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Romelu Lukaku con la maglia dell'Inter.
, 4 Aprile 2023

Lukaku non è più il giocatore che ricordavamo


Il ritorno all'Inter non ha risolto i suoi problemi.

Ormai la scena è nota a tutti. Al 49' la difesa della Fiorentina prova a salire dopo aver respinto il calcio d'angolo di Brozovic, la pressione di Gosens affretta l'uscita di Ikoné e l'Inter recupera agilmente il pallone. In ballo ci sono punti importanti per la corsa Champions e il risultato è ancora di zero a zero. L'Inter prova a riattaccare nella sua comfort zone, attraverso le combinazioni laterali a sinistra. Stavolta è Correa ad allargarsi e lasciare libero lo spazio sul centro-sinistra, dove si inserisce Bastoni; quello, appena lasciato scorrere il pallone sul mancino, crossa rasoterra a occhi chiusi. Romelu Lukaku si staglia tra le marcature dei difensori della Fiorentina e attacca l'area piccola con un ottimo tempismo.

È da ieri sera che i nostri feed di Twitter, Instagram e Youtube vedono riprodotti con inquietante ripetitività video o semplici screen del tocco sbilenco con cui Lukaku ha mancato il gol dell'1-0. Un tiro sbagliato che si presta bene al racconto del Lukaku che vediamo da inizio stagione: un attaccante dal corpo così ipertrofico da diventare goffo, i cui movimenti si sono svuotati di agilità.

E se invece di provare a colpirla col sinistro, Lukaku fosse rimasto fermo, lasciandosi colpire dal cross di Bastoni? Come sarebbe andata a finire? In fondo già nella partita di qualificazione a Euro 2024 contro la Svezia, in cui ha segnato una tripletta, il secondo gol di Lukaku era arrivato con un tap-in in cui era stato il pallone a sbattere su di lui. Perché ha sentito l'esigenza di chiudere così tanto il tiro? Poteva andarci anche di destro, se proprio non si fosse sentito sicuro della parte restante del proprio corpo.

Non è stato l'unico momento grottesco della partita di Lukaku. Prendiamo la ripartenza sprecata dall'Inter al 27' del primo tempo. È il momento in cui intorno alla figura di Romelu Lukaku tornano a svelarsi le ombre della partita contro la Croazia al Mondiale, dove sotto porta ha sbagliato di tutto. L'Inter riparte due contro uno ma alla fine il passaggio di Dumfries è leggermente arretrato e costringe Lukaku a sterzare sul destro. La prima finta porta con sé l'eco consumata del prime di Lukaku. Nonostante l'idea eccezionale, e il fatto che sia riuscito a mettere a sedere contemporaneamente Castrovilli e Martinez Quarta, il belga non trova lo spazio per tirare.

Quando il suo corpo deve collassare a destra per calciare col piede debole, Lukaku perde una frazione di secondo ed è costretto a un altro dribbling. Il secondo tocco è così sgraziato che lo porta a correre spalle alla porta, quasi a scontrarsi con Barella, l'unico che in quel caos inestricabile riesce a calciare in porta.

Quest'estate Lukaku era tornato all'Inter dopo un anno difficile al Chelsea. Con il suo acquisto, reso ufficiale poco meno di un mese dopo lo scudetto perso a Bologna, le cose sembravano aver ritrovato il loro ordine spirituale e tecnico. Nei due anni passati con Conte, Lukaku era diventato il vero leader della squadra, un attaccante-fulcro a cui quell'Inter – che aveva bisogno delle sue corse per percorrere il campo in verticale – si aggrappava nei momenti difficili. È bene ricordare che nel nostro campionato il talento di Lukaku aveva assunto i contorni dell'ineluttabilità. Nessun difensore riusciva a reggere il suo impatto fisico, la sua atipica genialità nel creare soluzioni anche negli spazi stretti era diventata immarcabile. Lukaku come una specie di Thanos umano, pronto a far collassare difese intere con un'energia gioviale.

Eppure qualcosa è andato storto. Se gli highlights non raccontano mai realmente un calciatore – e quindi i video in cui quello sbaglia gol facili diventa una sottile forma di violenza, una valutazione astratta rispetto a ciò che vediamo in campo – non possiamo non parlare delle difficoltà di Lukaku, che sono innanzitutto fisiche. Gli infortuni alla coscia e al bicipite femorale hanno rovinato la sua stagione e finora Lukaku non ha mai trovato continuità. Dopo la sconfitta contro la Fiorentina, il suo allenatore, Simone Inzaghi, ha detto di averlo trovato bene dopo la sosta e che, senza gli errori, "staremmo parlando di un Romelu eccezionale". È una visione sguaiatamente ottimista, però, che non tiene conto del cambiamento di Lukaku.

