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- di Redazione Sportellate

Perché Mancini ha convocato Retegui


Da dove viene e come gioca l’ultima sorpresa delle convocazioni dell’Italia.


Articolo a cura di Alessandro Di Nardo

Nei discorsi sulla penuria di talenti del calcio italiano si fa un gran parlare di attaccanti. In una recente intervista al Messaggero, Roberto Mancini ne ha parlato con tomi semi-apocalittici, soprattutto vista l’emergenza in cui versa la Nazionale a una settimana dall’inizio delle qualificazioni al prossimo Europeo contro Inghilterra e Malta. «In attacco i problemi sono seri. Immobile è ko, Raspadori in forse. I nostri attaccanti centrali, quasi tutti, hanno giocato pochissimo negli ultimi mesi. Non ne abbiamo uno che sia un titolare, fatta eccezione per Gnonto, che può agire anche da punta centrale. Ma per il resto siamo messi male: pure Scamacca è reduce da un infortunio, Belotti gioca poco», ha detto il Commissario Tecnico. Insomma, oltre alla contingenza attuale degli infortuni, il problema sembra il solito: i pochi talenti che abbiamo giocano poco. Anche per questo Mancini ha consigliato in prima persona a Zaniolo di andare al Galatasaray: «Spero che giochi perché per noi è importante. Andare in Turchia era l’unica possibilità».

Per sopperire a questa difficile situazione, Mancini durante la sua gestione è proprio in attacco che ha sperimentato di più, convocando giocatori al di fuori dei radar del mainstream. Ha fatto esordire Zaniolo ancora prima che esordisse con la Roma, fatto debuttare Gnonto, Grifo, Pafundi. A quest’ultimo giro di convocazioni, per aggirare anche le assenze di Immobile e Raspadori, la sorpresa forse più grande della gestione di Mancini: la convocazione di Mateo Retegui, punta di nazionalità italo-argentina che gioca nel Club Atlético Tigre, e che naturalmente ha riacceso le polemiche sulle politiche di naturalizzazione degli oriundi.

Chi è Retegui

Mateo Retegui ha 23 anni, è nato a San Fernando, una città dell’area conurbata di Buenos Aires, ed è cresciuto dividendosi a metà tra il gioco del calcio e l’hockey su prato. Suo padre, Carlos José Retegui detto “El Chapa”, è un ex campione di hockey ma soprattutto ex allenatore della nazionale argentina campione olimpica a Rio 2016; la madre, Maria Grandoli – il collegamento di Retegui con l’Italia, ma ci arriviamo – ha invece vinto nel 1993 il mondiale giovanile nella stessa disciplina, mentre la sorella Micaela ha conquistato un argento olimpico a Tokyo. In casa Retegui la passione per il calcio è veicolata da quella per il River Plate: il padre Carlos ne è grande tifoso e così i primi passi nel mondo del calcio Mateo li muove nelle giovanili dei Millionarios.

Dai nove anni fino al 2014 El Chapita (così è chiamato Mateo in virtù del soprannome del padre) veste la gloriosa maglia del River con risultati però tutt’altro che sensazionali: nel 2014, dopo aver faticato diversi mesi a trovare un minutaggio adeguato per l’esplosione di Exequiel Palacios, decide di abbandonare il calcio per dedicarsi allo sport di famiglia. Retegui inizia a frequentare la nazionale giovanile di hockey e la strada scelta sembra prefigurare già una carriera sul solco di quella fatta dal padre. Nell’estate 2016 arriva però la sliding door: a Pinamar, località marittima molto frequentata dai cittadini bonaerensi, un incontro fortuito con lo scout del Boca Diego Mazzilli fa nascere un’opportunità. L’occhio di falco delle giovanili xeneizes riconosce il ragazzo, visionato qualche anno prima in un torneo giovanile, chiede a lui e al padre come sta andando la sua carriera e, stupito dalla notizia che Mateo ha appeso gli scarpini al chiodo da più di un anno, strappa al padre la promessa di un provino al Boca.

Bastano pochi minuti al centro sportivo di Ezeiza a Diego Chiche Soñora – uno delle figure cardine delle giovanili del Boca – per convincersi delle potenzialità di Mateo Retegui. È in quel momento che, non ancora diciassettenne e dopo due anni di inattività nel calcio, Retegui accantona la fede famigliare per il River e diventa un giocatore del Boca. In pochi mesi tutto nella sua vita subisce un’accelerazione improvvisa: Retegui inizia a frequentare quotidianamente il centro d’allenamento ed entra in contatto con l’allora allenatore della prima squadra, Guillermo Barros Schelotto, ma soprattutto col suo idolo Carlos Tevez, leggenda vivente del club e figura fondamentale nel suo cambio di ruolo. Arrivato come centrocampista metodista (volante direbbero in Argentina), al Boca si accorgono che le caratteristiche tecniche e fisiche di Retegui possono esaltarsi nel ruolo di prima punta e così El Chapita, che nel frattempo nell’ambiente bochense diventa el Tabano, il tafano, per il fastidio che provoca ai difensori nel “ronzarli” intorno ossessivamente, inizia a studiare da centravanti.

