
- di Lorenzo Tognacci
Considerazioni sparse sulla 5a stagione di "Drive to Survive"
Torna il consueto appuntamento pre-campionato firmato Netflix: dopo una quarta stagione disastrosa e doverosamente ricoperta di insulti, scaldiamo i motori in vista del Mondiale 2023. IT’S RACE WEEK!
- Siamo al quinto anno di fila ed è ormai diventata abitudine anticipare di una settimana l’inizio della stagione motoristica con Drive to Survive. Rivivere le vicende del campionato passato sotto una luce diversa, imbottirsi gli occhi di tutto lo splendente splendore delle macchine grazie alla potenza di fuoco dell’HDR bello spinto della troupe Netflix, andare a rispolverare quelle asce di guerra tra muretti che abbiamo seppellito e momentaneamente dimenticato durante la pausa invernale. Quest’anno apriamo la prima puntata con una bella scampagnata su una 500 azzura guidata da Steiner e Binotto, in veste di amici della domenica, tra epiteti poco eleganti e grasse risate. Si passa poi in fretta al rettilineo del Bahrein, dove come di consueto vengono esposte tutte le macchine e i rispettivi piloti per le foto di rito di inizio anno, un anno che ricordiamo è stato fondamentale per via dei cambi di regolamenti, e giustamente viene data molta importanza ai commenti e ai dubbi dei diversi protagonisti riguardo ai propri mezzi e a quelli rivali. Questi sono solo due piccoli aneddoti che ci aiutano a capire come in questa stagione a Drive to Survive vada riconosciuto il merito di, quantomeno, provare a costruire un rapporto più empatico con lo spettatore. Conosciamo tutti come sia andato il vecchio campionato, sappiamo tutti le sorti di Binotto e della Scuderia, sappiamo tutti come si sono evolute le macchine durante l’anno. Mentre nelle ultime stagioni veniva effettuato un cherry-picking delle situazioni molto più sensazionalistico, alla costante e spasmodica ricerca del “GASP!” dello spettatore, quest’anno si cerca di costruire una ricostruzione narrativa degli episodi un po’ più fedele, nel tentativo di trovare un delicatissimo equilibrio capace di soddisfare sia gli appassionati che i completi neofiti. È per questo che l’eleganza estetica di Binotto viene subito scalfita dai vari “cazzo” proferiti a televisione accesa, è per questo che un missile apparente come la Mercedes viene sconquassata dai dubbiosi commenti di tutti i piloti presenti nel paddock: ogni episodio raccontato cerca di stuzzicarci per costruire un piccolo climax realtivo a ognuno dei protagonisti presenti;
- Quello che della quarta stagione aveva fatto più incazzare gli appassionati era, appunto, la spasmodica ricerca del reality show in semplici vicende tra piloti. Tra il tentativo di costruire rivalità inesistenti, o quello di fomentare ipotetiche vicende inventate di sana pianta, in questa stagione gli sceneggiatori si sono resi conto che forse, più che cercare il sensazionalismo in pista, è più facile trovarlo nelle vicende politiche extra tracciato. È anche per questo motivo che in queste 10 puntate si fa sempre più presente e senziente una figura come quella di Stefano Domenicali, il presidente FIA che sembra vestire i panni del domatore di leoni, tra le teste dei vari team pronte a scannarsi a colpi di accuse. Sicuramente la vicenda più importante che ci aiuta a capire questa figura è la riunione della disperazione guidata da Toto riguardo al celeberrimo caso di porpoising: si alzano i toni, Horner allunga pure una mano verso la troupe a chiedere di proseguire l’incontro lontano dalle telecamere, Domenicali è costretto a fare la voce grossa. Una dinamica tra team che sicuramente era presente anche nelle altre stagioni ma che, finalmente, quest’anno prende una piega migliore e più inquadrata, dovuta sia alla comprensione di Netflix, sia allo status che hanno raggiunto i team principal nei confronti della serie, trasformatisi tutti un po’ più in soggetti mediatici anche nei confronti di DTS oltre che dei media tradizionali. A cascata, ovviamente, arriveranno anche le varie vicissitudini tra i team minori per le consuete battaglie di metà classifica (e oltre);
- E arriviamo alla puntata che più aspettavo, quella che quando ho letto il titolo mi stavo già sfregando le mani con un’espressione cupidigia in faccia, quella che “ti prego dimmi che ci sono andati giù pesante”: la puntata sulla Paperar…Ferrari. Chi legge le colonne a scoppio di Sportellate avrà (spero) letto le Considerazioni e i Pagelloni dello scorso campionato, con i nostri commenti da calci in culo verso il muretto rosso, partiti bene proseguiti male finiti peggio. La puntata sulla Ferrari è sicuramente una vicenda ricca di spunti per tutto il team Netflix che probabilmente avrebbero potuto scrivere una stagione a parte specifica per il trio Binotto-Mekies-Rueda. Si sono impegnati invece per concentrare in una puntata tutta rossa le splendide e mirabolanti avventure del terzetto più funambolico di tutto il paddock. Come ho detto prima la grande abilità di questa stagione è cercare sempre di trovare un punto di equilibrio in un prodotto attraente sia per gli appassionati che per i neofiti. In questa puntata forse è dove si trova al meglio questo tipo di equilibrio, anche grazie alle innumerevoli concessioni degli attori sgargianti, con