Il futuro è nelle mani di OKC
Indipendentemente dal finale di regular season NBA, gli Oklahoma City Thunder hanno già tracciato la propria strada.
Il mondo delle scommesse legato all’NBA sta assumendo sempre più importanza. Considerati i milioni in ballo, le previsioni di inizio anno fornite dalle agenzie di Las Vegas rivestono oramai un ruolo più autorevole della semplice spacconata tra amici al pub. Prima dell’inizio della regular season 2022/2023, i siti piazzavano l’over/under degli Oklahoma City Thunder a quota 23.5. Basandosi sulle ultime annate, i bookmakers hanno fissato una delle asticelle più basse per discriminare il positivo o il negativo con cui considerare i risultati di OKC al termine della stagione. Nessuno, tuttavia, avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che i Thunder potessero vantare un record attorno al .500 a poche gare dal termine, in piena corsa per un posto ai playoff.
Gli eroi sono tutti giovani e belli, cantava Guccini. Pazzi, aggiunge la banda di Mike Daigneault. Talenti generazionali, role player versatilissimi, giocatori di culto ripescati o creati dal nulla modellati tra le mani di Chip Engelland e del resto del coaching staff.
The SGA Quintet
Shai Gilgeous-Alexander è il lampo più accecante dei Tuoni del Midwest. Sul canadese c’erano dubbi, eccome. Legittimamente, in uscita dall’anno di college a Kentucky, si parlava di “qualche carenza a livello di realizzazione pura”. Si parlava di Shai come della point guard del futuro dei Clippers, inserito comunque in un contesto dove non era lui a essere chiamato a prendersi la scena in prima persona. Come ogni guardia che si rispetti passata tra le mani di coach Calipari, però, SGA ha iniziato a mostrare spunti di pallacanestro che aveva pressoché totalmente celato da universitario.
Da quando, tra l’anno da rookie e quello da sophomore, è stato inserito nel pacchetto che ha riportato Paul George vicino agli affetti più cari in California, la crescita della guardia canadese è stata clamorosa. L’anno scorso ha “costretto” lo staff medico a sconsigliare il suo impiego nel finale a causa di una fascite plantare di dubbia entità. Le malelingue suggeriscono che la longa manus del GM Sam Presti, preoccupato che i Thunder andassero troppo bene, gli abbia fatto terminare anzitempo la regular season 2021/22, permettendo a Oklahoma City di avere maggiori chance di ottenere quelli che poi si riveleranno Chet Holmgren, Ousmane Dieng e Jalen Williams. Dell’ulteriore salto compiuto in questa stagione si è già scritto molto, sia elogiando la sua estetica che l’efficacia nel trovare la soluzione più adatta al tiro.
Alcuni numeri, solo per dare qualche coordinata statistica in più a un’annata che non avrebbe bisogno di presentazioni: 31.3 punti, 4.8 rimbalzi, 5.4 assist e 1.7 rubate a partita, per gli amanti delle stats classiche; 14.0 tiri liberi su 100 possessi (il 62.3% di tutta OKC), realizzati nel 90.4% dei casi; 32.0 di USG% (percentuale di possessi offensivi che un giocatore “usa”, che “conclude” con un tiro, un assist o una palla persa, mentre è sul terreno di gioco), a testimoniare una squadra nelle sue mani a tutti gli effetti; 16.0 punti nel pitturato a partita, dietro solo ad atleti molto più grossi di lui (Zion, Giannis, AD, Jokic), oltre a 5.6 punti a referto derivanti da palle perse degli avversari, miglior dato della Lega. I numeri parlano chiaro, chiarissimo. Le immagini, però, ancor di più.
Leggere l’altezza e la separazione tra il marcatore diretto (Westbrook) e il difensore del bloccante in situazione di show (Plumlee). Spezzare il raddoppio con un unico palleggio rispetto ai canonici due. Controllo aggiuntivo con la mano mancina a protezione del primo aiuto dal lato debole (Leonard), affrettato quanto basta a non schiantarsi contro la rotazione del quarto uomo sotto canestro (Morris). Eurostep in accelerazione e cameriere in appoggio al vetro, col twist finale dato al pallone per fugare ogni dubbio all’eventuale stoppata in recupero proveniente dall’angolo (George). Il tutto in sei secondi scarsi. Tutto calcolato al millisecondo e al millimetro, anche se a un occhio disabituato potrebbe non sembrare elegante e armonico.
