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Luciano Gaucci, ex presidente del Perugia.
, 8 Marzo 2023

Gaucci, l'insaziabile


Pubblichiamo un estratto di “Gaucci, l'insaziabile", uno degli articoli che troverete all'interno del primo numero del nostro magazine.


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Se la vita è davvero come una scatola di cioccolatini, quel che è certo è che Luciano Gaucci quei cioccolatini se li è mangiati tutti. La suggestione ovviamente non riguarda solo la sua stazza strabordante, da Tony Soprano di provincia; Gaucci mangia tutto ciò che trova, soprattutto perché può, perchè è ferocemente ingordo. Tutta la sua vita è stata caratterizzata da una fame insaziabile, ingestibile, quasi corrosiva. Lo dice d’altronde lo stesso nome con cui viene ricordato nel gergo popolare, nella memoria collettiva. Lucianone. Un Luciano grande, più grande, più ingombrante dei normali Luciano. Su ogni campo in cui si è infilato, Gaucci si è tuffato a corpo morto, di pura prepotenza, portando spesso le sue storie di vita ai confini del grottesco e del surreale. Un prototipo museale di italiano di prima generazione post Seconda Guerra Mondiale; una generazione affamata, pittoresca, con cravatte appariscenti e soprattutto, sopra ogni altra cosa, profondamente e consapevolmente spregiudicata.

Quella generazione di rapaci, di voraci di vita, di potere e di soldi ha totalmente destabilizzato il Paese. Gaucci ne era fiero alfiere, quasi un vero portabandiera. I tratti distintivi ci sono tutti, tutti uguali e tutti diversi tra loro. Origini medioborghesi dai tratti verghiani, tra le colline marchigiane di Fermo, dove la famiglia possedeva qualche terreno qua e là, senza alcuna indicazione più precisa. Una biografia nel complesso misteriosa, piena di ombre; un successo improvviso e senza troppe spiegazioni, donne infinitamente più giovani, scommesse, clamorosi colpi di fortuna, incredibili intuizioni, cavalli, amicizie politiche, problemi con la giustizia, fughe spericolate verso il Centro America.

Tutto il menu, dall’antipasto al caffè. E soprattutto, inevitabilmente, il calcio. Il calcio rigorosamente di provincia che mai come nel cuore degli anni 90 ha sfilato abbacinato su passerelle colorate, arrampicandosi verso il cielo su delle scale che spesso venivano tranciate in due proprio quando si iniziava a toccare qualche nuvola.

La vita di Gaucci sembra alla fin fine un grande, gigantesco stereotipo in carne e ossa. Tutto si muove, tutto si è mosso, tutto è stato, proprio come uno se lo immagina. C’ è tutto quello che serve per le grandi commedie all’italiana. Come ha fatto i soldi Gaucci? Come si può facilmente immaginare. Vincendo montagne di appalti pubblici, nel suo caso con una ditta di pulizie. Gaucci da ragazzo inizia facendo l’oste, prima di vincere un concorso e guidare per un po' gli autobus dell’Atac per le strade della Roma degli anni 70. Nel frattempo, inizia a lavorare in una piccola ditta di pulizie, di proprietà del suocero, il padre della prima moglie. Nel 1975, Gaucci rileva la ditta, gli cambia nome (“La Milanese”, per avere più possibilità di lavorare al Nord mascherando la sua romanità, dirà a proposito tra il serio e il faceto) e la fa diventare in pochi anni una potenza assoluta del settore, con un fatturato da 200 milioni di lire e circa 3500 dipendenti sparsi per tutta la Penisola. Una fame bestiale.

C’è di mezzo anche il gioco e la fortuna, come in ogni grande storia italiana. Leggendaria la schedina da 2,2 miliardi di euro giocata nel 1998, successivamente frutto di una infinita contesa legale tra Gaucci e la sua compagna dell’epoca, Elisabetta Tulliani, la futura moglie di Gianfranco Fini, che rivendicava almeno la metà della somma. La contesa alla fine venne vinta da Lucianone. “Nel gioco era un pazzo”, dirà il titolare della ricevitoria vincente. “Era capace di chiamarti all’improvviso per puntare somme stratosferiche. Dovevo essere sempre pronto”.