L’intuizione di promuoverlo a numero 9 ne acuisce le doti da lottatore e rivela anche un certo killer instict naturale. Nelle giovanili diventa una sentenza sotto porta e contestualmente ai buoni risultati calcistici abbandona l’hockey. «Non potevo più continuare entrambe le attività e giocando ad hockey c’era il serio rischio di infortunarmi» dirà qualche anno dopo.

Il 17 novembre 2018, a poco più di un anno dall’ingresso a Ezeiza, Retegui esordisce in prima squadra: all’88’ di un Boca Juniors-Patronato in cui gli xeneizes sono in vantaggio per 1-0, calca per la prima volta il prato della Bombonera prendendo il posto proprio di Carlos Tevez. Se la vita di Mateo Retegui fosse una serie tv, l’istante in cui le mani dell’Apache e quelle del Chapita si toccano sotto la lavagnetta luminosa del quarto uomo, sarebbe il momento giusto per sfumare le immagini e far terminare la prima stagione.

Farsi spazio, al Boca, non è per niente facile. Retegui è chiuso da Tevez, dal Pipa Benedetto, da un redivivo Mauro Zarate e da Cristian Pavon. Per trovare spazio, a gennaio 2019 viene girato in prestito all’Estudiantes e ad oggi, nonostante Retegui sia ancora di proprietà del Boca, quello scampolo di gara col Patronato rimane l’unica sua presenza con gli xeneizes. Anche a La Plata, con la maglia de Los Pincharratas, Retegui vive mesi da comparsa: il primo gol tra i professionisti arriva solo ad ottobre 2019 e lo segna a un altro Estudiantes, quello di San Luis, in un match valido per gli ottavi di finale di Copa Argentina. È il più classico dei colpi di testa da centravanti d’area, un’incornata aerea in torsione che fa già intravedere qualcosa che diventerà più chiara in seguito: la somiglianza dello stile del gioco aereo di Retegui con quello del connazionale Lautaro Martinez. Dopo un anno, nel gennaio 2020 Retegui conclude l’esperienza a La Plata con 29 presenze e 5 reti e l’impressione di aver bucato la prima opportunità fuori dal seminato del Boca. La seconda arriva al Talleres, dove in una stagione e mezzo colleziona una sessantina di presenze tra Primera Division e coppe e 7 gol.

Il primo gol tra i professionisti di Retegui, nel 2018.

L'esplosione al Tigre

Retegui si ritrova alla soglia dei 23 anni con solamente una dozzina di reti segnate e a gennaio 2022 sono pochi a credere ancora in lui. È in quel momento però che arriva il secondo turning point della carriera: mandato al Club Atlético de Tigre ancora con la formula del prestito, l’impatto con la nuova realtà è debordante. Retegui inizia a segnare con una continuità spaventosa già dall'inizio del nuovo campionato: segna un gol alla seconda giornata contro il Barracas Central e poi si ripete alla giornata successiva segnando due reti in un quarto d’ora in casa del “suo” Boca. Una doppietta alla Bombonera è il classico evento che attira i riflettori della stampa, ma da quel momento l’attenzione su Retegui non calerà più perché il centravanti del Tigre non smette di segnare. A fine campionato i suoi gol saranno 19 in 27 partite, abbastanza per vincere il titolo di capocannoniere.

Tutti i gol di Retegui nel campionato 2022

Nel giro di sei mesi Retegui è passato da essere uno scarto della cantera del Boca alle prime pagine dei giornali argentini, tanto che alcuni comincano a ipotizzarne anche la convocazione al Mondiale in Qatar. La trasformazione compiuta dall’attaccante – che veste la maglia numero 32 in onore di Carlos Tevez – è prima di tutto tecnica. Nell’ultimo anno Retegui ha levigato un controllo palla che nei suoi esordi in Primera era piuttosto primordiale, imparando finalmente a fraseggiare coi compagni d’attacco. Lo ha fatto da unica punta, nel 4-3-3 disegnato dal tecnico Diego Martinez: una squadra reattiva, muscolare e molto verticale che sulla stagione stratosferica del proprio centravanti ha costruito un percorso invidiabile con tanto di qualificazione in Copa Sudamericana.