Con il canadese, tuttavia, non ha più senso parlare esclusivamente di scoring e self creation (red flag più grande per il suo sviluppo ulteriore sarà diluire ancor di più la dieta di tiri, rispondendo presente al battesimo che le difese ai playoff hanno già riservato a Ja Morant sul pick and roll centrale). Shai è un creatore a 360°, per sé e per i compagni. Un esempio?
Shai riceve il consegnato in punta da Jaylin Williams (sì, Jalen Williams e Jaylin Williams l’hanno ricreato il meme di Spiderman…). L’angolo di blocco non è dei migliori, e Craig ha la possibilità di passare sopra senza troppi problemi. Dort nell’angolo destro non preoccupa, data l’inconsistenza del tiro da 3 mostrata sinora in carriera. Booker sa già quello che Shai vuole fare. Ha una visuale completamente diversa rispetto al #2. Vede l’enorme zona di campo tra Biyombo, difensore del bloccante, Okogie e Chris Paul, posto sotto canestro. Il centro ha letto erroneamente le intenzioni di SGA, immaginando tentasse la penetrazione a sinistra. Shai fa un palleggio con la destra ed è consapevole che ha un solo modo per fare ciò che ha appena immaginato. Vede anche lui, adesso, con una porzione di campo prima coperta da 3 corpi e ora libera da compagni o avversari, quello che indicava Booker.
Per fare arrivare la palla a Giddey ha davanti a sé tre scelte. Le prime due porterebbero probabilmente a un turnover: se facesse un altro palleggio la tasca verrebbe chiusa dal recupero di Biyombo e dalle braccia di Paul; se optasse per un passaggio direttamente dal palleggio, battuto a terra o diretto al petto quale che sia, la linea di passaggio sarebbe ostruita. Bisogna curvarla. Come?
Il senso antiorario del polso, che darebbe una parabola a rientrare, sarebbe troppo visibile. L’unica alternativa è quella di dare uno spin orario alla sfera, dall’esterno verso l’interno, in modo da tagliare fuori l’anticipo del play avversario. Ecco a voi la realizzazione tecnica delle numerosissime decisioni prese nel tempo di un battito di ciglia. Questione di micrometri e millisecondi, appunto.
Quella del gioco di Gilgeous-Alexander non è una bellezza neoclassica. Il #2 emana vibes creole, un mix e una commistione di tempi e ritmi cestistici diversi. Rispetto al resto della partita sembra alieno nel senso proprio del termine: è un qualcosa di altro, che appare e scompare, che accelera improvvisamente e stoppa tutto come Adam Sandler in Cambia la tua vita con un click. Lo scarto ritmico, come un blues sincopato e ondulatorio che fluttua e si arresta senza preavviso, Shai lo ha dato alla sua carriera e al futuro prossimo dei suoi Thunder. Per la gioia e la sorpresa di tutti.
Da Melbourne con furore
La scalata nel mondo della pallacanestro di Josh Giddey è tipica di chi è nato e cresciuto fuori dagli States. Esperienza nel campionato locale - in questo caso la National Basketball League - e poi chiamata al draft - la sesta. In mezzo però c’è una galassia. La guardia ha rifiutato diversi college, tra cui Arizona, per continuare il suo sviluppo in patria seguendo il programma “Next Stars” che puntava proprio a far crescere talenti ‘NBA ready’, e così è stato. Il suo impatto su OKC non è certo da sottovalutare: dopo una stagione da rookie più che buona terminata con un posto nel secondo quintetto delle matricole, Giddey ha elevato il suo gioco.
Prima ancora di essere un cestista, la shooting guard dei Thunder è un cervello pensante e non smette mai di ricordarcelo. In questa seconda stagione in NBA ha lavorato tantissimo sulle sue fragilità e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nella sua rookie season il suo tiro da tre punti è stato estremamente ondivago ed ha chiuso con un tremendo 26.3% su 3.9 tentativi a partita. Sebbene non abbia ancora avuto tempo e modo di migliorare questo fondamentale sta prendendo meno tiri ma migliori (3.0 per partita) e anche le sue percentuali ringraziano (33%).
