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, 8 Gennaio 2023

Il Villarreal suscita disagio


Villarreal-Real Madrid non è stata la partita per chi ama il pallone. Oppure sì, e lo avrà apprezzato ancora di più.


Esiste qualcosa di più fastidioso e deludente di una melodia tronca? Note e pause che si interrompono sul più bello, quando sarebbe bastato un solo suono a completare armonicamente lo spartito. Si rimane con l’amaro in bocca, col colpo in canna, con l’urlo di gioia strozzato in gola. Questa sensazione si può odiare, rifiutare o amare a seconda del livello di cinismo e disillusione che nutrono l’animo individuale. Un’orchestra di stonature sincopate, che stride, gracchia e stecca ma è pur sempre un’orchestra. Guardare il Villarreal di Quique Setién è un esercizio necessario, doveroso nel senso più masochistico del termine. Chiedere, per ultima e ulteriore conferma, al Real Madrid di Carlo Ancelotti.

Il primo flamenco del 2023 del Villarreal è l’occasione più adatta per inaugurare il nuovo palcoscenico. Il vecchio Madrigal si è trasformato nel nuovo Estadio de la Ceramica, 50 milioni di lavori di ammodernamento compresi. Già è difficile associare a un pallone che rotola su un prato verde un materiale asettico e asciutto come quello che si usa per i sanitari, ma casomai si provasse a passare oltre è la scritta PORCELANOSA, campeggiando lungo tutta la tribuna a favore di telecamera, ad acuire il senso di disagio che si prova ad ammirare l’asimmetria della copertura delle due gradinate laterali. Il gruppo dei Villarreal Fans (nome inglese per un gruppo organizzato spagnolo) confinato nei pressi del corner, a formare un triangolo sconnesso con i vicini di posto seduti composti sui seggiolini gialli e blu. Mettiamoci pure un pomeriggio di inizio gennaio, momento al limite tra le corse per finire i compiti delle vacanze natalizie e l’affannoso respiro degli ultimi refoli di distacco dalle banali abitudini, e uno stadio costruito grazie a delle piastrelle pieno di bambini, donne e vecchi sostenitori di undici giocatori soprannominati come una canzone dei Beatles.

Di fronte al Real Madrid, entità ancor prima che squadra imbevuta di magia, spettacolarità e mistica, il Submarino Amarillo pare costruito in laboratorio per anestetizzare qualsiasi narrativa si possa generare da una partita di pallone. Per la prima volta nella storia i blancos non schierano dal 1’ nemmeno un esponente della cantera, mentre è l’ex Real Albiol a capitanare i padroni di casa: primo affronto di un destino beffardo.

La squadra del neoarrivato Quique Setién è fastidiosa solo alla lettura dei titolari. Pilastri difensivi sono Reina e appunto Albiol, carneadi partenopei. A completare il reparto arretrato un avanzo del Liverpool peggiore degli ultimi dieci anni, un terzino bloccato col numero 8 sulla schiena e un centrale mancino troppo lento per il calcio moderno. A centrocampo i movimenti d’anca, le pantomime e le esagerazioni dell’altro reietto madridista Dani Parejo, quel Coquelin che si era lasciato mediano sostituto dei Gunners e il canterano Baena. Andare avanti non renderebbe onore a nessuno, Pino-Moreno-Chukwueze compresi.

Soto Grado fischia l’inizio e incomincia la composizione rapsodica del Villarreal. Pressione soffocante alternata a difesa posizionale sulla propria trequarti, scambi nello stretto a un tocco che fanno a turno con sterile possesso palla tra i centrali difensivi. Talmente impalpabile e scombussolato da mandare fuori giri i madridisti. Meno di dieci minuti e il Villarreal ha già colpito un palo con un colpo di tacco col piede debole di Coquelin. Poco più avanti è il 2002 Pino a tentare di superare con uno scavetto quel gigante di Courtois in uscita, sprecando una ghiotta occasione.

L’undici di Setién frastorna, squassa, lenisce. Vini calcia addosso a Reina l’unica folata offensiva del primo tempo del Madrid, dove anche gli esterni di Modric sembrano più un tentativo di liberarsi il prima possibile della palla piuttosto che una pennellata d’artista. Una prima frazione costellata di errori e idiosincrasie si conclude 0-0: quanto di più antiestetico delle reti bianche? Le reti arrivano nel secondo tempo. Come? Brutte, oggettivamente.

