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call my agent
, , 3 Febbraio 2023

Considerazioni sparse su "Call My Agent - Italia"


Incredibile: in Italia può esistere della qualità anche quando si fanno i remake.


- Mettiamola così: le 6 puntate che compongono questa prima - e probabilmente non ultima - stagione della versione italiana della serie francese "Dix pour cent" sono inaspettatamente gradevoli e divertenti oltre ogni più ottimistica previsione. E, forse, queste considerazioni servono più a spiegare il perché le aspettative dello spettatore critico fossero basse che non a descrivere pienamente le motivazioni di tale giudizio positivo, per quanto, ovviamente, si proverà a discettare nella maniera più esaustiva possibile sugli e degli elementi che hanno contribuito alla formazione di questa positiva opinione;

- Nel nostro bel Paese la serialità è influenzata, in molti suoi aspetti, dal portato cinematografico del quale siamo - gioiosamente e fortunatamente - impregnati e quindi, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, la responsabilità registica delle varie tappe di una stessa storia sono solitamente affidate ad un numero esiguo - se non, come in questo caso, ad uno solo - di uomini al comando, favorendo, in tal modo, una coerenza visiva, filosofica ed energetica che in altri sistemi produttivi viene incarnata dalla figura dello show-runner;

- Luca Ribuoli, allora, già firma di feuilleton di grande successo popolare quali "Speravo de morì prima" e "La mafia uccide solo d'estate" riesce ad imprimere la sua tanto leggera quanto decisa mano anche in questa operazione nella quale - mi sento di affermarlo - molto si aveva da perdere e poco - pochissimo - da guadagnare. E invece, tra la bellezza della città eterna a fare - in qualità di sfondo - sempre la sua "porca" figura, la scorrevolezza delle scene ben scritte da Lisa Nur Sultan e Federico Baccomo e l'omaggio amorevole che in chiave simpatica una produzione televisiva fa a tutto il mondo dell'intrattenimento audiovisivo, si arriva ad un risultato che strappa numerosi sorrisi, qualche sogno di appartenere ad uno star system nostrano che in realtà non esiste e la speranza di ritrovare presto, sui nostri schermi, questo format che, sono certo, ha fatto compagnia a centinaia di migliaia di spettatori in queste prime settimane di messa in onda;

- Gli attori di Call My Agent - e in questo caso ci si riferisce a coloro i quali sono stati chiamati ad interpretare i personaggi di finzione, e quindi gli agenti di spettacolo, i loro assistenti più varie ed eventuali - costituiscono un ensemble perfettamente accordato. I toni della loro recitazione - altro evidente merito della regia, tra l'altro -, pur toccando svariati colori, rimangono sempre nel solco dell'immediatezza, non cedendo mai ad astrusi arzigogoli. Le semplici, ma non banali, situazioni, si poggiano sulla sveltezza di lingua e sull'agilità del corpo dei vari Michele Di Mauro, Sara Drago, Maurizio Lastrico e Marzia Ubaldi, oltre agli altrettanto bravi Sara Lazzaro, Francesco Russo, Paola Buratto e Paola Gioia Kaze Formisano, i quali abitano con estrema naturalezza il mondo fantastico della C.M.A - e vi invito a "risolvere" l'acronimo rifacendovi proprio al titolo della serie -, fantasiosa agenzia che cura gli interessi professionali e non di uomini e donne che a vario titolano costituiscono l'ossatura del fu magico mondo dello spettacolo. In questa versione tricolore di "Call MY agent" non si stona e non ci sono stecche e tale eufonia è forse il più gradito regalo a chi, deluso e costante osservatore, riconosce nell'odierna commedia italiana - seriale o no che essa sia - una scarsa armonizzazione tra gli elementi solitamente necessari a crearne una. E quindi "Hurrah";

- I sei episodi prendono il nome delle guest star che, di volta in volta, diventano il centro nevralgico del racconto. Veri attori e veri attrici, se non addirittura un regista Premio Oscar - Paolo Sorrentino -, che con grandissimo talento ed enorme simpatia - oltre, si suppone, coerenti compensi - prestano le loro lunghe e fortunate carriere al progetto, mettendosi in gioco, ironizzando sugli aspetti apparentemente più bizzarri delle professioni che esercitano e ridicolizzando i rischi reali di un mestiere che non mette al riparo da delusioni, ritocchi fisici, deliri di onnipotenza, impersonificazioni tossiche, shitstorm pronte ad invaderti da un momento all'altro e varie ed eventuali. Matilda De Angelis, Paolo Sorrentino, Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino e Anna Ferzetti, oltre a Paola Cortellesi e Corrado Guzzanti sono ottimi - veramente ottimi - nel fare quello che, forse, superficialmente, potrebbe essere considerato come il più semplice dei compiti per un interprete e ossia recitare sé stesso. Beh, in generale, niente di più sbagliato: è risaputo che mettere in scena in una modalità di meta narrazione la versione fittizia di un sé stesso reale può provocare cortocircuiti tecnici di difficile risoluzione e quasi miracoloso, dunque, appare il fatto che nessuno dei coinvolti sia caduta in una trappola tanto ostica quanto subdola. E addirittura nell'arco di questa prima stagione emergono pure autentiche perle che, tra un'esaltazione popolare e l'altra, rischiano di andare ad ingrossare il fascicolo delle scene "larger than life" che finiranno, molto probabilmente, dritte dritte nel file della cosiddetta memoria collettiva. E se il monologo che nell'arco della seconda puntata Paolo Sorrentino dedica ai genitori degli alunni delle scuole dell'obbligo (palesando, ad ogni modo, la differenza esistente tra un attore con un seppur straordinario uomo di cinema) è di assoluta simpatia, veramente al di sopra di ogni altra performance fornita all'interno della serie è la prova della quale ci omaggia il Picchio nazionale - Pierfrancesco Favino - nel corso della puntata che lo vede protagonista. Performance tra le migliori che si ricordi di avergli visto prestare, nonostante l'elevatissimo tenore di tutta quanta la sua parabola artistica;

- In sostanza, per concludere, con "Call My agent" c'è da divertirsi e da godere, contenti finalmente di una trasposizione di successo che partendo da un assunto apprezzato in tutto il mondo è stato in grado di mantenere elevato il piacere di visione e la qualità, dimostrando che la prima non si ottiene sacrificando la seconda e che la seconda, checché se ne possa beceramente pensare, non è raggiungibile solo calpestando la semplicità e la fruibilità. Anzi. E allora, buon divertimento. Si è ragionevolmente certi che ne avrete.

  • Mi diplomo al Centro Internazionale “La Cometa”, dopo un intenso triennio di studi, nell’ottobre del 2016, aggiudicandomi la patente dell’attore, del “ma che lavoro fai? “e di appartenente al gruppo “dei nostri amici artisti che ci fanno tanto ridere e divertire” (cit.). Appassionato di sport, ottimo tennista da divano, calciatore con discrete potenzialità in età pre puberale, se non addirittura adolescenziale, mi appassiono anche al basket Nba e alla Spurs Culture. Discepolo non riconosciuto di Federico Buffa, critico in erba, ingurgitatore di calorie senza paura, credo che il monologo di Freccia nel film di Ligabue sia bello, ma che Shakespeare ha scritto di meglio. Molto meglio. Mi propongo di unire i tanti puntini della mia vita sperando che alla fine ne esca fuori qualcosa di armonioso. Per me e gli altri.

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