In generale le sue skill nel finishing sono migliorate parecchio: prende 2.1 tiri in più a partita con praticamente lo stesso minutaggio ma con una shot selection più intelligente. Infatti tutte le sue percentuali sono aumentate: la Field Goal Percentage è passata dal 41.9% al 48.6%; la effectiveFieldGoal Percentage è cresciuta dal 46.1% al 52.0%; la True Shooting ha avuto un’impennata dal 47.8% al 53.6%.
Uno degli aspetti migliori del suo gioco è sicuramente la creazione per i compagni e anche da questo punto di vista è migliorato. Sebbene il dato sugli assist sia leggermente in calo - ma ormai è ben chiaro a tutti che non dipenda unicamente da chi effettua il passaggio - ha aumentato l'USG% (da 22.2% a 24.4%) diminuendo drasticamente la Turnover percentage (da 19.5% a 15.8%) mostrando anche in questo contesto una lettura del gioco assolutamente non banale.
La domanda che forse sorgerà spontanea a questo punto è la seguente: dove può arrivare Giddey in questo contesto? Continuando i già notevoli miglioramenti mostrati anche in difesa potrebbe arrivare ad un livello decisamente alto. Sorge però un problema di fit proprio con Shai Gilgeous-Alexander. Entrambi non sono tiratori di livello e doverli tenere in campo insieme potrebbe essere un problema al piano di sopra. Nella prossima offseason Giddey deve scalare qualche marcia e compiere questo passetto che farebbe di OKC una squadra ancora più temibile. Lo stesso staff continua a professare calma e raziocinio nei giudizi, inquadrando il tutto nel lungo periodo. Vedremo se e quanto il nativo di Melbourne farà parte del processo Thunder.
Lockdown Dort
Luguentz Dort si è costruito una credibilità all’interno della Lega e ha finalmente trovato il suo posto nel mondo. Entrato in NBA senza essere scelto al draft ha dovuto guadagnarsi tutto ciò che ha partita dopo partita, diventando quel tipo di giocatore che non può assolutamente mancare ad una squadra che punta al titolo. A 24 anni appena compiuti il suo viaggio nel mondo del basket è stato già molto travagliato ma la sua tenuta mentale è la cartina tornasole di un giocatore che, nonostante alcuni limiti ormai acclarati, migliora se stesso ogni giorno. Lu Dort è una vera e propria spugna e guardando uno dei suoi primi match in NBA - ma anche qualche partita di Arizona State - si può notare tutta la differenza del mondo tra il giocatore che era e ciò che è diventato.
L’ala dei Thunder è un leader difensivo a tutto tondo. Innanzitutto perché è un difensore di livello altissimo come pochi altri nell’intera NBA. Lo è perché è il leader vocale della squadra nella propria metà campo e non è affatto banale quando condividi il campo con giocatori di un certo livello. Lo è perché è un ottimo difensore anche in aiuto ed ha delle letture che lo rendono il perno difensivo di OKC.
I limiti di cui scritto precedentemente sono tutti offensivi. Il tiro da tre non è del tutto malvagio ma resta abbastanza incostante ed il 33.9% su 5.6 tentativi a partita (in calo rispetto alle ultime due stagioni) è figlio di periodi più brillanti al tiro e stretch in cui il pallone gli entra veramente a fatica. Più in generale, quest’anno sta tirando con percentuali peggiori: 39.0% dal campo su 11.8 tentativi contro il 40.4% su 14.2 tiri della scorsa annata. La naturale conseguenza è un calo anche di eFG% (da 49.3% a 47.0%, male) e TS% (da 54.1% a 51.6%). Naturalmente Daigneault è consapevole che il lato dove Dort deve dominare è la difesa però per competere al piano di sopra deve dare sicuramente un’aggiustata alle sue percentuali.
Anche perché avere contemporaneamente in campo SGA, Giddey e Dort potrebbe essere un problema non secondario per lo spacing. L’ala ex Arizona State è uno dei giocatori che ha già disputato i playoff. Nel 2020 all’interno della bolla d’Orlando giocò una serie memorabile in difesa su James Harden, meno in attacco dove tirò veramente male tranne in gara 7 quando provocò più di qualche mancamento ai tifosi dei Rockets. Insomma, serve alzare il livello e ha dimostrato di saperlo fare, come per Giddey anche per lui lavorare sui fondamentali del tiro dal perimetro può fare tutta la differenza del mondo.
Un albatro prestato alla pallacanestro
E se il giocatore qui sotto fosse il secondo/terzo miglior giocatore in campo nei momenti decisivi di una serie playoff, quanto sarebbero felici i rivali di serata?
