando che lo spagnolo è molto più pericoloso di Cataldi col pallone tra i piedi e con abbastanza tempo e spazio per guardare il campo davanti a sé. A dimostrazione del coinvolgimento dello spagnolo nello sviluppo del gioco, a fine partita Luis Alberto è stato il giocatore della Lazio con più tocchi e più passaggi chiave (3), e con una percentuale di passaggi riusciti dell’89,4%, inferiore solo a quella di Hysaj e di Casale.
Come al solito, la Juventus ha scelto la sua strategia cercando di annullare i contenuti tattici del match per portarlo sul piano dei duelli individuali, ma si è scontrata con la realtà di una Lazio che ha finito per sovrastarla proprio su questo aspetto, vincendo la partita grazie all’estro dei suoi interpreti. Tutti i migliori giocatori della Lazio hanno giocato una partita eccellente sul piano delle individualità. A partire da Luis Alberto, che quando poteva scrutare il gioco col pallone tra i piedi e la testa alta emanava un’aura di maestà come un comandante a cavallo, fino a Zaccagni e Milinkovic-Savic, gli autori dei due gol della Lazio. È questo un altro tema della partita: a dispetto di una narrazione comune che vede Sarri come un allenatore nerd della tattica e degli schemi – contrapposto proprio ad Allegri, sostenitore invece della superiorità dell’individuo sul sistema – il tecnico biancoceleste ha dimostrato di essere meno dogmatico di quanto si dice costruendo una Lazio ibrida e camaleontica, meno proattiva nei principi di gioco rispetto alle sue squadre precedenti, ma più capace di svoltare le partite con la qualità individuale dei singoli. Una Lazio che vive anche di folate estemporanee, e che forse per questa capacità di ricavare tanto dal poco è diventata una squadra specialista degli scontri diretti. Quelle partite, cioè, dove notoriamente regna l’equilibrio, e dove la capacità di inclinare a proprio favore un singolo episodio può fare la differenza nel risultato finale.
L’importanza di SMS e Zaccagni
Milinkovic-Savic con la sua sola presenza è stato un fattore determinante per far accadere eventi favorevoli alla Lazio. Con la sua fisicità, la sua tecnica potente, la sua intelligenza nei movimenti senza palla. Con il lato forte della Lazio ben piantato a sinistra, e con le ricezioni tra le linee negate dalle linee strette della Juve, Milinkovic ha agito meno del solito da rifinitore (0 passaggi chiave per lui) e più da attaccante ombra sul lato debole. Partendo dalla posizione di mezzala destra attaccava l’area senza palla per sfruttare il mismatch fisico contro Alex Sandro – compensando il movimento dell'esterno destro Felipe Anderson, che invece di attaccare la porta si accentrava spesso per aumentare la densità in zona palla – in attesa che i registi dall’altro lato del campo gli recapitassero il pallone buono. Al 12’ Milinkovic penetra in area centralmente, palla al piede, dopo aver scambiato nel cuore della trequarti con Luis Alberto, e solo un provvidenziale intervento di Bremer gli impedisce di calciare a tu per tu con Szczesny. Ma il pallone ideale che corona la serie di tagli di Milinkovic è quello che gli arriva al 38’, e ancora una volta nasce dal sovraccarico sulla fascia sinistra: Zaccagni riceve largo vicino al fallo laterale, si accentra puntando Cuadrado e Fagioli, quindi sterza sul destro per aprirsi lo spazio per il cross. Sul secondo palo, la superiorità fisica e tecnica di SMS su Alex Sandro è umiliante: il brasiliano rimbalza da solo contro il corpo del serbo e va a terra, Milinkovic controlla il cross di petto indisturbato e segna di piattone mancino.
