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Jannik Sinner
, 5 Aprile 2023

Sinner ha perso, viva Sinner


Nel 2023 il tennista italiano è uno dei migliori al mondo.

A Miami in cima alla torta di Jannik Sinner è mancata la ciliegina e noi adesso non riusciamo a vedere altro – è il primo dei paradossi che ci tocca affrontare: l’occhio si fissa su ciò che non c’è rischiando di perdersi ciò che c’è – oltre al trionfo di Daniil Medvedev, ma dobbiamo fare uno sforzo per andare oltre. La sconfitta ha fatto male: vedere Sinner semivuoto e nauseato, in piedi eppure semi-svenuto. Lui ci ha provato con il poco che aveva, perdendo meritatamente in due set. È sempre meglio vincere, ma se proprio va male bisogna portarsi a casa qualcosa. Ai microfoni post-partita Sinner – non è la prima volta – parla di se stesso come di un computer, sottolinea la quantità di dati e informazioni acquisite attraverso l’esperienza del dolore e vola con la mente al prossimo episodio, al prossimo piano partita, alla prossima sfida.

Dall’esterno la partita rimane di difficile lettura perché troppo condizionata dal suo serbatoio vuoto ma questo sarà materia di riflessione per il suo team: è vero che ha tenuto un livello altissimo per i due 1000 concatenati (Indian Wells - Miami), però evidentemente il suo gioco è ancora troppo dispendioso. Il risultato della finale, un netto 7-5 6-3, ci cambia lo stato d’animo ma l’analisi del momento di Sinner non può mutare e autorizza ottimismo e fiducia.

Come hanno subito osservato gli impallinati di statistiche, è il primo italiano a raggiungere in carriera due volte l’atto conclusivo di un torneo di questo livello: caso? Fortuna? Exploit estemporaneo tipo la semifinale di Cecchinato al Roland Garros? Di solito non amiamo le risposte facili e univoche ma in questo caso è inevitabile sbilanciarsi: Sinner era esattamente dove doveva essere, nessuna congiunzione astrale, nessuno scherzo del destino. Queste finali sono esattamente ciò che gli spetta e ciò che si attende da lui, i picchi positivi di un percorso che li prevede e li aspetta, li punta e li cerca.

L’anno scorso, dopo i quarti persi agli Australian Open contro Tsitsipas (senza storia), Sinner prende una decisione drastica che sorprende tutti: saluta senza troppe cerimonie il suo storico coach Riccardo Piatti - quasi un padre putativo - e lo sostituisce con Simone Vagnozzi a cui in seguito si aggiungerà Darren Cahill. Valanga di critiche, non una novità per uno che "non parla nemmeno italiano, che ha la residenza a Montecarlo, che rinuncia alle olimpiadi, che è sempre rotto", che bla bla bla. Sinner tira dritto, anche perché forse la sua scelta non era poi così umorale ma mirata alla ricerca di un salto di qualità nel medio lungo periodo. Il 2022 è stato da molti additato come deludente ma questo è più che altro un effetto collaterale del successo del movimento che si è conquistato un pubblico diverso, più ampio ma anche più incline a giudizi rapidi e superficiali.

In effetti qualche problema c’è stato: il continuo singhiozzo di guai fisici e acciacchi ha reso la stagione frammentaria e per certi versi tormentata, influendo sui risultati e sulla continuità, come se il top della forma fosse stato sfiorato di continuo ma mai goduto fino in fondo. Sì, ok, ma di cosa stiamo parlando? Davvero serve ricordare che la maggior parte dei top cento questi traguardi se li sogna in una carriera? Forse sì. In realtà il 2022 di Sinner è stato straordinario, e il fatto che non sia considerato tale ci deve far riflettere su quanto sia ormai eccezionale il suo status. Ha superato la prima settimana in tutti gli Slam, solo a Parigi ha perso agli ottavi – ritirato per un problema al ginocchio sinistro contro Rublev, dopo aver dominato il primo set – e, se la sconfitta di Melbourne con Tsitsipas è stata brutta e senza storia, lo stesso non si può dire per gli altri due Major.

