La matrice calcistica di Madrid
Real Madrid-Atlético Madrid è tornato ad assumere, dopo anni eccezionali, lo stesso significato di sempre.
Chissà quale bottiglia hanno stappato i nostalgici revanscisti al fischio d'inizio di Jesús Gil Manzano alle 18.30 di un sabato febbraiuolo di Madrid. È più conservatore lo spumante o un rosso? È più reazionario un brandy o un Bourbon? Real Madrid-Atlético Madrid è tornato ad aderire alla storia, alla tradizione, ai clichè e alla bambagia del già visto, già detto, già vissuto.
Un derby sui generis, come ogni derby che si rispetti. La squadra più titolata di Spagna, la cui rivalità più sentita non è lo scontro con la seconda squadra cittadina ma il Clásico con una squadra a più di 600 km di distanza, ospita gli eterni sottovalutati. Più che sottovalutati sarebbe meglio non considerati. Nati da una costola dell'Athletic Club, riferimento del sommerso e dello sfruttato della capitale, talmente oppressi dal soverchiante padrone pallonaro dal non poter nemmeno esserne invidiosi ma semplicemente schiacciati.
Quanta frustrazione deve generare il fatto che il tuo rivale più grande ti consideri in secondo piano, sempre meno di quegli altri? Tocca aprire le porte del Bernabéu anche a quelli, quel parente che fa capolino in un insulso pomeriggio tra Natale e Capodanno. Lo squadri, lo saluti con un cenno simile a una smorfia, ne commenti sottovoce il vestito e la puzza di fumo che rovina l'atmosfera di festa.
Eterno ritorno
L'Atletico ci ha messo sempre del suo. Orgoglioso protettore del soprannome Colchoneros per via dei rivestimenti delle fogge dei materassi e dell'estrazione sociale di chi quei materassi li tesse, come può pretendere di essere preso in considerazione dal Real? Esiste qualcosa di più lontano e incomparabile a quello che è a tutti gli effetti un cuscinone squadrato rispetto al candore dei Blancos, l'inafferrabilità dei Galacticos, la purezza estetica delle Merengues? Il Cholo ha rappresentato un errore del sistema, un'anomalia storica: pur legato a principi di lotta e contrasto, ci ha fatto credere di guardare il Real non direttamente negli occhi ma con gli stessi occhi. Soltanto qualche anno fa Zidane era arrivato a definire l'Atletico, prima di un campionato, favorito per la vittoria finale. Quanta è sbagliata come cosa?
Non giusta o ingiusta, meritata o meno. No: sbagliata. Diversa. Inattesa. Perché l'Atleti non è mai stato sfavorito rispetto al Real: è appartenuto a un altro piano, un altro mondo. Il 2023 ci restituisce le nostre vecchie convinzioni: fuori dall'Europa, freddato da Benzema e Vinicius nei quarti di Copa del Rey a gennaio, senza un reale contraddittorio per l'accesso alla prossima Champions League ma troppo lontano dalla vetta della Liga per coltivare concrete speranze di recupero. Un Atléti senza nulla da chiedere in confronto ai cugini blasonati. Il derbi madrileño ritorna così i 90' nei quali far perdere tempo, punti e pazienza all'avversario piuttosto che un guadagno proprio.
Real-Atletico è quella partita che i Blancos non vorrebbero mai giocare non per paura ma per puro e semplice fastidio. Gli tocca giocarlo, è costretto a sporcarsi le unghie per togliersi la gomma rojiblanca attaccata alla suola dello scarpino. L'aristocrazia del sopracciglio di Carlo Ancelotti deve fare i conti, un tardo pomeriggio di febbraio (troppo presto per il vestito delle serate di gala infrasettimanali), con chi concentrerà tutte le energie possibili e immaginabili a far perdere il Real. "Madrid (nemmeno la presunzione di chiamarli col loro nome) è Disney, Atlético è reale frustrazione, ha a che fare con la speranza e le emozioni": lo dicono i Colchoneros stessi. E allora che possano perdere con loro per colpa loro.
La partita è l'ultima cosa che conta
Modrić e Camavinga gli unici cambi nell'XI rispetto all'esoterica notte di Anfield. Simeone simeoning con Carrasco al fianco di Griezmann in un 4-2-2-2 con Llorente e Saúl sugli esterni e Pablo Barrios, al fianco di capitan Koke, alla prima visita della carriera al Estadio Santiago Bernabéu.
Persino il nevischio assorbe tratti ineffabili, quasi non permettendosi di bagnare il suono dei violoncelli in memoria di Amancio. Tempo 6 minuti ed ecco un buon compendio di cosa prevede il menù della serata: un diciannovenne che come prima giocata elude con una finta di corpo Kroos e orienta il controllo verso la porta di Courtois, Savic a terra che perde tempo, proteste dell'Atleti per un presunto rigore, ammonizione per Militão.