È vero che la strategia della Juve era di sbarrare il centro e spingere la Lazio verso la fascia, ma questa strategia è stata poco fruttuosa contro un avversario come Zaccagni, uno dei pochi giocatori del campionato italiano (e probabilmente l’unico di nazionalità italiana) in grado di puntare l’uomo davanti a sé e creare superiorità col dribbling. Zaccagni è stato una spina costante nel fianco destro della Juventus e ha sopraffatto Cuadrado nei duelli individuali. Per il colombiano si è capito che sarebbe stata una partita difficile già al 22esimo secondo di partita, quando Zaccagni gli è scappato alle spalle e Cuadrado lo ha steso con un calcione. Al 51’, forse frustrato per non essere mai riuscito a contenerlo, Cuadrado si è preso l’ammonizione facendo fallo su Zaccagni mentre quello era fermo e spalle alla porta, con la palla bloccata sotto la suola vicino alla linea laterale.
Nessuno ha tentato più dribbling di Zaccagni (8) dei giocatori in campo. Di Zaccagni si è parlato recentemente a proposito della sua esclusione dalla Nazionale, e in effetti diventa ogni partita più strano che l’unico esterno offensivo davvero creativo a disposizione dell'Italia non sia ancora diventato il fulcro del gioco della squadra di Mancini. Dopo un avvio lento nella Lazio di Sarri lo scorso anno, Zaccagni oggi si è perfettamente ambientato ed è forse il giocatore più influente dei biancocelesti. Per il modo in cui fa progredire il gioco, in cui elude la pressione con sterzate e strappi repentini, in cui addensa avversari attorno a sé, crea vantaggi a catena con la minaccia della sua entropia. Zaccagni è il giocatore che subisce più falli in Serie A (3.66 ogni 90’, dato Fbref). La sua presenza elettrica sembrava incompatibile con la disciplina tattica del gioco di Sarri, ma col tempo le due posizioni apparentemente inconciliabili si sono fuse contaminandosi a vicenda. È anche grazie all’estro di Zaccagni se la Lazio è oggi più verticale, più imprevedibile. Più capace di svoltare le partite bloccate con le invenzioni estemporanee dei singoli.
Con tre grandi giocate dei singoli la Lazio ha segnato anche il gol decisivo del 2-1, al 53’. Va detto che il gol è figlio del contesto tattico di inizio secondo tempo, quando i bianconeri hanno alzato il baricentro del pressing e cominciato a rompere più facilmente le linee per portare pressione sul portatore. Una strategia che per la Juventus si è rivelata un boomerang: in mancanza di meccanismi di pressione ben coordinati le distanze tra i giocatori si sono sfilacciate, e così sulla transizione che porta al gol nessuno tra Fagioli e Di Maria segue Zaccagni all’indietro. Ad ogni modo, il gol di Zaccagni non sarebbe stato possibile senza tre grandi giocate individuali: Felipe Anderson che disorienta Alex Sandro con un dribbling, Luis Alberto che libera Zaccagni con un tacco dentro l'area, Zaccagni che tira a pelo d’erba sul palo lontano.
Il calcio complicato della Juve
La Juventus, va detto, è stata in partita per tutti i 90’, e anzi ha addirittura vinto il confronto degli xG – 1.88 a 1.22 secondo Sofascore, anche se a dirla tutta ben 1.25 xG la Juve li ha prodotti in un’unica occasione, quella al 42’ in cui Rabiot ha trovato il pareggio, dopo un’azione confusa in cui prima Bremer e poi due volte Rabiot hanno tirato consecutivamente da distanza ravvicinata. La Juve è stata la solita Juve: quella squadra che in ogni situazione di gioco sembra lanciare i dadi per aria e sperare che la sorte gli dica bene; una squadra animata da uno spirito gnostico, che pare aver firmato un patto col diavolo che gli permette di vincere le partite senza sforzarsi di produrre alcun tipo di controllo razionale sul gioco. Se la Lazio sta vivendo una nuova primavera grazie all’inedita capacità di capitalizzare i singoli eventi delle partite, la Juventus è maestra suprema in quest'arte. Tra le due squadre c'è però una differenza sostanziale di approccio: mentre nella Lazio è ben visibile una struttura razionale di fondo, un’intelaiatura tattica che sorregge e coordina il talento individuale, nella Juventus – specie nelle sue giornate più grigie – sembra non esserci alcun disegno. Nessuna rete di protezione che indirizzi e valorizzi il talento dei singoli.
