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4 min

- di Antony Mandaglio

Considerazioni sparse su "Bullet train"


David Leitch dimostra per l’ennesima volta di che pasta è fatto: stuntman da sempre, regista da una manciata di film, è uno che coi generi ci gioca. Non a caso Bullet Train è un film action su tutta la linea, al cui interno troviamo alcune dinamiche thriller, botte di matrice orientale e un umorismo grottesco a là Ryan Reynolds. Il tutto rende Bullet Train piacevole, ma nulla di più.


- È un adattamento cinematografico piuttosto fedele de ‘I sette killer dello Shinkansen’, romanzo scritto da Kōtarō Isaka nel 2010; gli eventi, a differenza del racconto originale costruito su più storie che via via vanno intrecciandosi, nel film ci vengono presentati in maniera lineare è più fruibile. Ladybug è un ex serial killer in crisi esistenziale che ha intrapreso un percorso “zen”, crede ciecamente nella (s)fortuna, e sta perennemente al telefono (airpods!!!) con la sua mandante, il cui nome dell’attrice non verrà rivelato per non incappare in spoiler; anche perché il cast del film è rilevante, ci sono due camei altisonanti ma totalmente inutili ai fini della trama, che servono solo a far gemere lo “spettatore-modello” di Leitch. Comunque, dicevamo: Ladybug deve sostituire Carver, un collega che ha avuto problemi nell’ultimo lavoro. La missione è semplice: salire sul treno, rubare una valigetta, scendere dal treno. Quel che Ladybug non sa, (e che nessuno dei co-protagonisti sa) è che il bullet train è pieno zeppo di serial killer che bramano il contenuto della valigetta. La storia viaggia lungo le centinaia di km che separano Tokio da Kyoto, e il treno si ferma un minuto e non oltre nelle stazioni intermedie. Tutto ciò è materiale per un film che non si ferma mai: ma se per la prima mezz’ora ci si diverte per dialoghi strampalati, omicidi fantasiosi e coreografie ben strutturate (non a caso, Leitch è stato coreografo per The Raid), a lungo andare il film si perde tra binari che non portano da nessuna parte;

- Come suddetto, il cast ospita nomi importanti. Partendo dal protagonista assoluto, Brad Pitt, che per ovvie ragioni non ha bisogno di alcun tipo di presentazione. Il suo personaggio sembra essere il risultato di una shakerata dei precedenti lavori di Leitch: unisci le scazzottate di Dwayne Johnson e Jason Statham di Hobbs & Shaw, l’ironia tagliente di Reynolds in Deadpool 2, lo charme di Charlize Theron in Atomica bionda e il piatto è servito. Gli altri personaggi che popolano il treno sono comunque degni di nota e tutti rispondono agli archetipi contemporanei del cinema action: l’atipica coppia di gemelli, Lemon e Tangerine (Brian Tyree Henry e Aaron Taylor-Johnson, coppia marcatamente tarantiniana per via delle diversità e delle incomprensioni che si portano dietro) sono i possessori della fatidica valigetta, nonché baby-sitter del figlio (Logan Lerman) dell’implacabile Morte Bianca (un sempre, sempre, sempre meraviglioso Michael Shannon, seppur qui relegato al ruolo di macchietta). Joey King, che con i suoi occhioni dolci e la sua lacrima facile nasconde una spietatezza senza eguali; Bad Bunny è Wolf, un messicano in cerca di vendetta che pare uscito dall’Albuquerque di BrBa e i due Andrew Koji e Hiroyuki Sanada, mossi da un movente ben più grande, tipico del racconto pulp orientale;

- La regia è ciò che ti aspetti per un film del genere; dinamica, si insinua tra i combattimenti con la camera a mano, abusa del rallenty in più occasioni, ma tutto sommato non c’è nulla che stoni troppo. Non che ci si aspetti grandi movimenti da questo genere di film ideato per incassare e divertire, sia chiaro, è concepito per intrattenere e lo fa (o comunque, ci prova onestamente). Peccato solo che allo stesso modo e anche meglio di film del genere ne è abbastanza pieno, dalla linea Marvel, che fa di questa comicità un punto di rottura (e in alcuni, rari casi, di forza), fino a Baby Driver; non a caso il film è stato definito dal The Guardian come un “sub-Guy Ritchie clanger”; un’etichettatura certamente non felice, ma è pur vero che qualche scopiazzatura c’è. A partire dai riferimenti a Snatch – Lo strappo, fino all’estetica di Tangerine, così tanto simile al Michael Pearson di Matthew McConaughey in The Gentleman. La fotografia, colorata e sgargiante, come da recente tradizione è costellata da luci al neon che differenziano la prima dalla seconda classe dei vagoni; Jonathan Sela, direttore della fotografia, è al quarto film al fianco di Leitch e sono pronti nel 2024 a far uscire il quinto;

- Il film più e più volte si focalizza su due scuole di pensiero agli antipodi: il destino e la casualità, e i personaggi si muovono proprio in funzione di queste due forze. Ladybug, per esempio, è convinto d’essere perseguitato dalla “nuvola di Fantozzi”, una sfortuna continua su cui Leitch si diverte a calare la mano (succedono tutte a lui); altri personaggi invece si muovono consapevoli che se una cosa deve accadere, accadrà: sanno che il karma è in debito con loro, e cascasse il mondo (o il treno), le cose andranno nella maniera giusta. In verità tutto ciò è pensato sempre e solo ai fini rocamboleschi degli eventi, che si muovono in una sorta di effetto domino aiutato sicuramente dall’orizzontalità della location, il Tōhoku Shinkansen Hayat (il bullet train);

- In conclusione il film diverte nonostante due ore siano davvero fin troppe; vista la prima mezz’ora, hai visto praticamente tutto il film. Bullet Train è quel compagno di banco casinista e “copione”, simpatico nelle prime due ore della giornata e poco sopportabile nelle ore successive, ma di cui poi, una volta arrivato a casa, hai dimenticato tutto. “Com’è andata a scuola?” “Maaaa sì bene dai cioè okay”.

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