In sede di Draft, Jalen Williams era listato 6’5” con una wingspan di 7’2”. 198 cm di altezza, 218 cm di apertura alare lo rendono un prototipo atletico estremamente ricercato nell’NBA moderna, in cui non conta più l’altezza o la mera lunghezza ma la seconda in relazione alla prima. Sul prodotto di Santa Clara, tuttavia, permanevano un sacco di dubbi. Impiegato come playmaker di una squadra tutt’altro che irresistibile, molti non lo consideravano adatto al salto in NBA. Quanto sarebbe stato scalabile il suo skillset al massimo livello? In più, considerazione non secondaria in sede di Draft, JDub non aveva dalla sua l’età.
Tre anni al college sono ormai una rarità, soprattutto per una scelta 12 nel 2022. Williams, banalmente, è più vecchio di Giddey nonostante abbia un anno in meno di esperienza NBA. Ha due anni in più dell’altra scelta del 2022, Ousmane Dieng. Ha un anno in più di Holmgren. È coetaneo di Anthony Edwards e Lamelo Ball, ormai al terzo anno nella Lega. Eppure OKC ha dimostrato di vederci lungo, lunghissimo.
Nel secondo roster più giovane della storia NBA c’è spazio anche per un junior sino al momento sviluppato con ruoli e funzioni che nel campionato più competitivo del mondo non ricoprirà mai.
Più che i numeri, sempre da prendere con le pinze se si parla di giocatori al primo anno, soggetti ad alti e bassi fisiologici, e alla capacità di lettura palla in mano, a sorprendere di J-Dub è tutto il resto.
Tagliante finissimo e puntualissimo, abile a punire le distrazioni della difesa off ball; istinto per il rimbalzo offensivo, coadiuvato da mani e polpastrelli di dimensioni spropositate; una versatilità e un effort nella propria metà campo che lo hanno già reso prima opzione difensiva sulle ali avversarie e un pericolo costante nello switching e nelle rotazioni quando il quintetto avversario inizia la circolazione perimetrale; il giusto mix tra incoscienza e taglia fisica per finire al ferro quando e come vuole. In seguito a un mese di marzo notevole, non è un azzardo affermare che lui e il “nostro” Paolo Banchero siano gli unici due rookie a essere fattori integralmente positivi per la propria squadra. Non esattamente preventivato, per un prospetto di cui si sottolineava l’incostante tenuta mentale a Santa Clara.
L’impressionante sviluppo di Isaiah Joe
Un altro giocatore con alle spalle una carriera NBA non particolarmente facile è Isaiah Joe. Chiamato alla 49esima scelta al Draft del 2020 dai Philadelphia 76ers, ha visto veramente poco il campo nelle prime due stagioni e all’inizio della terza è stato tagliato. I Thunder hanno intravisto in lui un potenziale ancora inespresso e hanno deciso di fargli firmare un triennale a cifre molto basse: circa 2 milioni a stagione con il secondo anno non garantito e il terzo come team option. A distanza di cinque mesi possiamo già gridare alla steal.
Joe sta giocando 18.4 minuti a partita e sta tirando con il 42.2% dall’arco su 5.3 tentativi a partita, media pazzesca per il suo minutaggio, che infatti è confermata dal 61.5% di eFG% e dal 63.8% di TS%. La sua shot chart parla chiaro: tira quasi sempre dal perimetro. Non a caso la sua 3-Point Attempt Rate è del 79.7%: su 5 conclusioni di Joe, 4 avvengono da dietro l’arco. La sua capacità di leggere prima la maniera migliore per rendere lo scarico più agevole al compagno è eccezionale e così facendo si riesce a mettere in ritmo e prendere tiri migliori, come si vede nella clip.
Probabilmente questa è la sua dimensione ideale in NBA ma il prodotto di Arkansas si sta dimostrando un ottimo lavoratore, caratteristica che si sposa con il lavoro sempre splendido fatto dal developing staff di OKC. Molto difficile capire quale possa essere la sua dimensione al piano di sopra ma potrebbe essere un’arma in più per OKC. Giocare qualche set per liberarlo al tiro potrebbe garantire qualche punto veloce e dare riposo ad uno tra Giddey e Gilgeous-Alexander. Resta dunque una soluzione più che esplorabile all’interno di una squadra che sta costruendo tanti ‘piani B’ per arrivare al meglio ai momenti decisivi.