I Colchoneros approcciano meglio la partita, nonostante l'infortunio di Reinildo controllano il ritmo della partita. Carrasco sporca i guanti di Courtois ma le elettriche associazioni libere del Real lo tengono lì, in costante apprensione per qualcosa che magari non arriverà mai ma la cui attesa basta e avanza. Ogni volta che Ceballos tocca la sfera ci si domanda perché il calcio sia così crudele da non essere solo bello: il "giocatore molto mancino" con cui la telecronaca commenta l'occasione sprecata da Asensio riporta coi piedi per terra.
Llorente inaugura al 36' la semestrale, quadrimestrale o trimestrale ricorrenza rojiblanca della "Caccia a Vini Jr", ottenendo come trofeo un cartellino giallo. Prima del riposo Carrasco smette definitivamente di far finta di accompagnare Griezmann nella prima pressione, per la gioia di un Simeone soddisfatto dell'approccio dei suoi. Nacho ci ricorda quanto si può essere stronzi e fallibili anche con una maglia del Real indosso, ciccando un tacco al limite dell'area dopo un paio di scambi di prima che alzano i battiti del Bernabéu. Gil Manzano fischia due volte. 0-0 e la sensazione che la partita sia un'enorme pentola a pressione.
Apribottiglie
Servirebbe qualcosa o qualcuno che stappasse la partita. Ci prova Vini a solleticare il Bernabéu, agitandosi dopo un paio di fiammate di Benzema e del Pajarito Valverde. Dopo i fischi sul pigro possesso dell'Atleti del primo tempo, anche il Bernabéu entra in partita. Tempo 10 minuti e siamo già a Correa che si guarda intorno come un bambino che perde la mamma al supermercato non appena supera la metà campo.
La serata è, inevitabilmente, una di quelle in cui Griezmann potrebbe tenere una lezione universitaria di Cholismo, contagiando tutti i compagni e facendo la barba al palo. Marcos Llorente si fa male ma ha quasi paura ad ammetterlo e guardare negli occhi Simeone per confermargli che non riesce a continuare.
Camavinga, Tchouameni e Modrić si candidano a stappare la partita. Entrano così, tranquillamente e arrogantemente, a metà secondo tempo, come se fossero giocatori qualsiasi in una partita qualsiasi. Tutto tranquillo. Troppo tranquillo. Correa e Gil Manzano decidono di collaborare e concentrare la locura repressa sino al momento, confezionando un'espulsione talmente assurda da lasciare di stucco anche Simeone. Ancelotti? Nessuna reazione, ovviamente.
Trincea
Ci si aspetta che l'Atleti inizi a scavare la fossa e difendersi nella propria area, rinunciando offeso all'attaccare. In realtà entra Morata, aggiungendo aggressività alla pressione lontano dai propri 16 metri. Ancelotti replica passando al 4-4-2, con Álvaro e Benzema a piazzare le tende in area. Nemmeno il tempo di risistemarsi, però, che Gimenez incarna l'eredità del Flaco Godin, levitando sulla punizione di Grizou e sbloccando lo 0-0. Il Cholo sbuffa , si prepara a un ultimo quarto d'ora tra apnea e vene ribollenti, forse penserà che, insomma, l'hanno fatto di nuovo, avranno un brutto ricordo anche di questa partita.
All'84' un componente della panchina dell'Atletico si palesa sulla linea di porta, facendo un passettino in campo e urlando qualcosa a Oblak. Come si permette di prendersi il palcoscenico? La presunta hybris viene immediatamente punita, neanche fossimo in un girone dantesco: Modrić pennella da corner, Álvaro si fa perdonare l'asfaltata di Gimenez sulla punizione di qualche minuto prima e pareggia i conti. Una rivincita personale come se ne sono viste a migliaia nei derbi del passato. Peccato che Álvaro abbia 18 anni, ha esordito in campionato la settimana scorsa fornendo un paio di cioccolatini in casa dell'Osasuna e abbia segnato al suo esordio al Bernabéu. Nei 26' di Liga siamo a un gol e un assist.
Tchouameni continua il bombardamento da lontano, Oblak blocca. Il Madrid preme, schiaccia. Opprime. Tiene la testa dell'Atleti sott'acqua ma i dieci del Cholo annaspano senza affogare. L'ultima giocata è Vini che sbaglia un filtrante di Camavinga di una decina di metri. I due incrociano lo sguardo, Oblak rinvia, Gil Manzano fischia la fine. Vinicius ha 22 anni, Camavinga 20, ma nei loro occhi c'è già tutto quel fastidio che i materassai originano nelle Merengues. Finisce 1-1 ma poco importa. Conta l'emozione. Quella ha lo stesso significato di sempre.
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