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5 min

- di Gabriele Moretti

Come la FIBA ha ignorato gli abusi sessuali nel basket maliano


Recenti inchieste giornalistiche hanno svelato un sistema di coperture e insabbiamenti.


Nell’agosto 2021 a Debrecen, Ungheria, l’Under-19 femminile del Mali diventa la prima squadra africana di basket a raggiungere una semifinale mondiale. Poche settimane prima, la stessa nazionale era stata travolta da uno scandalo di abusi sessuali che coinvolgeva direttamente l’allenatore, Amadou Bamba, arrestato dalla polizia maliana e attualmente trattenuto per pedofilia, stupro e molestie su minore. Il sistema di abusi, portato alla luce da un’inchiesta di Human Rights Watch e New York Times e dalle denunce di una giovane particolarmente coraggiosa, sembra essere stato coperto dai vertici della federazione di pallacanestro locale e addirittura dalla FIBA, la federazione mondiale, guidata proprio dal maliano Hamane Niang.

«Da un lato sono orgogliosa di me stessa ma dall’altro un po’ mi pento, perché questa storia mi ha fatto perdere la mia grande occasione» ha raccontato a Deutsche Welle la prima ragazza a denunciare gli abusi, il cui nome è stato tenuto nascosto per salvaguardare la sua sicurezza. Il suo coraggio, l’aver fatto ciò che andava fatto, è stata la sua condanna, perché da quel giorno ha visto i suoi sogni di adolescente andare in frantumi: «[l’allenatore] ha distrutto il mio sogno di giocare all’estero e la possibilità di continuare a studiare». D’altra parte il coach glielo aveva detto chiaramente: «Se provi a scappare da me, ti rimuoverò dalla squadra!». Lei non ci credeva, era sconvolta e in lacrime, mentre le sue compagne la consolavano rassicurandola del fatto che non era possibile, Bamba non aveva il diritto di non convocarla più da un giorno all’altro. Le molestie, però, sono continuate, fino a quando la questione è stata resa pubblica anche grazie a un’inchiesta di Human Rights Watch, New York Times e Deutsche Welle. Nonostante lo scandalo, seguito dall’arresto di Bamba, da quando la giovane ragazza ha sporto denuncia alla polizia e alla Federazione Maliana di Basketball (FMB) non ha più indossato la maglia della nazionale in cui giocava in pianta stabile, perdendo il mondiale Under-19 in cui la sua squadra ha brillato.

La squadra arrivata in semifinale al mondiale 2021

La linea ufficiale delle istituzioni del Mali, ovviamente, è che la ragazza fosse infortunata, cosa che suo padre ha sempre negato categoricamente nelle varie interviste rilasciate e confutata da alcuni esami medici e radiografie svolte nelle settimane immediatamente precedenti alle convocazioni. Queste prove sono state presentate nel ricorso organizzato da un team di avvocati internazionali che si è offerto volontariamente di aiutare la vittima degli abusi, il quale però non ha ricevuto riscontri da parte della federazione.

Come se non bastasse, Amadou Bamba, che attualmente si trova in carcere con accuse gravissime, non è difeso da un avvocato di ufficio e nemmeno da un avvocato qualunque, ma da un certo Jean Claude Sidibé, ex ministro dello sport maliano. Ed è proprio per un recente fatto riguardante Sidibé che la vicenda del 2021 è tornata in questo periodo sotto i riflettori: Sidibé, infatti, nonostante fosse anche lui accusato di abusi sessuali e minacce nei confronti dei testimoni, lo scorso dicembre è stato eletto presidente della Federazione Maliana di Basket. Si, avete capito bene, l'avvocato dell’allenatore sotto processo per aver violentato le proprie giocatrici è anche il presidente della federazione a capo di quell’allenatore e di quella nazionale. Ma non è finita qui. Sidibé è molto vicino a Hamane Niang, ex presidente della Federazione maliana di basket e dal 2019 presidente della FIBA, il massimo organo cestistico mondiale.