Coach Daigneault, ovvero la resilienza
Nulla di particolare. Un’azione come se ne vedono tante, specie nelle pause mentali difensive doverose nella maratona della regular season NBA. Qualcosa da dichiarare? Sì. Gli stessi 5 in maglia azzurra, in questa stessa stagione, hanno vestito un’altra canotta di colore blu. Anzi, Blue, come il nome della franchigia G League affiliata a OKC.
Un rapporto, quello tra i Thunder e i Blue, simbiotico ai limiti dell’osmosi. I Blue adempiono perfettamente al concetto di “Development roster” per il quale ogni squadra NBA ha preso possesso di una franchigia dell’allora D-League. Non solo a livello di giocatori: lo stesso coach di OKC è passato dalla G League. Mike Daigneault (agevoliamo la pronuncia: DAYG-nalt) non viene quasi mai menzionato, un po’ per l’imbarazzo e le difficoltà generate da un cognome del genere, un po’ perché è entrato in NBA dalla porta di servizio. Dopo anni come assistente al college, nel 2014 gli viene affidato il ruolo di head coach dei neonati Oklahoma City Blue.
5 anni dopo Daigneault ritorna alle origini: Billy Donovan, dopo le annate vincenti ai Florida Gators, richiama Mike al suo fianco, stavolta nel coaching staff dei Thunder. Dopo una stagione da assistant coach, l’inizio di regular season 2020/2021 suggerisce a Presti e al chairman di OKC Clayton Bennett che Daigneault sia la figura giusta per aprire un nuovo ciclo dopo la frustrante esperienza con l’attuale coach dei Bulls, conclusasi con gara7 contro i Rockets nella Bubble di Orlando.
Di quella serie, in maglia OKC, gli unici superstiti sono Shai e Lu. I due canadesi, seppur con gerarchie diverse rispetto a quelle attuali, sono a tutti gli effetti i veterani del gruppo. Nel giro di un biennio il roster dei Thunder è somigliato più a una centrifuga utilizzata dall’NBA per togliere le macchie e le chiazze dell’immenso talento grezzo in giro per la Lega. Date le contingenze (una squadra da perdere e perderemo, infortuni o presunti tali, amalgama e chimica impossibili da creare in tempi così ridotti), Daigneault non si è ancora mostrato come un filosofo, un allenatore di sistema, con una chiara fisionomia e struttura di gioco. La parola d’ordine in casa OKC è adattarsi: in relazione alla possibilità di dare un’opportunità di dare un ruolo al maggior numero di attori sul palcoscenico più illuminato, di fronte al pubblico più esigente, Mike sta facendo un lavoro enorme.
Non è detto che sarà lui a guidare OKC, ammesso che ci arrivino prima o poi, alla conquista dell’anello. La stessa dinastia Warriors, stando alle dichiarazioni di Kerr e Curry, ha posto le fondamenta e le prime pietre superficiali grazie agli anni di Mark Jackson sul pino della Oracle Arena. Per compiere l’ultimo gradino, ci si può aspettare che la dirigenza voglia affidarsi a qualche altra figura. Se il gruppo si dimostrerà vincente, però, grande merito dovrà essere riconosciuto al trentottenne di Leominster, Massachusetts. Non lo riceverà, ma per il premio di Coach of the Year il nome di Mike Daigneault deve entrare nella discussione. Anche dalla porta di servizio.
Domani è già qui
Immaginare quali possano essere gli sviluppi e le mutazioni a livello di roster è impresa assai ardua. Per uno small market come quello di Oklahoma City, le vie per migliorare la squadra non sono infinite. Una di queste, e il GM Presti lo ha già pienamente sfruttato, è quello di accumulare il maggior numero di scelte possibili al Draft. Banalmente, un giocatore da te selezionato non ha lo status né l’effettiva opportunità di rifiutare la tua chiamata: può far intuire, negli allenamenti e nelle interviste pre Draft, la preferenza per una destinazione o per un’altra, ma il coltello dalla parte del manico ce l’ha la squadra che opziona. Al momento OKC ha diritto a 6 scelte nel Draft 2023, 2 tra le prime 30 e 4 al secondo giro.