Parliamo di Wimbledon: l’erba finora stranamente indigesta si fa dolce all’improvviso. Il battesimo di Wawrinka al primo turno porta bene, seguono Ymer e Isner, regolato con una facilità e un’applicazione disarmanti, per giungere agli ottavi con Alcaraz, decisamente da underdog. Lì Jannik total white regala un pomeriggio di grande tennis e mette in chiaro che il ruolo della vittima predestinata gli sta stretto, anche contro un mostro in progress come Alcaraz. Il sogno della semifinale si infrange solo contro Djokovic, che sottopone Sinner al più spietato dei suoi trattamenti: si fa prendere a pallate per due set, poi ti entra dentro e ti strappa il cuore o qualcosa di simile, anche un po’ meno splatter. Ma forse il vertice dell’amarezza con orgoglio si raggiunge agli Us Open, dove la sfida con il solito amico spagnolo nei quarti di finale si spegne male al quinto set, con tanto di matchpoint sprecato nel quarto parziale. Alla fine resta tra le dita un solo trofeo (il 250 estivo di Umago, ancora contro Alcaraz) e un finale di stagione che sfuma tra problemi fisici proprio nel momento dell’amato cemento indoor. È proprio questa l’incognita che accompagna l’off season, nonché il fattore che tiene Jannik ai margini della top ten, con relativa influenza sui tabelloni.

Insomma dal 2023 si attendono molte risposte per capire a che punto siamo, posto che non è mai facile comprendere uno sport così frenetico e al tempo stesso spirituale. Un frullatore che ti sbatacchia qua e là fra mondi e superfici diverse, un torneo dopo l’altro con un solo vincitore e cento sconfitti. Una giostra che richiede doti quasi uniche anche solo per immaginare di starci sopra.

Ebbene Sinner in questi tre mesi ha fatto vedere più o meno cosa possiamo aspettarci quando sta bene, quando riesce ad applicarsi con costanza, trovando il proprio ritmo e la propria velocità di crociera. La sua durezza mentale, già visibile dalle avare inquadrature dei Challenger che calcava ancora meno che minorenne, è cresciuta con l’esperienza, la convinzione e la consapevolezza. Ora abbiamo un giocatore navigato, quasi un giovane veterano in grado di ascoltare le vibrazioni delle partite e persino dei tornei con la saggezza di un nativo americano sulle tracce dei bisonti. Abbiamo un ragazzino che non si lascia abbattere dalle delusioni ma le assorbe e le trasforma; che non si monta la testa nel successo – con i sette tornei Atp vinti è già il terzo italiano di sempre in coabitazione con Berrettini dietro a Panatta (dieci titoli) e Fognini (nove) – ma guarda sempre oltre e più in alto; che lavora con pazienza certosina sui difetti e sui dettagli, consapevole che a quel livello ogni centimetro guadagnato costa una fatica e una costanza improbe. Tutto ciò, nel caso occorresse ricordarlo, quando l’anagrafe segna 21 anni e mezzo circa.

Per limitarci al più vistoso degli snodi tecnici, possiamo guardare al servizio – fondamentale a lungo discusso e oscillante, spesso additato come difetto o punto debole, e che in effetti è forse l'aspetto del gioco più fecondo di miglioramenti per Sinner. Adesso il servizio di Sinner è efficace, in grado di portare punti veloci o almeno quella posizione di vantaggio negli scambi che poi Jannik è in grado di far fruttare con pazienza. La freddezza di Sinner, poi, rende il suo servizio un valido appiglio nei momenti di difficoltà, per salvarsi da palle break o per superare game delicati. La seconda invece è ancora troppo aggredibile, specialmente contro avversari quotati e scaltri.

In realtà sappiamo bene che la vera qualità di Sinner sta nella risposta, ma la via per capitalizzare questa dote rara passa anche per una tenuta più serena nei game di servizio. Tutto questo, così come il corposo lavoro muscolare che ha portato in dote qualche chilo in più – e i relativi acciacchi di adattamento – e il tentativo di interiorizzare un gioco più vario e imprevedibile, non solo permette a Sinner di giocarsela alla pari con i migliori, ma anche di rendere più agevole il cammino fino agli atti finali, aspetto altrettanto fondamentale. Insomma, se becchi il Rublev di turno nei quarti di uno Slam e puoi asfaltarlo senza fare e cazzotti per diciotto ore tanto meglio, i cazzotti te li tieni per la semifinale.