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Errore marchiano in uscita di Mendy, Moreno allarga per Pino, destro doppiamente deviato dai madridisti e lattina stappata dopo un paio di giri d’orologio. Poi due rigori, entrambi per falli di mano, uno più goffo e malinconico dell’altro. La sfera fa lo smalto alle unghie di Foyth per il momentaneo pareggio di Benzema, Alaba inciampa e intercetta in caduta con la mano per il nuovo vantaggio siglato dal dischetto da Gerard Moreno. I cambi di Ancelotti non sortiscono effetto: i blancos non si approcciano nel migliore dei modi alla Supercoppa in terra araba. Ma come avrebbero potuto, in un pomeriggio dal pallido sole valencianista? Come, contro una squadra che storpia il nome della città di appartenenza? Come, se un centravanti soprannominato Comandante subentra a un ventenne a dieci minuti dal fischio finale? Il Villarreal di Vila-Real è icona sfasata del calcio contemporaneo: giocatori dall’atletismo lasciato nella culla o abbandonato da tempo, privi dei fisici scultorei del calciatore iperspecializzato del ventunesimo secolo, mai realmente accattivanti né esaltanti. Eppure vincono.

Macché vincono. Dominano la capolista della Liga. Dettano il ritmo con una melodia costantemente un’ottava sopra o un’ottava sotto, dove è sufficiente un mezzo tempo di Parejo o un movimento senza palla di Gerard a disordinare i riferimenti della difesa di Ancelotti. Il Real pare insofferente dal fare quelle cose che una squadra di calcio dovrebbe fare ma che o costano troppa fatica o, semplicemente, sono brutte da vedere. Manca gli appoggi più semplici, non mantiene equilibri e distanze, non accelera né scala marce. Come potrebbe farlo, d’altronde, se davanti si trova una squadra non che sfugge dal tuo pressing ma, assecondandolo, ti si strofina contro fino a farti scartare l’ipotesi di fare lo sforzo decisivo? Il Villarreal inibisce e acceca, facendo credere di assistere a qualcosa di più armonico e razionale di quel che cela. Albiol ringiovanisce e si immola, Foyth ha le gambe lunghe quanto tutto Vinicius ma non si fa quasi mai saltare e, quando lo fa, interrompe il flusso artistico con la massima rudezza; Parejo e Moreno dominano sostanzialmente da fermi, ordinando i compagni col semplice sguardo; Pino e Chukwueze dovrebbero teoricamente essere i velocisti ma, più che staccare con lo scatto, rallentano l’intervento dei terzini madridisti, non sgusciano ma si scansano sgraziatamente; Baena, unico bagliore e scintilla pura, è destinato a vedere ogni sua conclusione smorzata, smangiucchiata, sbucciata. Come se mancasse uno per fare trentuno, o si fosse già fatto trentadue.

Eppure hanno vinto. Dominato. Benzema irretito da Albiol, la telecronaca di ESPN che invoca un “Parecía Diego Armando Pedraza” dopo una sgroppata di settanta metri palla al piede priva di dribbling che avrà fatto rivoltare D10S nella tomba. 8 minuti di epilogo, con l’ultima aria a suonare da commiato. Calcio d’angolo della disperazione madrileña, tutti in avanti. È uno schema. Asensio è solo sui venti metri, dimenticato dal terrorizzato e rintanato Villarreal. La palla arriva precisa sul mancino. Incespica sul pallone. Ripartenza tre contro uno, porta sguarnita, Courtois troppo pesante per recuperare Danjuma in velocità. Tira. Tira. Adesso tira. Un destro fiacco di piatto. A lato, a porta vuota. Sguardo sconsolato al triplice fischio. Essere tristi al momento finale di un’impresa. Ossimoro o antitesi? No. Degna conclusione dell’anti spettacolo della Ceramica.

  • (Bergamo, 1999) "Certe conquiste dell'anima sarebbero impossibili senza la malattia. La malattia è pazzia. Ti fa tirare fuori sentimenti e verità che la salute, che è ordinata e borghese, tiene lontani."

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