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Antonio Conte a bordocampo durante la sfida tra Tottenham e Fulham (Foto: Warren Little/Getty Images)
, 31 Gennaio 2023

Conte è l'uomo giusto per il Tottenham?


Dopo una stagione e mezza, gli Spurs non hanno ancora un'identità.

Se c’è una cosa difficile da giudicare in questo momento di Premier League è la stagione del Tottenham di Antonio Conte. È difficile dire se stia davvero deludendo o se qualcuno si era lasciato prendere la mano nel definirli favoriti alla corsa per il titolo assieme al Livepool e al Manchester City. È difficile capire se sia la rosa non all’altezza, se sul mercato non sia stato fatto abbastanza, se e quanto gli infortuni abbiano inciso e se e quanto Conte stia lavorando positivamente per esprimere appieno il potenziale a disposizione.

Se guardiamo le cose dal punto di vista delle ambizioni degli Spurs, ossia una qualificazione in Champions, il quinto posto in classifica con 3 punti di distacco dalla coppia Newcastle-Manchester United – che hanno una partita in meno – è un risultato accettabile. Eppure, tanto tra gli addetti ai lavori quanto nell’ambiente intorno alla squadra, trapela un certo pessimismo. Del resto si dice che nessuno odi il Tottenham quanto i propri tifosi.

La sfiducia intorno alla gestione della squadra dopo l'addio di Pochettino nel 2019 è evidente ed espressa in ogni partita casalinga, con cori e fischi nei confronti del proprietario Daniel Levy. Il suo lavoro per portare il club nell’élite del calcio europeo, tramite lo stadio nuovo e l’assunzione di due degli allenatori più vincenti in circolazione, sembra già entrato nel dimenticatoio. Forse non gli sarà mai neanche perdonato il suo ruolo nel tentato golpe della Superlega. Non c’è solo un cattivo rapporto con il board, ma anche con le prestazioni della squadra. Una rabbia per essersi illusi dopo che il ruolino di marcia con Conte, che aveva portato al quarto posto della scorsa stagione, aveva alzato l’entusiasmo.

Le prestazioni del Tottenham non sono affatto convincenti. In questa stagione gli Spurs hanno perso 7 partite e concesso 31 reti. Troppe se si pensa che Everton e West Ham, che galleggiano sulla zona retrocessione, ne hanno concessi meno. In particolare, il Tottenham non ha ancora vinto uno scontro diretto contro le principali rivali in classifica, trovando un solo punto, ottenuto per il rotto della cuffia, contro il Chelsea a inizio stagione.

Uno dei problemi principali degli Spurs è l’atteggiamento che il 3-4-2-1 di Conte mostra in campo. Spesso si vede un approccio molto prudente nei primi tempi. La squadra, in genere, si dispone senza palla con un 5-2-2-1 molto basso e passivo che mira a sfruttare le risalite veloci grazie alla visione da quarterback di Kane e alla micidiale forza in campo aperto di Son e Kulusevski.

Quest’anno, però, gli avversari sembrano aver capito i pattern di gioco di Conte: evitano di alzare troppo la pressione sulla classica circolazione bassa, depotenziando le verticalizzazioni rapide per Son e Kane. In possesso il Tottenham non riesce a muovere il pallone con la decisione e velocità che si erano viste nella scorsa stagione, quando i meccanismi dell’allenatore salentino si erano innestati molto in fretta. Per questo gli Spurs sono diventati molto prevedibili e facili da disinnescare per chiunque, che si chiami Aston Villa o Manchester City. Un problema, questo, che si è iniziato a intravedere da novembre, quando il Tottenham ha cominciato la sua flessione di risultati dopo un inizio convincente.

Se gli infortuni che hanno tenuto fuori Richarlison e Kulusevski avevano apparentemente circoscritto il problema, il ritorno dal Mondiale ha mostrato come questi non fossero la principale causa dei problemi della squadra. In questa stagione, infatti, il Tottenham ha mostrato una tendenza preoccupante a concedere il primo gol della partita. Prima del 4-0 contro il Palace del 4 gennaio, la squadra di Conte era andata in svantaggio per dieci partite consecutive. Allo stesso tempo gli Spurs si sono mostrati dei maestri nel recuperare le gare, ottenendo ben 14 punti partendo da situazioni di svantaggio. Si può definire il Tottenham una “squadra da secondo tempo” che, tuttavia, fa un'enorme fatica a costruire chiare occasioni da gol su azione, e che si affida spesso alla sua pericolosità sui calci piazzati, portata in dote dalla presenza di Gianni Vio nello staff.

Poi ovviamente ci sono gli errori individuali, pagati con dei conti salatissimi. Lloris ha già commesso tre errori gravi dall’inizio del 2023, tra cui spicca l’autogol nel North London Derby che ha mostrato tutto la sua recente goffaggine. Lui è uno di quei giocatori che Conte non metterà mai in discussione ma il suo stato di forma, che peggiora stagione dopo stagione, comincia ad essere un problema.

Agli errori di Lloris si aggiungono molti altri errori individuali: quelli di Eric Dier contro Liverpool e Brentford, di Perisic contro il City o di Romero nella gara di andata contro l’Arsenal. Poi ci sono stati gli infortuni di Bentancur e Kulusevski, giocatori troppo importanti per il gioco della squadra e le cui assenze hanno mostrato quanto sia poco profondo l’organico del Tottenham nonostante 6 innesti estivi.