In ogni caso questo scorcio di 2023 ha portato già il trofeo di Montpellier con vittoria sul venerabile maestro del serve and volley Maxime Cressy. Una bella vittoria che non guasta mai, che si aggiunge agli ottavi degli AO in cui la distanza da Tsitsipas è apparsa molto più breve (sconfitta al quinto e pronta rivincita a Rotterdam), alla finale olandese e alla recente ottima figura al Sunshine Double.

Proprio da questo doppio impegno statunitense ricaviamo le impressioni migliori sotto la ciliegina fantasma: essere lì in semifinale back to back non è apparso un evento ma quasi una norma, perché i primi turni sono stati gestiti con una maturità disarmante e perché la gestione delle energie è stata buona, al netto del tracollo con Medvedev. Questa costanza di rendimento non è affatto scontata, basti vedere gli incidenti di percorso che via via capitano alle varie teste di serie.

C’è un parallelo interessante e fecondo tra quest’anno e il 2021, iniziati in modo troppo simile per non notarlo: un titolo 250 in tasca, tante belle figure e la finale di Miami (Indian Wells era stato spostato a ottobre per motivi di Covid). Allora Sinner ci era giunto con una lotta perpetua e continua, dimostrando di poter perdere da chiunque, anche un Bedene qualsiasi, ma al tempo stesso urlando al mondo la propria voglia di vincere. Il 250 aveva visto battaglie sudate con Kachanov e perfino Travaglia, gli AO la sconfitta al quinto con Shapo, Miami un altro braccio di ferro con Karen, uno spettacolo di arte varia con Bulblik (che alla stretta di mano ha commentato: "you’re not human, man") e una rimonta matta e disperatissima con Bautista Agut prima della sconfitta con Hurkacz. C’era aria d’impresa, c’era sentore di eroismo, ma dall’altro lato c'era una fatica improba e reiterata. 

La differenza fondamentale, tra questa stagione e le precedenti, è stata la facilità con cui Jannik Sinner ha raggiunto la finale a Miami per la seconda volta – un traguardo a sua volta impreziosito dalla semifinale a Indian Wells e dagli ottavi agli Australian Open. Il momento epico e sofferto è stato confinato alle semifinali con Alcaraz, ma le altre partite sono state vinte da padrone, con autorità e punte di sadismo. D’altra parte la cattiveria agonistica non gli è mai mancata – e trapela dallo sguardo truce che in alcuni momenti attraversa la sua imperturbabile poker face – ma quel suo tennis di pressione continua, un gioco a spaccare le palline, lo esponeva a maratone estenuanti con chi alla lunga riusciva a leggere e reggere il suo ritmo. Ora no, le cose sono cambiate. Le armi fondamentali sono le stesse, ma usate con un dosaggio diverso che mira all’imprevedibilità. Gli ottavi con Rublev sono l’emblema di questa utilissima evoluzione.

Fra le note liete è doveroso inserire la piega presa dalla rivalità con Alcaraz. Una sfida che ci accompagnerà negli anni a venire e che verosimilmente salirà ancora di intensità, proprio come è già accaduto in passato ad altre zuffe epiche. Nell’ultimo anno, e più ancora nell’ultima settimana, Sinner ci ha mostrato che il gap con Alcaraz è minimo, e si colma di volta in volta – da un lato o dall’altro – a seconda delle circostanze particolari, quelle sottili variazioni che rinnovano l’unicità e la meraviglia di un evento ricorrente.

