
- di Leonardo Salvato
Tutti gli esoneri del presidente
Pubblichiamo un estratto di “Tutti gli esoneri del presidente", l'articolo su Maurizio Zamparini che sarà presente nel primo numero del nostro magazine.

Dal 1987 al 2018: una storia che si snoda attraverso 31 lunghissimi anni, che parte da Marco Polo e finisce a Punta Raisi. Quante cose possono cambiare in trentuno anni? Tante, ma anche poche: ai posteri l’ardua sentenza; d’altronde chi decide cos’è tanto e cos’è poco? Proviamo però a farci un’idea: durante questo arco temporale si sono avvicendati: sei presidenti degli Stati Uniti; tre pontefici; un solo monarca d’Inghilterra. Tralasciamo però i massimi sistemi e ritorniamo umilmente al nostro piccolo, ovvero il mondo del calcio: sette squadre sono riuscite ad avvicendarsi sul trono di campione d’Italia (Napoli, Milan, Inter, Sampdoria, Juventus, Lazio, Roma); solo cinque sono state quelle invece capaci di fregiarsi del titolo di campione del mondo (Germania, Brasile, Francia, Italia, Spagna); altrettanti sono stati gli allenatori che si sono seduti sulla prestigiosa panchina del Manchester United (Alex Ferguson, David Moyes, Ryan Giggs, Louis Van Gaal, José Mourinho).
“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” direbbero quelli bravi: mentre nel mondo, calcistico e non, qualcosa timidamente cambiava per poi fare il giro e restare immutata e perennemente uguale a sé stessa, a Venezia prima e a Palermo poi si consumava una strana carneficina fatta di panchine saltate e allenatori silurati che vedevano recapitarsi il benservito, salvo poi venir richiamati alla base, ma con occhio costantemente vigile, e a volte senza nemmeno prendersi il disturbo di disfare i bagagli, perché coi tempi che corrono…
C’è però una cosa che è rimasta immutabile in tutto questo tempo, oltre alla regina Elisabetta II: l’architetto di questo incredibile macchina divora allenatori, la mente nemmeno tanto occulta alle spalle di questo meccanismo, l’uomo che ha reso la figura del mister precaria quasi quanto quella di uno stagista alle prime armi. Il nome è noto a tutti: Maurizio Zamparini da Bagnaria Arsa, provincia di Udine.
Zamparini è degno rappresentante di una figura tradizionale del calcio italiano dei decenni passati, quasi una maschera nata dalla commedia dell’arte, immutabile e sempre uguale a sé stessa, di spettacolo in spettacolo, di campionato in campionato. Figlio ideologico degli Anconetani, dei Rozzi e dei Sibilia, ha travalicato la figura dell’imprenditore che si diletta nel calcio, del padre-padrone di squadre di provincia, portandolo a una nuova dimensione rimasta, per certi aspetti, unica: nessuno dei suoi “figli putativi”, i vari Spinelli, Preziosi o Cellino che si sono avventurati negli anni nel mondo del calcio, hanno saputo fare altro che restare nella sua scia, nel solco tracciato, risultandone per certi aspetti solo delle copie sbiadite.