Gaucci con Elisabetta Tulliani, la futura moglie di Gianfranco Fini.

Ad accrescere il patrimonio di Gaucci hanno contribuito non poco i cavalli. Assiduo frequentatore di aste di cavalli, Gaucci in un decennio ha costruito un impero con pochi eguali nella storia dell’ippica italiana. Nel 1980 fonda la White Star e inizia a buttar dentro quadrupedi a raffica, alla caccia spasmodica dell’affare della vita. L’affare arriva acquistando Tony Bin, un puledro da sei milioni di lire, una vera inezia per il settore. Tony Bin, nome secondo la leggenda derivato da quello di un pittore veneto esiliato a Parigi e da cui Gaucci comprerà per sempre quadri con forti sconti, inizia a vincere tutto il possibile, arrivando a far tremare le potentissime scuderie degli emiri e dei miliardari asiatici, padroni ora come allora del settore. Nel 1988 Tony Bin vince il prestigioso Prix de l’Arc de Triomphe, il Gran Premio del Jockey Club e arriva secondo nel Gran Premio di Roma. Un trionfo senza pari. Da sei milioni di lire di acquisto, Tony Bin vince in pochi anni circa tre miliardi di premio. A fine carriera, Lucianone lo rivende per sette miliardi a dei giapponesi. La Repubblica, nel 1993, descrive Gaucci come “il Re Mida dell’ippica”.

Di cavalli Gaucci ne aveva a bizzeffe, ben al di là di quanto li amasse e di quanto effettivamente ne capisse, come ha sempre candidamente ammesso. Forse a un certo punto non sapeva più che farne. Nel 1992 venne accertato che da presidente del Perugia, donò un cavallo al suocero dell’arbitro dello spareggio per la promozione in Serie B, Siracusa-Perugia. Gaucci viene squalificato per tre anni. Si giustificherà dicendo che lui di cavalli, ne regala un po' a tutti.

Per un italiano, un vero patriota come Gaucci, il calcio non poteva che essere il centro gravitazionale dei pensieri e degli interessi. È lì che c’è la carne viva dell’Italia ed è lì che bisogna lasciare una traccia. Negli anni Ottanta, gli anni dell’ingordigia massima e irrefrenabile, è stato a lungo vicepresidente della sua amata Roma, in qualità di amico e consigliere personale del presidente Dino Viola. Arrivò ad acquistare il 13% delle quote giallorosse, sponsorizzato dal suo caro amico Giulio Andreotti, al quale era legato da una comune amicizia con il potentissimo cardinale romano Angelini. Lucianone provò a più riprese ad ottenere senza successo la presidenza della Roma, prima di mollare la presa e dirottare sulla provincia, forse più congeniale alla sua anima ruspante. 

La lunga storia d’amore tra Gaucci e Perugia è tra le più intense dello stralunato calcio italiano degli anni Novanta. “Dopo Roma è venuta Perugia, dopo Perugia non ci sarà più la Roma”, dirà al momento dell’acquisto, dichiarando amore eterno. Tredici anni di montagne russe, di grandi salti e fragorose cadute. La prende in Serie C nel 1991 e mette subito in piedi una campagna acquisti allucinante per la categoria; compra Nitti, Di Carlo e addirittura Beppe Dossena, fresco scudettato con la Sampdoria. Parte un circo di allenatori e giocatori senza freni, un turbinio di nomi da far girare la testa. Paolo Ammoniaci, Giuseppe Papadopulo, Adriano Buffoni, Walter Novellino, Ilario Castagner, Mauro Viviani, Walter Novellino, Giovanni Galeone, Nevio Scala, Attilio Perotti, Alberto Bigon, Ilario Castagner, Vujadin Boskov. Tutto in una manciata di stagioni, tutto in pochi bocconi; la squadra arriva in Serie A, torna in Serie B ma risale presto.

Gaucci si diverte, invade gli spogliatoi, dialoga con i giocatori quotidianamente, disquisisce di tattica con i giornalisti e scavalca spesso e volentieri gli allenatori, portandoli all’esaurimento. Castagner lo descriverà come un tir, che arriva e travolge tutto ciò che trova. “Io cercavo di preparare i calciatori che arrivavano a Perugia sui metodi del presidente, perché poi potevano restarci male. La domenica si incavolava e il martedì era un’altra persona”. Castagner arrivò a dimettersi quando Gaucci gli chiese, durante un intervallo, di sostituire due giocatori. Il mister e il patron sono finiti in causa per diffamazione, ma alla fine si sono riappacificati.