Ciò non significa che 6 volti nuovi arriveranno effettivamente nel Midwest, anzi: è molto più plausibile immaginare che alcune di esse verranno impacchettate per fare trade up (ottenere una scelta più alta in cambio di altre più basse) o all’interno di scambi per atleti già diventati professionisti. La crescita, per certi versi imprevista, della squadra ha leggermente cambiato la timeline di manovra dei Thunder. Difficile immaginare OKC disposta ancora a investire ancora su progettoni alla Dieng o alla Pokuševski; più semplice prevedere che si vada su profili più definiti e con caratteristiche già delineate.
Affidabilità al tiro da fuori, versatilità difensiva, capacità di creare un tiro dal palleggio a giochi rotti: essendo che Wembanyama non pare raggiungibile, aspettarsi che tutte queste skills siano padroneggiate da un unico giocatore. Abbozzare ora, con la regular season in corso e la Lottery ancora lontana, quali saranno i giovani inseriti a OKC nel prossimo anno è impossibile. Anche perché, giova ricordarlo, il tassello aggiuntivo più importante al mosaico Thunder è già nell’Oklahoma.
Troppo spesso ci si dimentica che lo scorso anno OKC aveva la seconda scelta assoluta che si è trasformata in un giocatore dal talento sconfinato come Chet Holmgren. Purtroppo un infortunio subito durante il torneo estivo di Jamal Crawford ‘The CrawsOver Pro-AM League” mentre era in marcatura su LeBron James gli ha impedito di mettere in mostra tutto l’arsenale che aveva convinto Sam Presti a sceglierlo alla #2. Non avere a disposizione uno dei sicuri candidati al Rookie Of The Year ha inevitabilmente minato le certezze della squadra ma questo ulteriore sviluppo non può che essere una scossa in vista della prossima stagione.
Holmgren garantirà quella dose in più di scoring di cui i Thunder necessitano più tutto il resto del pacchetto che, viste le premesse, sembra quanto mai interessante. Sarà però necessario evitare che gli infortuni scuotano così tanto la squadra quanto successo in questa Regular Season. Le noie che hanno accompagnato Shai hanno sicuramente danneggiato il record della squadra e anche Pokuševski, alle prese ancora con le conseguenze della frattura al piatto tibiale della gamba sinistra, è rimasto fuori per veramente tanto tempo impedendogli di fare quegli ulteriori passi in avanti che saranno necessari nel prossimo futuro.
Gli astri sembrano tutti essersi allineati nella giusta direzione in vista della prossima stagione e per OKC è arrivato il momento di mettere la quinta e iniziare a competere seriamente per un posto in paradiso. Le tante scelte accumulate per i prossimi draft, già ad iniziare da quello del 2023, possono trasformarsi in asset di estremo interesse per arrivare a quel giocatore o quei giocatori che possono permettere un ulteriore salto in avanti. Il grande lavoro svolto in questi anni deve essere portato a compimento ed inevitabilmente Presti sarà chiamato a compiere scelte molto difficili.
Sembra molto probabile che il GM sarà costretto a muovere alcune delle migliori creature partorite dal development staff dei Thunder per arrivare a delle pedine che possano essere più impattanti nell’immediato. Naturalmente provare a fare nomi in questo momento è impossibile. Ci sono troppe variabili in gioco: il draft - dove bisogna vedere come si muoverà la franchigia di Oklahoma, la free agency ed eventuali trade alimentano un velo di incertezza e curiosità che si sparge su un Paycom Center pieno di tifosi sempre più ansiosi di scoprire cosa possa diventare OKC da qui a tre anni.
Nel frattempo, però, c’è una stagione da finire. Arrivare direttamente ai playoff, entrarci tramite Play-In o guardare la post season dal divano di casa non cambierebbe la vita dei Thunder. Aumenterebbe di certo il grado di consapevolezza del core, individuando a livello soprattutto psicologico le lacune da colmare in fieri dall’interno. Per la narrativa e le percezione che gli altri hanno di OKC, d’altro canto, i Thunder sono a tutti gli effetti usciti vincitori dal 2022/2023. Un 4-0 o 4-1 al primo turno contro una contender dell’Ovest aggiungerebbe esperienza ma non credibilità. Quella, i Thunder, l’hanno già ottenuta. Lontano dai riflettori accecanti. Dalla porta di servizio.
A cura di Gianmarco Galli Angeli e Massimiliano Bogni
Ti potrebbe interessare
Dallo stesso autore
Newsletter
Iscriviti e la riceverai ogni sabato mattina direttamente alla tua email.