La storia inizia, come detto, nel 1987: Zamparini entra nel mondo del calcio rilevando le azioni di un Venezia che naviga in cattive acque. Lo fa, ovviamente, facendo parlare di sé: contemporaneamente, infatti, acquista anche l’altra squadra del capoluogo, il Mestre, fondendo le due società in un’unica entità sportiva, non senza polemiche da parte di entrambe le tifoserie. Alla guida tecnica della sua creatura pone una vecchia gloria del calcio lagunare come Ferruccio Mazzola, figlio e fratello d’arte dei più noti Valentino e Sandro. Il quale la sua parte la fece egregiamente, guidando la neonata compagine, iscrittasi in Serie C2, ad un’immediata promozione. «Salimmo ma finì anche l’anno di contratto (di Mazzola, n.d.r.) e lo lasciai andare» commenterà anni dopo il presidente «prendendo sciaguratamente un altro allenatore, Aldo Cerantola, che durò quattro partite con altrettante sconfitte».
La leggenda ha quindi inizio: a Cerantola seguirono Giovan Battista Fabbri, Antonio Pasinato, Giuseppe Sabadini, Alberto Zaccheroni, Rino Marchesi, Pietro Maroso, Giovanni Bui, Gian Piero Ventura, Luigi Maifredi, Gabriele Geretto, Giuseppe Marchioro, Gianfranco Bellotto, Walter De Vecchi, Franco Fontana, Walter Novellino, Luciano Spalletti, Giuseppe Materazzi, Francesco Oddo, Cesare Prandelli, Alfredo Magni, Sergio Buso; e poi a Palermo Ezio Glerean, Daniele Arrigoni, Nedo Sonetti, Silvio Baldini, Francesco Guidolin, Gigi Delneri, Giuseppe Papadopulo, Renzo Gobbo, Rosario Pergolizzi, Stefano Colantuono, Davide Ballardini, Walter Zenga, Delio Rossi, Serse Cosmi, Stefano Pioli, Devis Mangia, Bortolo Mutti, Giuseppe Sannino, Gian Piero Gasperini, Alberto Malesani, Gennaro Gattuso, Giuseppe Iachini, Fabio Viviani, Giovanni Bosi, Giovanni Tedesco, Roberto De Zerbi, Eugenio Corini, Diego Lopez, Diego Bortoluzzi, Bruno Tedino.
Un totale di 52 allenatori passati sotto la scure che, a intervalli più o meno regolari, Maurizio Zamparini lasciava andar giù senza troppi rimorsi. Uomini chiamati, masticati e sputati via, senza colpo ferire: se è vero che i calciatori passano, ma la maglia resta, Zamparini ha estremizzato a vette inimmaginabili un concetto tanto caro ai tifosi, trattando gli allenatori come pedine superflue, d’importanza relativa, se non addirittura ornamentale. Insomma, qualcuno che deve star lì perché questo impongono le regole, ma che potrebbe essere davvero chiunque, ciascuno uguale all’altro, nessuno dei quali davvero indispensabile.

Nessuno può dirsi al sicuro da un agente del caos come M.Z., le iniziali valide sia per sé che per le attività commerciali che lo hanno reso un imprenditore capace di costruirsi una fortuna tale da entrare nel mondo del calcio; neppure dopo una vittoria: è il campionato di Serie A 2015-2016, il penultimo in massima serie sia per il Palermo che per Zamparini, e ben due esoneri, quello di Iachini alla dodicesima giornata e quello di Ballardini alla diciannovesima, arrivano dopo due vittorie della squadra, entrambe per 1-0 rispettivamente contro il Chievo e il Verona. Un record nella storia del calcio italiano, ma non l’unico fatto registrare in quella stagione apice dello “zamparinismo”, passata alla storia per i sette esoneri: oltre ai già citati Iachini e Ballardini, sulla panchina dei rosanero si sono seduti Viviani alla ventesima giornata, Bosi alla ventunesima, poi Tedesco dalla ventiduesima alla ventiquattresima (tutti in realtà poco più che burocrati, visto che il vero allenatore dei rosanero è l’argentino Guillermo Barros Schelotto, che però è sprovvisto di patentino UEFA e perciò impossibilitato a sedere sulla panchina del Palermo), per poi ritornare prima a Bosi per una giornata e poi a Iachini.
Un matrimonio, quello tra tecnico e presidente, non destinato però a durare: Zamparini, intervistato a “La Zanzara”, non fa mancare le sue critiche al tecnico: «Un proprietario non può parlare della sua squadra?... Iachini è un deficiente che fa giocare male le squadra, perde le partite e nelle ultime 13 ha fatto una media di 0,7 punti a partita e non accetta nemmeno che gli diciamo, cerca di mettere bene la squadra in campo… Iachini ha una mentalità perdente e non gliene frega un c***o, è in scadenza di contratto e avrà già un accordo con un’altra squadra». Inevitabili arrivano le dimissioni: al suo posto arriva Novellino che resta in sella fino alla trentaduesima, prima di cedere il posto all’ennesimo ritorno della stagione, questa volta di Ballardini, che condurrà stancamente la barca in porto al termine del campionato.
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Nato per puro caso a Caserta nel novembre 1992, si sente napoletano verace e convinto tifoso azzurro. Studia Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II", inizialmente per trovare una "cura" alla "malattia" che lo affligge sin da bambino: il calcio. Non trovandola però, se ne fa una ragione e opta per una "terapia conservativa", decidendo di iniziare a scrivere di calcio e raccontarne le numerose storie. Crede fortemente nel divino, specie se ha il codino.
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