Considerazioni sparse su Tàr
Con la mano destra tiene il tempo, con la mano sinistra definisce la forma: Tàr è il podio da cui Cate Blanchett dirige entrambi i lati dello schermo con una performance surreale.
- “Il tempo è centrale, il tempo è la parte fondamentale dell’interpretazione. Non si può cominciare senza di me, io avvio l’orologio. Dunque la mia mano sinistra dà la forma, ma la mia mano destra - la seconda - marca il tempo, e lo fa andare avanti.” L’intervista che apre Tàr ci fa conoscere subito la protagonista, in un furbo escamotage che mostra chiaramente il tipo di personalità e di personaggio che andremo a scoprire. Una platea in penombra, un palco enorme, un ego sconfinato: Tàr è il racconto della reazione chimica autodistruttiva che si innesca quando la fama incontra il potere incontrollato e totale. Due ore e tre quarti in cui tutto, da quello che vediamo nello schermo agli spettatori in sala seduti vicino a noi, segue i magnetici movimenti di Cate Blanchett in controllo di tempo e forma;
- Un’attenzione quasi maniacale e inviolabile quella che Todd Field rappresenta nel suo film, con le telecamere che a volte accennano a distrarsi verso una delle storie secondarie presenti ma che Blanchett ricentra con sempre più controllo e violenza su sé stessa, a rimarcare come ogni cosa presente attorno a Tàr sia con lei o contro di lei. Violenza che però semina lungo la narrazione crepe sempre più marcate nella titanica egomania della protagonista, in piccoli episodi che lentamente ne incrinano la personalità fino a raggiungere la naturale implosione di Tàr stesso;
- Tutti i tratti narcisisti ed egocentrici, le manie di potere e di controllo, sono risvolti psicologici che si attivano nel momento in cui la protagonista si rapporta con altre persone. Anche nel nostro caso, i momenti in cui Tàr si trova da sola - che sia nel suo vecchio appartamento o durante le sue corse per Berlino - sono i momenti in cui il potere manipolatore, in mancanza di prede da aggredire, si arresta e anzi si ritorce quasi contro Tàr stessa. Sono questi i momenti che rappresentano le crepe di cui parlavo prima: le voci e i rumori si fanno più intensi, l’ambiente diventa più vulnerabile e il suo potere perde influenza. Una vulnerabilità che porta Tàr a subire gli effetti del suo stesso ego, logorato dalla costante perdita di potere e controllo;
- Todd Field ha detto che durante il decennio di produzione dello script ha sempre e solo avuto Cate Blanchett come protagonista, nessuna alternativa. Cate Blanchett ha definito il ruolo “difficile” e “molto rischioso”, per poi concludere con “Todd e Tàr mi hanno svuotata, sarà il mio ultimo lavoro, voglio smettere”. La performance di Cate Blanchett in questo ruolo che gli varrà l’Oscar raggunge livelli di immersione e di immedesimazione fuori dal comune che per molti versi mi ha ricordato il Joker di Joaquin Phoenix. Dall’energia nei pochi momenti di direzione dell’orchestra, al passare dall’inglese al tedesco in tutta naturalezza fino al distruttivo climax finale, Cate Blanchett lavora i meandri psicologici del suo personaggio e li esprime in una performance memorabile;
- Tracciando una linea a film finito, Tàr è uno scenario incredibilmente accurato e realistico (sono in tanti a chiedersi se sia un biopic o un’opera di fiction), in cui Cate Blanchett poteva rovinarsi o interpretare il ruolo della sua carriera. Fortunatamente l’impegno ha portato alla seconda scelta e ne esce un film per certi versi classico, distante dai tempi cinematografici moderni, rivolto a un target sicuramente più attento e paziente rispetto alla norma. È forse un film oggettivamente inattaccabile, perché ogni singola scelta è razionale e fatta con estrema attenzione, e la critica cadrebbe in puri giudizi soggettivi.
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