Se nei due anni in cui ha divorato la Serie A la caratteristica che ci stupiva di più di lui era la creatività, quell'ostinazione nel tentare dribbling rischiosi in zone claustrofobiche del campo, adesso tutte queste cose sono solo ricordi.

Come prova potremmo prendere quasi tutti i gol segnati da Lukaku in quel periodo. Per rendere più chiaro il concetto di come Lukaku non fosse solo un numero nove, ho scelto non un gol, ma un assist: quello ad Alexis Sanchez in un Parma-Inter della stagione dello scudetto. Insomma, è anche per rendere il discorso più profondo rispetto ai gol sbagliati a porta vuota, che sono più un effetto che una causa dello scarso rendimento di Lukaku.

Non soffermiamoci sulla potenza di Lukaku, un fatto auto-evidente, ma sulla sua grazia. Sulla conduzione aggressiva ma fine del pallone, e della capacità di illudere i difensori con un doppio passo utile per creare un corridoio che prima non esisteva e far filtrare il pallone per il piatto di Sanchez. Un corpo gargantuesco eppure leggero, modellato dal lavoro del preparatore atletico Antonio Pintus – oggi al Real Madrid con Ancelotti – e da una naturale attitudine al sacrificio da parte di Lukaku.

«Segneremo molti gol quest'anno, è per questo che sono qui» aveva detto il giorno del ritorno all'Inter. «L'hai promesso, eh?» gli aveva risposto ironicamente Steven Zhang. Eravamo talmente presi dalla nostalgia collettiva per un attaccante indomabile, capace di segnare 47 gol nei primi due anni di Serie A, che non ci eravamo accorti di quanto le cose fossero cambiate intorno a Lukaku. Il fallimento al Chelsea era dovuto solo a un cattivo rapporto con Tuchel, a un cattivo adattamento dell'allenatore tedesco alle caratteristiche dell'attaccante? Era lecito aspettarsi qualche difficoltà nel ritorno in Premier League, pur sempre il campionato più intenso ed equilibrato al mondo, ma i problemi di Lukaku sono stati traumatici.

Un breve momento di serenità è arrivato quest'anno dopo il gol al Porto, nell'andata degli ottavi di Champions League. Il tap-in di Lukaku è stato decisivo per la vittoria dell'Inter – e infine lo è stato anche per il passaggio del turno. «Guarda che petto. Minchia, come sono in forma» aveva scherzato Lukaku nel fuori onda a Sky. Eppure è proprio su quel petto gonfissimo, epitome di un corpo ingigantito forse più di quanto era abituato in passato, che sembrano poggiarsi le insicurezze che oggi corredano il gioco di Romelu Lukaku. Invece di chiamare la palla in profondità per attaccare lo spazio, o tentare quelle conduzioni elettriche che lo facevano assomigliare a uno shuttle che sbatteva contro uomini a piedi, oggi la sua varietà tecnica si è impoverita.

È assurdo parlare del rapporto di Lukaku con il proprio fisico, lui che in questi anni lo ha sempre curato ossessivamente. Più volte ha citato Cristiano Ronaldo come esempio, anche se teneva a rimarcare la propria unicità: «Voglio che incontrandomi si possa pensare: ecco, questo è Lukaku». Da quando ha lasciato l'Inter nel 2021, il corpo di Lukaku è cambiato e non possiamo ancora dire che lo abbia fatto in meglio. Le sterzate che precedono il passaggio per Sanchez, o la dura corsa che porta al gol nel derby, non sembrano appartenere al repertorio del Lukaku che abbiamo ritrovato all'Inter.

Già dalle prime partite con la maglia del Chelsea, ad agosto 2021, avevamo visto Lukaku inspessito come mai in carriera. Era diventato un attaccante d'area, un cambiamento apparso naturale per allungare la carriera: l'attaccante generoso e atletico che si trasforma in un nove statico e rapace. Da questo punto di vista la doppietta segnata all'Arsenal – in cui aveva passeggiato brutalmente sui corpi dei difensori gunners – poteva essere vista come l'inizio di questo passaggio "evolutivo". Invece quello era il massimo risultato possibile. Il corpo di Romelu Lukaku ha perso una frazione di secondo nella reattività, la leggerezza che lo accompagnava nelle conduzioni adesso si traduce in una legnosità che lo fa apparire ulteriormente sgraziato nel rapporto col pallone.

Anche in questa situazione la perdita di agilità si traduce in un errore tecnico.