La semifinale di Miami, in particolare, ha offerto grandi spunti positivi. Sinner ha ribaltato il destino del match e ha gettato sementi per il futuro, regalandoci oltretutto un singolo punto da non dimenticare, una locandina perfetta per lo spettacolo della loro rivalità. Siamo nel pieno del primo set e infuria la battaglia; Jannik sullo 0-15 lotta per tenere il break di vantaggio. Si comincia con un servizio di Sinner centrale, quasi al corpo, che Alcaraz si leva di dosso con un rovescio diagonale dall’angolazione insidiosa. Sinner non si scompone e prova a imbastire un braccio di ferro su quel lato. Lo spagnolo è impaziente e gira subito lungolinea spostando Jannik a destra per poi ferirlo con una palla corta sul lato opposto. Tutto questo non è perfetto, anzi ha un che di acerbo, impaziente e quasi ingenuo nella voglia di esplorare il campo e sfoderare l'intero campionario dei colpi a disposizione. Sinner si avventa come un falco sulla smorzata di Alcaraz e gliela spara con il rovescio sul lato opposto. Quello si piega come un giunco e ribatte in mezzo al campo mentre Sinner recupera in arretramento; c’è un attimo di apparente sospensione in cui Jannik sembra rifiatare appoggiandosi al proprio rovescio ipnotico. In realtà è la manovra che precede la zampata: un’accelerazione da sinistra a destra spalanca il campo per lasciare spazio a quel suo bimane lungolinea delizioso e ormai familiare… Finita?

Il punto del match, il punto del torneo

Neanche per sogno: Alcaraz, in modalità pantera, risponde in allungo, si apre in una sorta di spaccata, posa le natiche sul terreno e in un attimo è di nuovo in piedi, pronto a orchestrare un contrattacco malefico con il dritto che pizzica la linea di fondo. Jannik ci arriva a stento, staccando la mano dal rovescio, e butta di là una palla semicasuale che atterra nei pressi della rete. Alcaraz ci arriva in corsa, ribatte e si piazza lì pronto per colpire al volo. Sinner organizza il passante diagonale, trafigge il tuffo dello spagnolo e può finalmente esultare. Non è tanto la lunga complessità del punto a lasciare senza fiato, quanto il semplice fatto che sia finito: sì, perché la sensazione è che quel balzo alla Boris Becker avrebbe potuto aprire nuovi orizzonti e prolungare il quindici ancora a lungo, prodigio dopo prodigio. Non c’è un singolo colpo da sottolineare, c’è più che altro un insieme, una dichiarazione d’intenti, c’è il manifesto di una corrente tennistica che non distingue attacco e difesa ma li fonde in un continuo e selvatico testacoda – a prescindere dalle differenze fra i due: più completo, strappato e creativo lo spagnolo, più lineare l'italiano. Per la fredda cronaca, il set l'ha poi vinto Alcaraz, prima di subire la rimonta di cuore e nervi di Jannik.

Per un paradosso comprovato dai fatti, Sinner è oggi più vicino al futuro dominatore del tennis che ad altri inferiori a lui – può battere Alcaraz ma perde sempre da Medvedev – ma grazie a questa competizione non è escluso che possa salire ulteriormente di livello e procurarsi nuove occasioni di trionfo. Il rispetto e la sinergia tra i due sono già alti per una storia ancora da scrivere, e questa precoce consapevolezza è una delle tante eredità fedaliane: il tuo avversario più grande è uno specchio del tuo valore.

È impossibile prevedere quando Sinner riuscirà a centrare un bersaglio che conta, ci vorrà pazienza, ci vorrà fortuna, ma è lecito aspettarselo, ora più che mai da un tennista che oltretutto sa adattare il proprio gioco a ogni superficie. Nel frattempo, bisogna imparare a godersi ogni momento, l’attesa di una finale e sì, perfino le sconfitte, perché sono quelle a indicare la strada verso le vittorie, anzi in un certo senso, se le guardiamo in controluce, le contengono già. A nostro modo, quindi, abbiamo trovato giusto celebrare questo secondo posto quasi come un vero trofeo.


  • Nicola Balossi Restelli, annata 1979, vive a Milano con una moglie e tre figli e si divide tra scrittura e giardinaggio. La sua insana passione per lo sport ha radici pallonare e rossonere, anche se la relazione più profonda e duratura è stata quella con la palla a spicchi, vissuta sui parquet (si fa per dire) delle minors milanesi dagli otto ai quarant’anni, quando ha appeso le scarpe al chiodo. Gravemente malato anche di tennis e di Roger Federer, ne scrive talvolta su https://rftennisblog.com/.

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