il continuo alternarsi di frecciatine ed eventi più didascalici. Da Mekies che si inceppa nel suo stesso taccuino in preda al panico, alla ribellione spagnola di Carlos in pieno Silverstone fino al celeberrimo ditino accusatorio di Binotto, c’è veramente tanta carne al fuoco per le telecamere. E anche in questo caso, come detto prima, bene la scelta di tenere il sensazionalismo al muretto e fuori dalla pista. Se Charles e Carlos vengono ritratti come due amici competitivi nonostante le difficoltà, i direttori di Maranello non ne escono sicuramente bene tra radio rivedibili, chiamate strategiche decisamente discutibili e le risate di tutto TUTTO il paddock. Praticamente vengono perculati da tutti, dalla Red Bull alla Alpine tutti hanno sempre qualcosa da dire riguardo le strategie Ferrari. Che per carità, capisco possa esserci un po’ di romanzata, ma queste cose queste persone le hanno concretamente dette e questo purtroppo è inattaccabile. Binotto parla quasi sempre in italiano con una calma inviadibile davanti alle telecamere, ma tutto il contesto aiuta a costruire il lento e inesorabile decadimento della compagine italiana durante la stagione 2022;

- Oltre ai più grandi e principali avvenimenti ci sono anche tante piccole situazioni che Netflix raccoglie ben volentieri dall’asfalto e le trasforma in storie con un delicato lavoro di composizione. Il ritiro di Vettel, il Piastrigate (che lancerà anche la competizione Brown-Szafnauer), la grande vicenda del cost cap Red Bull, l’ultimo anno di Mick Jr., i giovani rampanti, le musical chair dei piloti… c’è tanto materiale da cui attingere e che Drive To Survive orchestra bene lungo le dieci puntate. Forse un pochino troppe, diciamo che intorno a 8 si inizia a sentire il tentativo di forzare la durata degli avvenimenti per raggiungere la consueta durata di 10 parti, ma comunque tutte godibili e interessanti. In questo caso premiata la scelta di modulare le puntate in modo migliore rispetto al passato, con alcuni episodi verticali su fatti specifici e altri invece più assortiti di eventi minori che si compongono e si sostengono a vicenda. Dalle cime “I’m on the darkside” firmate Fernando Alonso, a Tsunoda che scoreggia davanti alle telecamere, fino a De Vries che ha proprio la faccia da psicopatico mangiatutto nel complesso si può definire un buon lavoro di Netflix. È ovvio che purtroppo sono stati fatti dei sacrifici, vedi l’Alfa e la Williams con i rispettivi Bottas e Albon che non vengono praticamente mai nominati, ma è anche giusto per mantenere un po’ di intensità ed evitare dispersione;

- Diciamo che tra la sesta e la nona puntata il ritmo si affievolisce leggermente, per ricaricare le batterie sul sendoff finale che ci lancia verso la prima settimana di gara. Con la fortuna che nel campionato 2022 molte sorti si sono decise all’ultima gara, Netflix giustamente ne approfitta e sfrutta i tramonti di Abu Dhabi per raccogliere il 2022 e servire il primo impasto di 2023, con una menzione speciale a un personaggio che negli anni ha aiutato e caratterizzato profondamente Drive to Survive. Daniel Ricciardo è un pilota che a 33 anni purtroppo si ritroverà a fare il terzo pilota Red Bull, fuori dalla griglia dei 20 titolari, a causa di scelte di carriera discutibili e mancanza di performance. Oltre a essere sempre stato un personaggio mediatico importante dal suo primo giorno di F1 è stato anche un cardine della stessa Drive to Survive, nata in un periodo di profondo rinnovamento del Circus e soprattutto nata come un azzardo, vinto grazie anche a personalità come Ricciardo. Per questo il team Netflix ne approfitta per fabbricargli un farewell su misura, nella speranza di rivederlo presto davanti alle telecamere. E sui ciak dei nuovi attori, sui “he can suck my balls” (questa è una finezza per i più appassionati) si chiude il sipario della quinta stagione di Drive to Survive. Un prodotto che si è risollevato dopo un’annata estremamente disastrosa, si è ricalibrata e continua a guidare la crescita delle docuserie a tema sportivo. È importante però ricordarsi che parte di questi meriti va anche ai Team Principal e a tutti i piloti che quando vedono le telecamere di Netflix si rendono più “disponibili”: non intendo semplicemente disponibili davanti alle telecamere ma disponibili nel servire agganci facili agli sceneggiatori, per costruire le sue vicende e le sue azioni e tenere in piedi la rinnovata anima del Circus, che sembra definitivamente risorta dalle ceneri dei tristi anni 10. L’ultima riga la lasciamo per una menzione d’onore: Verstappen ha sempre odiato Drive To Survive, non ha mai voluto partecipare, quest’anno invece si è seduto anche lui davanti alle telecamere. Diciamo che l’apporto è quello che è, tanto è apatico duro, non ci siamo persi niente ecco.
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Rimini, 23/09/1994. Laureato in Comunicazione Pubblicitaria allo IED di Milano, freelance e multiforme. All’anagrafe porta il nome di Ayrton e la Formula 1 è appuntamento immancabile del weekend, a cui associa un passato da tennista sgangherato e anni di stadio a Cesena. Incallito e vorticoso consumatore di vinili e di cinema.
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