Oggi per la maggior parte del tempo Lukaku staziona sulla difesa avversaria con le spalle rivolte alla porta. Viene in contro per legare il gioco, pulisce un po' di palloni, ma appena deve fare leva sul fisico per partire in velocità o creare superiorità numerica riemergono i problemi. È come se per Lukaku la gravità della Terra fosse aumentata, i suoi passi non sono più leggeri e dominanti, ma pieni di forza-peso. Quest'anno ha segnato 2 gol su rigore. Non segna su azione, il colpo di testa grazie al quale l'Inter ha vinto a Lecce, dalla prima giornata: era il 13 agosto.

Proprio perché dobbiamo abituarci a una nuova versione di Romelu Lukaku va detto che la partita contro la Fiorentina non è stata neanche così male. All'Inter Lukaku si è riappropriato della centralità nella manovra – secondo i dati di Sofascore ha effettuato 37 tocchi e completato il 69% dei passaggi – e ha chiuso con un tiro verso lo specchio e due passaggi chiave. Non è un caso se anche secondo Fbref quest'anno Lukaku è tra i migliori attaccanti in Serie A per expected assists: 0.21 ogni 90'. Se non può più spostare il mondo con la forza e la velocità, Lukaku si sta accontentando di una versione svuotata di sé, volta più al sacrificio per l'altro attaccante del 3-5-2 che al protagonismo a cui ci ha abituati.

Tra l'altro non è la prima volta che sbaglia gol clamorosi. Era successo, dicevamo, anche nell'ultima partita del girone al Mondiale in Qatar. La partita contro la Croazia alla fine è costata al Belgio l'eliminazione. Anche in quel caso Lukaku, appena rientrato da un infortunio grave – «avevo la sensazione che le cose non stessero andando bene» ha raccontato – si era attirato tutte le responsabilità del fallimento della golden generation del Belgio. Lukaku aveva sbagliato gol di testa, di piede, di petto, in scivolata. L'aura funerea con la quale aveva distrutto la panchina dopo il triplice fischio era rassegnata e al tempo stesso distruttiva. Com'era potuto capitare proprio a lui? Un attaccante grande e grosso che ha sempre voluto indossare la maglia numero 10. Un giocatore raffinato, che ha nutrito un rapporto speciale col pallone fin dagli inizi della sua carriera.

Allo stesso tempo non possiamo ridurci a parlare dei gol sbagliati. Non possiamo omettere che quello che vediamo giocare oggi è un Lukaku minato della sua parte più schiacciante, un'agilità che non sappiamo se potrà recuperare in futuro. Ecco che il gol al Porto o anche solo una prestazione "sporca" offensivamente sono forse troppo poco per difendere un'altra stagione fallimentare, ma andrebbero comunque valutate in un contesto più ampio. Lukaku non è il giocatore che ci ricordavamo. Ma rimane un attaccante incisivo, che anche in un periodo di calo fisico e mentale può svoltare uno scontro diretto o un turno di Champions League. Un calciatore dallo status comunque superiore rispetto al modo in cui in Italia si parla di lui e delle sue prestazioni.

Da quando è rientrato dall'infortunio all'adduttore gioca con una strana urgenza. A maggio compirà 30 anni, forse anche lui ha capito che si trova nell'anticamera della fase finale della carriera. Quando va bene, questa urgenza di cui parlavamo si trasforma nella tripletta alla Svezia, con la maglia del Belgio. Tre gol essenziali, da rapace d'area, con i quali Lukaku è diventato l'attaccante più prolifico nella storia della nazionale. Qual è quindi la verità? Lukaku può tornare uno dei migliori attaccanti al mondo o quelle che vediamo sono le ultime briciole del suo talento?

Non tutti i calciatori hanno un arco continuo nell'evoluzione calcistica. Forse, nel caso di Lukaku siamo davvero arrivati a un punto di rottura. Come se fosse intrappolato in un corpo troppo muscoloso, troppo pesante per l'uso che lui vorrebbe farne in campo. O, forse, dobbiamo solo conservare il ricordo di quel Lukaku distruttore e fantasista insieme, concentrandoci sul nuovo giocatore che sta diventando. Sulle nuove prospettive, cioè, che potrà raggiungere anche senza l'uso preminente del corpo per distruggere le difese. Magari ne scopriremo una versione ancora più raffinata.


  • Nato a Giugliano (NA) nel 2000. Appassionato di film, di tennis e delle cose più disparate. Scrive di calcio perché crede nella santità di Diego Maradona. Nel tempo libero studia per diventare ingegnere.

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