G.O.A.T.: Giustificabili Opinioni, Anche Troppe
Ha senso legittimare il dibattito sul G.O.A.T dopo questa vittoria dell'Argentina? Perché classificare piuttosto che, semplicemente, godere?
Legalmente parlando, dobbiamo alla gentile concessione dell'autoproclamato detentore del titolo onorifico la licenza di poter utilizzare uno degli acronimi più inflazionati degli ultimi giorni. L'11 aprile 2006 Muhammad Ali intasca 50 milioni di dollari in cambio della concessione dell'80% delle quote della società creata dalla moglie Yolanda e la possibilità di sdoganare il termine che, da quel momento in poi, diviene parte del vocabolario sportivo comune senza timori di incorrere in penali o querele. Cassius Marcellus Clay Jr. ha avuto l'autorità, l'autorevolezza di mostrarsi e parlare di sè come Greatest Of All Time. G.O.A.T. Lui per primo, lui solo.
Il XXI secolo, grazie anche alla hit di LL Cool J, è da sempre caratterizzato dalla ricerca del più grande di sempre, il migliore, in ogni ambito sportivo. Originariamente legato agli sport americani, il dibattito non poteva che contagiare anche il mondo del calcio. Come gran parte della cultura contemporanea, che ci piaccia o no, siamo permeati dal costume made in USA. Nessuno sta impedendo di ereditare o acquisire caratteri provenienti da mentalità lontanissime dalla nostra, sia chiaro. Ma, come nella peggiore tradizione italiota, stiamo mutuandone gli aspetti peggiori. Programmi televisivi, discriminazioni sociali, competitività morbosa in ogni aspetto del quotidiano. Dulcis in fundo, per non farci mancare nulla, l'insistenza su determinati temi sino al raggiungimento della tossicità.
Il dibattito ha origini nell'antica Grecia, ma mai come nel Nord America ha trovato linfa vitale e terreno fertile. Nella patria di Shapley e Curtis, di "The Great Debaters" e dei faccia a faccia elettorali, l'individuare ed eleggere a tutti i costi la miglior espressione tra quelle offerte dalla Storia è sequenza base del DNA. Il calcio e lo sport, tuttavia, sono un mondo a parte. Per noi tifosi e appassionati dovrebbe sempre rimanere la cosa più importante delle cose meno importanti. E allora perché ci stiamo ostinando a incancrenire pensieri e visioni personali, con l'ambizione e l'arroganza di imporre un criterio soggettivo come il gusto personale al pari di oggettività assoluta?
Da quando un parere estetico è diventato assioma inderogabile? Da quando anche il connotare non si discosta più dal denotare?
La piena realizzazione del talento donato da Madre Natura abbinato a un carisma scoperto e modellato nei decenni. Il sacrificio e l'ossessione nell'allenamento e nel lavoro quotidiano, elevando ad arte la ripetizione meccanica del gesto e la spietatezza nel pretendere dall'ambiente circostante la stessa applicazione. Il trascendere il terreno di gioco per abbracciare rivendicazioni politiche e sociali, il trasportare in campo il sentimento di popoli e comunità. La capacità di elevare il rendimento dei propri compagni d'avventura grazie alle doti tecniche o a quelle carismatiche. Il contribuire alla vittoria di campionati e tornei in anni diversi, contesti diversi, ruoli diversi. La sublimazione dell'estetica del corpo, la creazione di poesia in movimento con degli scarpini allacciati ai piedi.
Ha senso mettere una di queste componenti al di sopra delle altre? Ovviamente sì. Ognuno è libero di farlo. Anzi, se nutre la volontà di sviluppare senso critico e ampliare il bagaglio culturale è in un certo senso chiamato a farlo, mettendo perennemente in discussione i parametri sino al momento adottati. Tutti sono autorizzati a stilare graduatorie, liste, elenchi di ogni sorta. Quando però il fiume esonda e gli argini non contengono più il flusso, sono le case e i campi sulle rive a subire i danni peggiori.
A è migliore di B? C merita più di D? E è più forte di F? Finché ci si trova davanti a una birra al pub è lecito. Accompagna l'ebbrezza. Ma quando si trasforma in ubriacatura, tutto perde di valore. Messi, Maradona, Cristiano Ronaldo, Pelè, Ronaldo Nazario, Cruijff, Zidane, Baggio. Infiniti altri. Ognuno ha il diritto di avere il suo G.O.A.T. Ma suo deve rimanere: può condividerlo con altri, pochissimi o moltissimi che siano, ma non ordinare che la propria concezione sia arbitrariamente l'unica accettabile, inderogabilmente inoppugnabile.
No, non è così. E ben venga che non sia così. La paura, però, è che il confine si sia già superato. Non è forse "No, non ho rimpianti se ripenso alla mia carriera..." la frase più triste e avvilente delle dichiarazioni di atleti ormai ritirati?
Sono diversi i disturbi o i deficit che possono colpire la memoria dell'uomo. Rimozione, ricordi schermo, immagini eiditiche, paramnesia. Il G.O.A.T. Debate assume contorni ai limiti del patologico, mancando in pieno il focus della discussione: appartenendo a epoche storiche, generazioni, mondi e contesti diversi, noi siamo portati a idealizzare l'infanzia o i momenti più felici della nostra esistenza, le figure a essi legati, oscurandone invece quelli che o non abbiamo toccato con mano o demonizziamo per chissà quale motivo. Perché chi è nato con Ronaldo e Messi non è cresciuto con Maradona e Cruijff, chi ha iniziato a seguire il calcio con Pelè e Best sentiva i racconti leggendari di Puskás e Di Stefano. Quando racconteremo ai nostri figlie e figli di Mbappé e Haaland loro si riferiranno a un classe 2024 del Burkina Faso o un 2027 di Novara. Costa fatica trattenersi e accettare lo scorrere del tempo e l'evoluzione del calcio, ma è uno sforzo collettivo da compiere.
Davvero Lionel Andrés Messi Cuccittini doveva conquistare Qatar 2022 per consacrare la carriera? Se avesse vinto la Francia, per colpa di una sua palla persa all'82', sarebbe cambiato qualcosa? Lo avremmo considerato diversamente rispetto a quello che è? Siamo arrivati al punto in cui Messi ha dovuto vincere per metterci a tacere piuttosto che per la gratificazione personale, ha dovuto invocare El Pibe de Oro per poter uscire dall'ombra che abbiamo contribuito a dipingergli attorno.
Riteniamoci privilegiati e baciati dalla Fortuna. Fossimo nati un paio di secoli fa questa meraviglia non sarebbe ancora inventata per allietarci e distrarci dai drammi della nostra vita. Invece stiamo finendo per arrovellarci e a generare malignità, farci venire il sangue amaro perché secondo uno contano di più i gol, secondo l'altro i trofei, secondo l'altro ancora l'influenza sul gioco durante e dopo la carriera. Non dovremmo tutti empatizzare con chi è riuscito a chiudere il proprio Cerchio?
Lasciamoci liberi di sognare, concediamoci questo minuscolo angolo di spensieratezza. Affinché l'ossessione non trasformi il sogno in un incubo.
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