La denuncia iniziale sporta dalla vittima alla federazione è caduta nel vuoto. Ma lei e suo padre non si sono arresi e hanno deciso di proseguire per questa strada, presentando il problema direttamente alla FIBA, che inizialmente non ha dato risposta. Quasi un anno dopo, la denuncia viene presentata al neonato FIBA Safeguarding Council, un comitato creato per “la salvaguardia e la protezione dei gruppi vulnerabili”, sulla base dell’art. 98 del regolamento interno che richiede alle federazioni di non "commettere alcun atto di ritorsione relativo alla segnalazione in buona fede". Il Safeguarding Council reagisce affidando l’inchiesta a uno studio legale diretto da Richard McLaren, già autore nel 2016 del “rapporto McLaren” che aveva portato alla luce il doping di stato russo. Il report conclusivo lungo 149 pagine non soltanto conferma le accuse della ragazza e delle compagne di squadra, ma dimostra un sistema di coperture e insabbiamenti che legava la federazione maliana a quella internazionale con sede in Svizzera.

Hamane Niang, ex presidente della Federazione maliana di basket e dal 2019 presidente della FIBA

Il rapporto McLaren, inoltre, raccomanda che la Commissione Disciplinare della FIBA riveda le prove presentate in precedenza contro Sidibè e ne valuti l’idoneità a candidarsi per qualsiasi ruolo istituzionale nel basket. Consiglio che, apparentemente, è stato del tutto ignorato. Secondo Romain Molina, autore francese che ha partecipato all'inchiesta del New York Times e di Human Rights Watch, la FIBA ha attivamente coperto la vicenda e ha impedito la sospensione dell’allenatore.

Le inchieste, comunque, non sono state certamente semplici e nessuno in Mali è sembrato voler contribuire a fare giustizia. La vittima dell'abuso ha testimoniato sia davanti alla commissione McLaren che alla polizia maliana insieme a trenta altre ragazze, ma, a quanto racconta, sono state costrette dalla polizia a deporre in assenza delle famiglie e dei propri avvocati. McLaren invece ha ammesso che esistono «diverse e ben corroborate testimonianze di abusi da parte dell’allenatore» ma ha anche aggiunto che «molte possibili vittime e testimoni hanno rifiutato di parlare con il MIIT (McLaren Indipendent Investigation Team) per la paura di ripercussioni o per la vergogna di raccontare dettagli relativi agli abusi sessuali». Il chiaro senso di urgenza trasmesso dalle indagini indipendenti di McLaren, ONG e giornalisti, però, non sembra essere stato introiettato dalla FIBA, che finora non ha rimosso né Sidibè né Niang – che è stato sospeso alcuni mesi e poi reintegrato in attesa di un giudizio.

Intanto, mentre la FIBA tarda a prendere decisioni definitive, la vittima dell'abuso ha perso il posto in nazionale e persino la tranquillità nella vita di tutti i giorni. Suo padre ha raccontato a Deutsche Welle che la sua famiglia è costretta a vivere da più di un anno vittima di abusi che si sono spinti fino alle minacce di morte. Secondo quanto riferito, un giorno sua figlia camminava per strada quando un uomo cominciò a insultarla. «Lei era da sola, aveva paura, siccome era un uomo non ha voluto rispondere agli insulti. Così quell’uomo è andato avanti, e le ha detto che se l’allenatore verrà punito, avrebbero ammazzato il responsabile [della punizione]». Un’altra volta «era in moto con un’amica che la stava accompagnando dallo psicologo. A un certo punto sono arrivati due ragazzi, anche loro in moto, e hanno incominciato a intimidirla finché uno dei due l’ha tirata per le spalle facendole cadere».

Nonostante tutto quello che ha passato e sta tutt’ora passando, l'amore della giovane ragazza per il basket persiste e lei rimane fiduciosa che ci sia ancora un modo per perseguire i suoi sogni. «Voglio andare negli Stati Uniti per continuare i miei studi», ha detto. «Non mi sento più sicura qui in Mali, non posso perseguire il mio sogno. La mia più grande speranza però è quella di non dover più giocare qui. Voglio giocare negli Stati Uniti e credo ancora che il mio talento me lo permetterà».


Questo articolo è uscito in anteprima su Catenaccio, la newsletter di Sportellate.it.

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Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce con tempismo perfetto per perdersi lo scudetto del 1991 e godersi la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio ossessivamente nel 1998, coronando la prima stagione da tifoso con la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua a seguire il calcio e cresce tra Marassi e trasferte. Diplomato al liceo classico, si laurea in Storia e intraprende la via del nomadismo, spostandosi tra Cadice, Francoforte, Barcellona e l’Aia. Per coerenza, decide di specializzarsi in storia globale e migrazioni e, nel frattempo, co-dirige il blog SPI – Storia, Politica e Informazione. Crede fortemente nel valore del giornalismo indipendente, sportivo e non, come argine al declino deontologico dei colleghi professionisti.

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