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, 5 Aprile 2023
6 minuti

Storie di calcio popolare a Milano: l'esempio del Partizan Bonola


Jacopo ci ha spiegato come si unisce il calcio all'attivismo per il quartiere.

Questo è il secondo episodio di un ciclo di articoli-interviste dedicati alle esperienze di calcio popolare a Milano. Nell'episodio precedente avevamo parlato dell'Ardita Giambellino, una squadra legata a un Collettivo di lotta per la casa. Se ve lo siete perso, potete recuperarlo qui.

Un bel pomeriggio domenicale e di inizio primavera. Il tempo è quello perfetto per inforcare la Vespa dopo un lauto banchetto. Direzione San Siro, ma non lo stadio – ci passerò solo vicino, sotto la sua grande ombra – ma verso Via Fleming 13, non troppo distante. Lì c'è un centro sportivo affiliato con la Triestina Calcio che ospita le gare casalinghe del Partizan Bonola. Il quartiere a cui la squadra fa riferimento, Bonola appunto, non si trova lì, ma un po' più a Nord, a una decina di minuti di motorino, ma la carenza cronica di spazi pubblici idonei fa sì che i ragazzi e le ragazze del Partizan giochino là, in via Fleming.

Varco il cancello d'ingresso e trovo ad accogliermi un'atmosfera festosa: bimbi che scorrazzano da tutte le parti, le medaglie al collo di una qualche competizione appena finita, e le mamme che li inseguono apprensive, pronte a gratificare i loro successi sportivi con patatine e bibite gassate. Alcuni passanti della zona si fermano per dare un'occhiata, magari di passaggio prima di andarsi a vedere l'Inter. Incontro Jacopo che mi porta verso la tribuna a bordo campo dove ci sono gli aficionados del Partizan: tutti ragazzi e ragazze di quartiere che, alla domanda "per che squadra tifate?", rispondono "Partizan", e poi ci tengono a specificare "solo Partizan". La risposta è convincente, vera e sincera. E lo si nota per tutti i novanta minuti.

Cori, fumogeni, striscioni, birra e tantissimo entusiasmo. Le urla del mister e dei giocatori, nonostante in queste categorie generalmente si riescano a sentire con chiarezza, sono completamente coperte dall'incessante tambureggiare dei cori dei BRB, i Bravi Ragazzi Bonola. Ragazzi che vengono dal quartiere, anche se non tutti ci sono nati. Jacopo mi racconta che alcuni di loro ci si sono trasferiti da grandi, quando non trovando alloggi a prezzi decenti a Milano centro hanno deciso di venire a vivere a Bonola. Lì si sarebbero presto accorti che supportare la squadra del Partizan, dopotutto, era un altro modo di interagire e di integrarsi col quartiere. Un'azione a suo modo "politica", nel senso più bello del termine.

Jacopo, da quale idea nasce il Partizan? Qual è il modello, se ce n'è stato uno, che avete seguito per creare questa squadra?
Il Partizan nasce dalla necessità di molte persone del quartiere di rafforzare la comunità, di riconoscersi e aggregarsi, per creare spazi di socialità nella zona senza dover scappare via per forza. Abbiamo scelto il calcio come collante, in quanto lingua universale, capace di connettere le persone al di là delle differenze individuali. Praticando calcio sia maschile che femminile e organizzando una tifoseria abbiamo reso quindi possibile la partecipazione per chiunque. I nostri modelli di riferimento sono chiaramente quelli delle società di calcio popolare, italiane e straniere, in particolare quelle che sono riuscite a raggiungere una certa stabilità con una programmazione di lungo periodo. Sapendo che non ci si inventa mai niente cerchiamo sempre di prendere spunto da altre realtà per migliorarci. Senza dimenticarci però l’unicità di ogni contesto, e mettendo al centro le necessità del nostro territorio e del nostro progetto.

La BRB - la curva del Partizan, cosa mi puoi dire di loro?
Con l’iscrizione del Partizan al campionato Uisp, a settembre 2018, è stato creato il gruppo dei Bravi Ragazzi Bonola. Inizialmente era composto da ragazzi nati e cresciuti nel quartiere, ma poi a poco a poco si sono aggiunti ragazzi di altre zone. Questi ragazzi, dopo anni di tifo nell’ambiente hockeistico di Milano, hanno deciso di creare il proprio gruppo e di sostenere incondizionatamente la squadra della loro zona. Ci seguono in casa e in trasferta, alzano bandiere, fumogeni. Col tamburo e i cori durante le partite creano davvero un'atmosfera calorosa ed entusiasta intorno alla squadra.

I tifosi del Partizan durante una partita.