E poi c’è Son, che sta disputando una delle stagioni più difficili della sua carriera. Il coreano sta faticando a segnare – 6 gol stagionali, di cui 3 in una sola partita – e creare occasioni, forse anche sovrastato dalle aspettative. Gli infortuni ai compagni di squadra lo hanno portato a giocare fino a consumarsi e la fatica a trovare il gol lo sta innervosendo al punto da sbagliare le giocate più semplici. Per riconfermarsi al quarto posto, gli Spurs hanno bisogno del miglior Son: è necessario che lui tiri un po’ il fiato, che sia messo nelle condizioni migliori per sfruttare le sue qualità e che si senta importante per la squadra.

In questa stagione, Conte non è mai uscito dalla sua comfort zone tattica nemmeno quando sono mancati giocatori fondamentali come Kulusevski o Bentancur. In quei casi ha preferito scegliere soluzioni temporanee senza però riuscire ad adattare il sistema. Ha, inoltre, mostrato poca fiducia nella rosa, dando poco spazio a Sarr e Bryan Gil, i giovani più talentuosi in organico, nonostante i numerosi infortuni. Per di più nonostante le prestazioni per nulla soddisfacenti di Emerson Royal, ha sostanzialmente ignorato Djed Spence – che, parole sue, era un acquisto del club e non suo. Si può dire che Conte non voglia attingere all'interezza della rosa, e che pretenda piuttosto investimenti sul mercato come quelli fatti per Danjuma e Pedro Porro.

Questa situazione ha messo, almeno in parte, in discussione il lavoro di Conte. La povertà di spunti tattici diversi dallo standard è un grosso difetto dell’allenatore salentino. Nei primi due mesi, quando il Tottenham viaggiava a vele spiegate, ci si rendeva conto di questi problemi ma non di quanto fossero impattanti. Senza Kulusevski il Tottenham ha mancato di imprevedibilità offensiva, evidenziando come quel ruolo manchi di alternative adeguate. Rifugiarsi nel mercato non può essere l’unica soluzione, e va ricordato che Conte ha scartato quasi subito Lo Celso, un giocatore che sarebbe stato molto utile in questo inizio di stagione.

Quindi, come sta il Tottenham di Antonio Conte? In generale sta molto meglio con l’allenatore italiano in panchina che senza. Tuttavia, il gioco meccanico e poco propositivo non sembra rispecchiare le sue idee e mostra evidenti lacune nel momento in cui bisogna fare a meno di alcuni degli ingranaggi principali. Se questi cominciano a incepparsi la macchina si ingolfa catastroficamente.

Per di più c’è la questione del contratto in scadenza, che rischia di essere una spada di Damocle per il club. Levy sembrava disposto a rinnovare Conte a qualunque costo, ma le prestazioni di gennaio hanno scatenato rumors su un interessamento di Thomas Tuchel ad allenare gli Spurs. Un avvicendamento molto ironico visto che i due allenatori stavano per venire alle mani nel loro ultimo confronto.

Ma in effetti, se Conte non ha mai dato garanzie di voler rinnovare, se continua a difendere il suo lavoro nelle interviste anche dopo prestazioni molto negative come contro il City, se pungola continuamente il club invitandolo a investire di più sul mercato, quanta voglia potrà avere Levy di investire nel suo progetto? Soprattutto con il dubbio che possa abbandonare a stagione finita anche con una qualificazione di Champions in tasca. I suoi precedenti con Inter e Chelsea parlano chiaro.

Il Tottenham dopo Pochettino ha puntato su due allenatori dal DNA vincente per diventare anch’esso vincente. Ma sia Mourinho che Conte si sono posti come due personalità più grandi del club stesso. Entrambi hanno chiesto costantemente a giocatori e club di adeguarsi al loro metodo, prendendo poco spunto da cosa ha reso il Tottenham una delle squadre più divertenti nella seconda parte degli anni ’10. Antonio Conte ha risposto alle aspettative del club in maniera perentoria, sbattendo in faccia al mondo del calcio che il suo lavoro è efficace anche con una squadra senza un DNA vincente come gli Spurs. Ma allo stesso tempo potrebbe non bastare del tutto.

Il suo solito gioco funziona ma non abbastanza per fare del Tottenham un club vincente, quantomeno non da subito. Lui predica pazienza, dice che ci vogliono almeno 2-3 anni per competere alla vittoria del campionato ma già un FA Cup in questa stagione sarebbe un tassello importante per questa storia, poiché darebbe un trofeo disperatamente agognato dai tifosi.

La squadra e il club vogliono remare sotto i suoi comandi. Ma anche lui, ora che il suo stile di gioco è diventato riconoscibile e facilmente disinnescabile, quantomeno in Premier League, deve fare lo sforzo di rimettersi un minimo in gioco, rischiare qualcosa di più e non abbandonare il timone come ha già fatto in carriera. Antonio intanto si “gode ogni singolo momento di questa esperienza” agli Spurs, che ha descritto come un "club modello” in un'intervista in cui ha parlato del suo lavoro come di un “processo appena iniziato”. La sua professionalità e ambizione non mettono dubbi sul fatto che voglia dare al Tottenham il suo volto da vincente. C’è però ancora un po’ di lavoro da fare.


  • Classe ’91, è nato a Milano e cresciuto a Torino. È il tipo di persona affascinato da tante cose culturali, forse troppe e guarda caso non sa mai scegliere la preferita. Ama sparire e riapparire tra le luci stroboscopiche e i suoni elettronici dei club. Si crogiola nel ridere e far ridere agli spettacoli di stand up, e resta sempre sorpreso dell’emozione che può regalare un uomo che calcia un pallone. Scrive di sport su Ultimo Uomo, Sportellate e qua e là. Conduce un podcast sul calcio inglese, Britannia. Scrive anche di musica, cinema e tanto altro. Collabora con Seeyousound International Film Festival.

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