I punti di forza e di debolezza di Retegui

Nel Tigre, Retegui interpreta al meglio il ruolo di punta moderna, un ibrido tra Tevez e Martin Palermo che si abbassa sulla trequarti per fungere da riferimento sui lanci lunghi, usando il suo metro e 86 per 82 chili per aiutare la squadra a risalire il campo: con 6 duelli aerei giocati per 90 minuti, Retegui è una delle punte che ne ha giocati di più nello scorso campionato (tutti i dati sono Whoscored). Nonostante abbia arricchito il suo set di movimenti, in Retegui rimane comunque preponderante la componente istintuale e selvaggia del cannoniere. Come retaggio della sua vita precedente, quella con la mazza da hockey, in Retegui è rimasto un desiderio ossessivo di concludere in porta da ogni posizione: nessuno l’anno scorso ha tentato più tiri di lui (3,9 ogni 90 minuti).

Con un solo anno da titolare alle spalle, Retegui ha un repertorio di tiro invidiabile: delle 19 reti segnate nel suo primo campionato col Tigre (escluse quelle su rigore, 6) 5 le ha realizzate di testa, 3 di destro e addirittura 5 col sinistro, il suo piede debole. Per spiegare che tipo di attaccante sia Retegui possiamo analizzarne tre. Il primo gol è quello segnato al Barracas Central alla seconda giornata, un colpo di testa unico per precisione e violenza del tiro. Retegui aggredisce un cross apparentemente innocuo dalla trequarti e, staccando a metà tra il dischetto e il limite dell’area di rigore – quindi anche abbastanza lontano dalla porta – sovrasta due difensori e un compagno, e gira con violenza in porta. Un gesto tecnico che, come la torsione nel primo gol da professionista contro l’Estudiantes San Luis, ricorda l’agilità e la violenza nel gioco aereo di Lautaro Martinez.

All’ottava giornata contro l’Estudiantes, un gol manifesto della reattività di Retegui e della sua abilità nell’occulta arte degli smarcamenti in area. Su un cross diagonale dalla trequarti sinistra, Retegui fa segno al compagno di servirlo sul secondo palo. L’indicazione di Retegui con un evidente cenno della mano destra distrae il marcatore, che è poco reattivo nel cambiare direzione alla sua corsa quando il cross parte basso e corto, indirizzato verso il primo palo. Retegui, al contrario, è reattivo a incrociare la corsa e tagliare alle spalle del difensore; va incontro al cross e lo devia con la punta dello scarpino sul secondo palo. Movimento e contro-movimento: un trucco vecchio quanto il gioco del calcio stesso con cui gli attaccanti riescono a entrare sotto pelle ai difensori per manipolarne la posizione. In questa situazione Retegui ne ha fatto un uso perfetto.

Il terzo gol che analizziamo è probabilmente il più bello segnato da Retegui nello scorso campionato, contro il Rosario Central. Un gol ricavato dal nulla, da una mezza palla in profondità di Ijel Protti. Retegui taglia alle spalle del difensore e riceve in posizione defilata a un paio di metri dal vertice destro dell’area. Retegui si porta avanti il pallone con un tocco, il marcatore che lo accompagna e gli scherma il movimento a rientrare verso la porta, poi con il secondo tocco Retegui si sposta improvvisamente il pallone col tacco verso l’interno – il marcatore scivola goffamente – con una giocata che in NBA definirebbero da “ankle-breaker”, e si ritaglia lo spazio per concludere in porta. La palla è sul mancino e le circostanze suggerirebbero un piazzato sul palo lontano, Retegui invece incrocia sul primo palo prendendo di sorpresa il portiere. In quella stessa partita, probabilmente la migliore per lui tra i professionisti, segna anche un altro gol e serve un assist ad Alexis Castro.

L’anomalia nel match sopra citato è rappresentata proprio dall’assist, solo uno degli unici due confezionati finora nelle cinquanta apparizioni con la maglia del Tigre. Retegui si associa infatti bene coi compagni fino ad un certo punto, o meglio fino ad una certa zona. Spalle alla porta può anche essere utile a cucire il gioco coi compagni, ma quando si gira verso la porta e deve contribuire in rifinitura emerge la sua visione di gioco limitata. Anche la sua precisione nei passaggi è migliorabile: il 72% di passaggi completati è al di sotto della media degli attaccanti del campionato. La scarsa visione di gioco è un limite non da poco per un attaccante che aspira a fare il grande salto in Europa, e soprattutto per un candidato a una maglia nella Nazionale di Mancini, che ha dimostrato di funzionare meglio con un attaccante di raccordo come Raspadori che con un animale da profondità come Immobile.