Il quartiere Gallaratese-Milano Ovest spesso è percepito solo come un complesso di palazzoni, un "quartiere dormitorio". Quanto c'è di vero in queste definizioni? Quali sono le criticità e i pregi della zona?
Il Gallaratese è un quartiere enorme, di circa 80’000 abitanti. Ha tantissimo verde e poco altro. Abbiamo il centro commerciale, spazi per le associazioni, centri aggregativi per anziani, i palazzoni e la metropolitana per fuggire dal quartiere. Mancano completamente punti di aggregazione giovanile, non abbiamo nemmeno un pub dove andare a bere la sera. Nei weekend d’estate i parchi della zona si riempiono di persone provenienti da tutta la città ma la loro presenza è fugace e non dà mai luogo a veri momenti di aggregazione. Il quartiere era stato progettato per vivere le strade, ma le trasformazioni urbane successive alla fondazione non hanno proseguito queste idee, anzi: tra recinzioni e chiusura delle attività commerciali il territorio è sempre più vuoto. Il quartiere però ha una natura popolare, e questo ha fatto in modo che i suoi abitanti, in particolare i più giovani, si dessero degli strumenti per creare aggregazione. Il Partizan nasce nel solco di questa storia, ma a differenza dei progetti dei nostri predecessori rimasti soltanto abbozzati noi non abbiamo intenzione di smettere di provarci, di cercare di diventare un punto di riferimento sempre più coinvolgente per il quartiere.

Qual è il vostro rapporto con la città di Milano? Cosa significa vivere e giocare calcio popolare, sia maschile che femminile, a Milano, visto che questa città sta divenendo sempre più esclusiva, con tutte le accezioni negative che ha questo termine?
Milano è una città sempre più escludente, governata da logiche di profitto e con pochissimi spazi per l’aggregazione spontanea. In quest’ottica il nostro progetto trova poca attenzione mediatica e poco sostegno pubblico, mentre per chi ci entra in contatto diventa l’opportunità per vivere uno spicchio di città diverso dalla narrazione prevalente. Ricordiamoci sempre che Milano è una città abitata in prevalenza da gente che lavora e vive del proprio lavoro, che non riesce ad accedere (o non vuole) alle luci della città-vetrina e che viene completamente rimossa dalla narrazione mainstream. Per questo motivo il Partizan è diventato uno strumento per molte persone per viversi una città diversa, a misura di abitante.

Il calcio popolare quanto impatta nella socialità di zona? Possiamo definire il vostro impegno come politico in senso stretto?
Uno dei nostri vanti è quello di aver creato finalmente qualcosa da fare in zona: giocare, tifare, partecipare alle attività associative. Se prima non avevamo nulla da fare, ora esiste la possibilità di rimanere in quartiere, di stare con gli amici, di sentirsi parte di una comunità. È questa la nostra più grande azione politica, mettere le persone al centro del nostro progetto, non come clienti ma come attori protagonisti delle loro vite. Per questo motivo l’ingresso alle nostre partite è sempre gratuito e nelle trasferte garantiamo a chiunque la possibilità di partecipare al di là della capacità economica individuale. La capacità di immaginarsi un futuro diverso e di aprire possibilità di azione è l’altro cardine della nostra azione: non ci accontentiamo dell’esistente ma puntiamo a migliorare il nostro futuro. Siamo una società completamente autofinanziata, senza un proprietario o figure in grado di influenzare individualmente le scelte collettive. Non tratteniamo i giovani facendoci forza della proprietà del cartellino, non approcciamo il calcio come business o come un tritacarne in cui buttare dentro i ragazzi: il calcio è passione e su questa base costruiamo la nostra realtà. Da questo punto di vista rappresentiamo un’alternativa radicale al calcio dilettantistico lombardo, e ci piace pensare di poter fare da apripista per un futuro in cui atleti e tifosi sono il fulcro del movimento calcistico.

I tifosi del Partizan durante una partita.

Che progetti perseguite al di fuori del prato verde?
Il calcio è un grande mezzo di aggregazione e il motore della nostra passione, ma le attività del Partizan si sviluppano sul quartiere e abbracciano tantissimi aspetti della vita sociale. A partire dall’epidemia di Covid abbiamo iniziato – e non abbiamo mai smesso – a prenderci cura dei nuclei più fragili del distribuendo loro pacchi alimentari, in collaborazione con associazioni del quartiere, fondazioni e enti pubblici. In più abbiamo realizzato alcuni murales che raccontassero la storia del quartiere e delle persone che lo animano, perché oltre che un quartiere vivo vogliamo un quartiere più bello. Ogni Natale invece c'è la cerimonia dell'albero: realizziamo un albero in legno, che viene agghindato dalla popolazione del quartiere e che raccoglie sempre una grande partecipazione. Durante tutto l'anno organizziamo iniziative aggregative e sociali come feste, pranzi, cene, aperitivi. Tutte occasioni utili a rinforzare le relazioni interpersonali e il tessuto sociale.

Quale orizzonte vedete possibile per il Partizan? Nell'immaginare il futuro vi mantenete cauti e pragmatici, come vorrebbe la tradizione meneghina, o inseguite sogni e ambizioni grandi?
Direi che ci troviamo a metà tra i due approcci: non abbiamo intenzione di stravolgere il nostro status, vogliamo consolidarci come un’alternativa reale e credibile rispetto al sistema calcio milanese. Per farlo è importante non snaturarci: dobbiamo crescere ma tenendo sempre salda la barra dei nostri valori. Quindi siamo un po' pragmatici, ma al contempo continuiamo a sognare sempre il massimo per il Partizan.


  • Impuro, bordellatore insaziabile, beffeggiatore, crapulone, lesto de lengua e di spada, facile al gozzoviglio. Fuggo la verità e inseguo il vizio. Ma anche difensore centrale.

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