La strategia che la Juventus aveva per costruire l’azione era estremamente esile, scheletrica. Lo schieramento della Juventus in fase di possesso era un 3-6-1 con un rombo centrale in cui Locatelli e Di Maria erano il vertice basso e quello alto, e le due mezzali i due vertici laterali. In prima costruzione la palla girava tra i tre difensori centrali finché uno dei braccetti non trovava il varco per un passaggio lungo (preferibilmente basso) verso Vlahovic, Di Maria o una delle due mezzali schierate dietro il centrocampo avversario. L’unico centrocampista posizionato vicino ai difensori, Locatelli, era schermato da Immobile e di fatto tagliato fuori dalla costruzione. Ma la Juventus probabilmente lo aveva previsto e non gli importava: si capisce dal fatto che Locatelli non ha mai provato a muoversi per uscire dal cono d’ombra di Immobile, né una mezzala si è mai abbassata accanto a lui per aiutare l’uscita. Se la Juventus avesse voluto costruire davvero dal basso, probabilmente sarebbe bastato ruotare il rombo di centrocampo in un quadrato, e costruire da dietro con una struttura 3+2. Alla Juventus questa possibilità non interessava: tutto ciò che voleva era imbeccare un giocatore avanzato con un passaggio lungo, e portare più centrocampisti possibile dietro il centrocampo avversario in modo da avere molti uomini pronti ad attaccare l’eventuale seconda palla. Anche quelle volte in cui Alex Sandro si allargava sulla fascia, l'obiettivo restava quello di attirare Milinkovic sull’esterno (le due mezzali della Lazio, Luis Alberto e Milinkovic, uscivano sui braccetti della Juve, rispettivamente su Gatti e Alex Sandro) per aprire un varco al centro per la verticalizzazione.
La strategia ha funzionato solo poche volte. Un po’ per il pessimo stato di forma di Vlahovic, che non è mai riuscito a lavorare un pallone spalle alla porta e a far salire la squadra, un po’ perché era un piano oggettivamente difficile. Controllare palla spalle alla porta, lontano dall'area, con un avversario attaccato alle spalle, e poi eseguire una giocata che non sia ripassarla all’indietro: un compito che per una punta è pesante quanto trascinarsi la croce per la via crucis del venerdì santo e che sta logorando Vlahovic, autore sabato dell’ennesima partita inconsistente – chiusa con 2 tiri di cui 0 in porta.
Alla fine le occasioni migliori la Juventus le ha create da situazioni estemporanee, come il calcio d’angolo al 42’ in cui ha prodotto due terzi dei suoi xG totali (era la seconda azione da tiro del primo tempo), o come alcuni guizzi preziosi di Di Maria nel secondo tempo, quando l’argentino si è spostato sulla fascia destra e ha potuto giocare qualche pallone in più che non fosse spalle alla porta. Qualche altra occasione per pareggiare la Juventus ce l’ha avuta nell’ultimo quarto d’ora, quando presa dalla foga di recuperare lo svantaggio ha sciolto le briglie che la tengono sempre contratta e ha attaccato con più audacia. Hanno aiutato anche l’ingresso di Danilo per Cuadrado che ha aumentato la qualità tecnica in costruzione, e quello di Chiesa per Kostic sull’esterno sinistro, dopo il quale la Juve è passata al 4-3-3. Il forcing finale dei bianconeri, in fondo, non ha fatto altro che aumentare i loro rimpianti; ha mostrato una volta di più che con un approccio più coraggioso e un piano offensivo più aderente alle qualità dei giocatori la Juventus avrebbe potenzialità enormi.
Supportata da una struttura tattica più razionale, invece, la squadra con più talento in campo è finita per sembrare la Lazio. Quella con le migliori individualità, la migliore capacità di prevalere nei duelli individuali. La squadra più dotata, in sostanza, delle caratteristiche tipiche delle grandi squadre, quelle brave a vincere gli scontri diretti. E in effetti dopo le vittorie contro Inter, Fiorentina, Atalanta e Napoli, dopo il 4-0 al Milan e i due derby vinti con la Roma, quest'anno tra le squadre in corsa per la Champions nessuna sa vincere gli scontri diretti meglio della Lazio.
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