L’altro limite di Retegui, contestuale alla sua scarsa propensione per il gioco corale, è la selezione di tiro: anche in questo Retegui subisce forse l’influenza del suo passato da hockeysta, convinto che concludere da ogni posizione sia la scelta migliore. Nelle prime 7 partite della nuova stagione il centravanti del Tigre è ancora primo in Argentina per conclusioni tentate verso la porta, 25, ma al contempo non è neanche tra i primi 30 giocatori per percentuale di tiri nello specchio. El Chapita tira molto, ma sbaglia anche moltissimo soprattutto per la qualità delle conclusioni prese, confermando come dal punto di vista delle letture del gioco abbia ancora margini di miglioramento.

Il legame con l'Italia e la scelta di Mancini

Quello tra Retegui e l’Italia è un vincolo tutt’altro che stretto. La madre, Maria Grandoli, è figlia di Angelo Dimarco, emigrato da Canicattì all’Argentina a metà dello scorso secolo. La cittadinanza italiana del calciatore è dovuta al nonno materno, uno dei pochi legami che Retegui ha con l’Italia. L’altro, corrisponde ad un fugace e tutt’ora unico viaggio in Sardegna, quando nel 2005 il padre sul finire della carriera agonistica si è trasferito all’Hockey Team Sardegna, a Suelli. Risale quindi a quando Mateo aveva sei anni l’unica visita nel paese che, a partire dalla gara con l’Inghilterra del prossimo 23 marzo, dovrà rappresentare.

Un ulteriore ponte tra Retegui e l’Italia è Francesco Totti, che a inizio 2020 è diventato il manager del calciatore attraverso la sua società CT10 Management. Il rapporto si è interrotto a fine 2020 ma è probabile che anche dalla visibilità data dall’ex numero dieci giallorosso, il primo dalle nostre parti a mettergli gli occhi addosso e a parlarne pubblicamente, sia nata per la federazione italiana l’idea-Retegui.

«Ha delle qualità che in questo momento a noi purtroppo mancano. Pensavamo che non volesse venire, invece ha detto subito sì e quindi lo abbiamo convocato» ha detto recentemente Mancini a Dazn. L’operazione Retegui va considerata come una mission per rilanciare il brand del centravanti italiano, la risposta della Federazione al grido d’aiuto lanciato ripetutamente dal CT . Va da sé che la convocazione di Retegui  può costituire un precedente per un cambio da qui in avanti nel modus operandi della Federazione: siamo già da tempo entrati in una nuova era calcistica in cui si sta ridefinendo il concetto di “nazionale”, dove con i fenomeni migratori sempre più massicci la nazionalità è qualcosa di mutevole. Una situazione davanti a cui le Federazioni sono chiamate a tenere gli occhi aperti e sondare tutti i calciatori in possesso di pluri-nazionalità prima che possano essere “scippati” dalle federazioni concorrenti. Proprio l’Argentina, in questo, è un modello: l’AFA ha sempre tenuto un occhio vigile su centinaia di ragazzi sparsi per il mondo ed in potenza convocabili; una tendenza che si è accentuata con la gestione Lionel Scaloni, da quando cioè è diventato la norma convocare ragazzi semi-sconosciuti al solo scopo di “riservarseli” per la propria Nazionale: Alejandro Garnacho del Manchester United, Luka Romero della Lazio, Tiago Geralnik del Villarreal, Matías Soulé della Juventus.

Sull’investimento tecnico fatto dall’Italia convocando Retegui, rimane comunque qualche dubbio. Detto delle caratteristiche da punta moderna, della sua forza fisica e della sua spiccata propensione al calciare in porta, Retegui ha finora performato a un livello decisamente inferiore rispetto al contesto italiano e ha segnato finora solo una rete in campo internazionale (in Copa Sudamericana). Il timore che il salto dall’ Estadio José Dellagiovanna di Victoria in cui gioca il Tigre al Maradona di Napoli in cui si giocherà Italia-Inghilterra  possa essere troppo per il calciatore lo hanno in molti. Tra questi, Filippo Colasanto, agente di mercato e da sempre esperto delle dinamiche legate al calcio argentino, il quale ha espresso scetticismo sull’idea di affidare il futuro della Nazionale italiana sulle spalle del Chapita: «Se fossi Belotti o Pinamonti sarei veramente incazzato per questa scelta» ha affermato.

Un’altra chiave di lettura attraverso cui interpretare questa situazione potrebbe essere questa: la convocazione di Retegui è la dimostrazione che le porte della Nazionale di Mancini non sono chiuse ermeticamente ma anzi sono aperte a chiunque mostri uno stato di forma apprezzabile e più o meno durevole. Questo potrebbe incoraggiare tutti gli attaccanti italiani, anche semi sconosciuti ed estranei al giro azzurro, a dare il meglio e di ambire alla convocazione. Intanto, per il futuro, una cosa è certa: in termine di randomicità delle convocazioni sarà difficile superare quella di un promessa dell’hockey proveniente dalla periferia del calcio sudamericano.


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