Con il passare degli anni però, il calcio di provincia non basta più a Lucianone, che inizia a farsi venire idee sempre più stravaganti. Con una stella polare sempre in testa: fare soldi. Dal 1998 in poi si mette in testa l’idea delle multiproprietà nel calcio, un antesignano progetto Red Bull. Compra la Viterbese, la Sambenedettese e il Catania, provando a monopolizzare la Serie C, ad ingurgitare tutto il possibile. Il colpo grosso potrebbe arrivare nel 2002 quando si approccia seriamente al Napoli, appena fallito. Propone un’offerta, parla con il Comune, visita lo stadio e i campi di allenamento.

La scelta politica ricade su De Laurentiis. Il progetto delle multiproprietà, utilizzate prevalentemente per parcheggiare la quantità abnorme di giocatori esotici piovuti su Perugia, decade velocemente. A Viterbo però lascia il segno, con un’idea delle sue. Nel 1999 piazza sulla panchina Carolina Morace, con un biennale da cento milioni annui, follia allo stato puro per la Serie C1. E’ la prima donna ad allenare una squadra maschile. “Le donne ormai fanno i capi di Stato, non capisco lo stupore per questa notizia”, dirà il saggio Lucianone, grande anticipatore dei tempi e dei costumi. Dopo due partite però, Morace decide di interrompere i rapporti con i giornalisti, che continuano a vederla come un alieno e a trattarla con malcelata ironia. Gaucci si infuria, chiede la revoca immediata del silenzio stampa e già che c’è anche il licenziamento di due collaboratori tecnici sgraditi; Morace ringrazia e saluta, dando le dimissioni dopo appena 180 minuti di gioco. 

L’idea di inserire figure femminili dentro il calcio maschile rimane a ronzare nella testa di Gaucci. Il moto femminista gaucciano riprende nel 2003; l’anno prima il Perugia è arrivato nono, ha vinto addirittura la vecchia Coppa Intertoto (una sorta di nonna della Conference League) ed oggi si affaccia all’Europa, in Coppa Uefa. Il campionato però va male e la squadra è piombata nei bassifondi, al penultimo posto.

Serve una scossa, un’intuizione delle sue per risalire la china. Per il mercato di gennaio, l’idea è quella di assoldare due calciatrici svedesi, Victoria Svensson e Hanna Ljungberg. “Non abbiamo bisogno di queste cose” dirà seccamente Gianni Petrucci, presidente del Coni. Gaucci evidenzia che non esiste nessuna regola che vieta ad una donna di giocare con gli uomini e tira in ballo il femminismo. “Se mi ostacoleranno, tutte le donne del mondo si rivolteranno”, tuona. Le due svedesi rifiutano l’offerta con parole di fervido realismo “Siamo oneste. Noi donne non possiamo giocare contro calciatori come Nesta e Maldini”. Gaucci incassa ma non demorde e punta direttamente al sole, la tedesca Birgit Prinz, appena premiata dalla FIFA come miglior calciatrice al mondo. “Birgit Prinz è bella, ha un corpo fantastico ed è molto brava come calciatrice”. Il reale e il surreale si mescolano senza freni nel mondo di Gaucci. Prinz è fortemente tentata, chiacchera con i dirigenti, si fa alzare l’offerta economica, ma alla fine, dopo settimane di riflessione e di panico della FIFA, arriva un altro no. 

Birgit Prinz, ai tempi calciatrice, oggi psicologa.

Questo era un piccolo assaggio di quello che troverete all'interno del nostro magazine. Per ricevere tutte e 4 le sue uscite, godere di tutti i vantaggi che comporta il tesseramento alla nostra associazione culturale e sostenere il nostro progetto, questo il link: https://www.sportellate.it/membership/


  • È nato pochi giorni dopo l’ultima Champions League vinta dalla Juventus. Ama gli sportivi fragili, gli 1-0 e i trequartisti con i calzettini abbassati. Sembra sia laureato in Giurisprudenza.

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