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4 min

- di Massimiliano Bogni

Considerazioni sparse su "Bill Russell: la leggenda dell'NBA"


Un giocatore e un uomo a cui la pallacanestro deve tutto: il documentario targato Netflix su Bill Russell è un must watch.


- Se Lebron James ha inciso indelebilmente il proprio nome nella storia col 6 sulle spalle deve ringraziare l'NBA, che gli concede in deroga di poter indossare ancora quel numero. Dal 2022, infatti, nessun nuovo giocatore potrà sceglierlo. Capita che le singole franchigie decidano di ritirare qualche canotta, in modo che nessuno possa solo pensare di raggiungere il livello di chi l'ha vestito nel passato. Mai, sino all'anno scorso, era intervenuta la lega: mai l'NBA aveva posto il veto, lasciando massima libertà alle varie squadre. Almeno sino a quando Bill Russell, all'età di 88 anni, è morto accanto alla moglie nell'ospedale di Mercer Island. Tempo 11 giorni e la National Basketball Association ha ordinato il ritiro del numero 6. L'ennesima volta, anche nella vita eterna, in cui Russell è il primo, il precursore, il creatore di nuove rotte e visioni. "Bill Russell: la leggenda dell'NBA", prodotto per Netflix da Larry Gordon, Ross Greenburg e Mike Richardson, rende degnamente onore a uno dei più grandi della Storia. Non la storia della pallacanestro: la Storia, con la S maiuscola, che riguarda l'umanità e la società intera;

- Aspettarsi qualcosa di diverso dalla regia di Sam Pollard è fuorviante: il direttore di MLK/FBI e Citizen Ashe e il produttore esecutivo, tra gli altri, di Twelve Disciples of Nelson Mandela, bilancia il racconto della figura di Russell fuori e dentro il campo da gioco. Si potrà non apprezzare la divisione in blocchi netti tra il susseguirsi dei successi cestistici e l'attivismo nel Massachusetts dei Sixties, tra gli 11 anelli al dito e le rivendicazioni razziali. Ciò che risulta, tuttavia, è un equilibrio doveroso. Sottolineare maggiormente l'aspetto puramente sportivo del più grande vincente che la pallacanestro statunitense abbia conosciuto finora avrebbe sminuito l'integrità e la statuarietà morale di Bill. Concentrarsi eccessivamente sulle lotte per l'uguaglianza di trattamento degli American Negroes ci avrebbe fatto dimenticare, anche solo per un attimo, di star parlando di uno dei (se non il) difensori più forti e influenti della storia del Gioco. Bill Russell è eterno per quello che ha fatto sul parquet anche grazie a quello che sapeva essere e comunicare prima e dopo le partite. E viceversa;

- Il rischio dei due episodi (1h33min il primo, 1h46min il secondo) usciti l'8 febbraio anche in Italia è che sfociassero nell'agiografia. Trattare la biografia di chi non vive più su questa Terra da appena sette mesi è pericoloso: se si edulcorano il pretendere un dollaro di stipendio in più rispetto al rivale Wilt Chamberlain o la convinzione di giocare per i Celtics e non per la razzista Boston non si concede diritto di replica al diretto interessato, macchiandolo eternamente e oscurando aspetti all'apparenza troppo rigidi. Pollard, però, restituisce il Bill Russell uomo dritto: per veicolare nell'eternità un messaggio eterno non sono ammissibili compromessi, dunque bisogna fare i conti e dipingere anche i caratteri più spigolosi e ottusi della propria anima. Ma Bill Russell è stato il primo a essere così: innamorato a tal punto della pallacanestro di rendersi conto di non portarle rispetto nel momento in cui "pensare di dover uccidere sportivamente gli avversari sul campo mi è sembrato ridicolo", il 6 dei Celtics ha segnato un'epoca senza aggiungere la minima retorica oltre lo stretto indispensabile. Antipatico? Può darsi, ma con la simpatia non si guadagna l'immortalità;

- "Se sono qui, se sono così, è grazie a lui". Lo dice Magic Johnson, lo dice Stephen Curry, lo dicono Chris Paul, Jayson Tatum, Jalen Rose e diversi altri mammasantissima intervistati durante il documentario. Nelle generazioni successive è maturata la consapevolezza che l'eredità etica e comportamentale di Russell è talmente grande da, paradossalmente, non essere celebrata abbastanza. Se ancora ai giorni nostri gli atleti afroamericani si battono supportando BLM, riscattando l'immagine di un'infanzia spesso travagliata, lo fanno per via del leader by example Bill Russell. Una citazione rende particolarmente l'idea: "non m'importa essere il primo o l'ultimo a fare una cosa, l'importante è il numero di persone che si sentiranno capaci di farla dopo di me". Non ritiene così eclatante far parte del primo quintetto completamente afroamericano della storia NBA (Celtics 1958-1959), non accetterebbe nemmeno simbolicamente di entrare a far parte della Hall of Fame se i criteri di selezione strizzano l'occhio quasi esclusivamente ai bianchi, non gradirebbe il Garden pieno per celebrare il ritiro per godere delle celebrazioni di facciata di un'America che, troppe volte, gli aveva voltato le spalle;

- Quale scopo deve avere "Bill Russell: la leggenda dell'NBA"? Aggiungere ulteriori dettagli alla maestria del lavoro a rimbalzo, delle stoppate e degli outlet pass di Russell? Celebrare ulteriormente l'imbattibilità nelle gare 7 e le vittorie negli scontri con Philadelphia e Los Angeles Lakers? Dare risalto alla ferrea volontà di non ergersi a icona vuota o vittima sacrificale nei dibattiti a stelle e strisce riguardanti i diritti civili? No. Su Russell la bibliografia è già ricchissima, e video dell'epoca sono impossibili da recuperare a meno di crearne di nuovi. Sam Pollard ha centrato il punto: il documentario parla di un uomo, un atleta, un politico dai valori universali, validi al suo tempo così come nel 2023. Sarebbe sufficiente lasciar parlare le interviste, i diari, le lettere di Bill stesso. Così fa il regista, affidando alla voce di Jeffrey Wright (Casino Royale, Hunger Games, Le Idi di marzo, The Batman) pensieri e dichiarazioni della vita di Russell, contenute nei quotidiani e nelle raccolte epistolari. Un leader, un winner. Al di là del risultato. Lunga vita a Bill Russell.

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Bergamasco dall'ultimo refolo del secolo scorso. Laureato in Lettere obtorto collo, lontano dall'essere inquadrato e istituzionalizzato. Attualmente anoressico e depresso, ma ci stiamo lavorando. Calcio, pallacanestro, tennis, ciclismo, chi più ne ha più ne metta: lo sport è evento, storia, emozione, comunicazione. Vita, in parole povere.

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