L'Odissea di Enner Valencia
Al Mondiale in Qatar il capitano dell'Ecuador sta chiudendo un cerchio.
Le condotte criminali intorno al mondiale in Qatar sono note a tutti. Sportellate ha deciso che così come non ha mai rinunciato a raccontare questi aspetti oscuri, allo stesso modo fornirà anche il racconto sportivo di quanto accadrà sul campo. È un modo per offrire un'informazione completa a 360°. Abbiamo approfondito le ragioni della nostra scelta in questo post.
Eroe mondiale
Tutto quello che succede nei Mondiali viene caricato di simbolismo. Non c'è una parata che da riflesso eccezionale del portiere (chissà perché capita sempre al Memo Ochoa) non si trasformi in un atto miracoloso, né gol che non nasconda nelle sue radici un intervento divino.
Nel contesto più nazionalista possibile prestato allo sport, quello in cui le sfide tra nazionali diventano nient'altro che metafore delle guerre, ipotetiche o reali che siano, i calciatori finiscono per diventare eroi o traditori della patria, pezzi che i tifosi muovono idealisticamente su una scacchiera di irrazionalità. Lo sport sacrificato sull'altare della narrazione epica, in cui le squadre di calcio smettono di essere squadre di calcio e si trasformano nell'immagine che il paese ha di sé.
Quando l'hanno chiesto a Gustavo Alfaro, CT dell'Ecuador, lui ha risposto: «Neanche il fuoco può fermarlo». E tranquilli, non parlava di un nuovo personaggio che vi siete persi tra i multiversi della Marvel, ma del suo capitano: Enner Valencia. Per i tifosi della Tricolor, Valencia era un idolo già prima di Qatar 2022, ma è innegabile che i tre gol nelle prime due partite (che lo rendono il capocannoniere del Mondiale) hanno rafforzato la visione patriottica, la stessa per cui gli ecuadoriani lo chiamano Superman.
A 33 anni, la storia di Enner Valencia era rimasta quella di un attaccante sudamericano dal talento ondivago. Una leggenda continentale, capace di segnare più di cento gol tra Ecuador e Messico, intervallati però da una mediocre esperienza europea, dove in tre anni aveva segnato undici gol in Premier League.
Nel racconto L'indegno, Jorge Luis Borges (o il suo alter ego, o il protagonista senza nome) scriveva a proposito di un gangster tradito: «I giornali, naturalmente, lo trasformarono nell'eroe che forse non era mai stato e che io avevo sognato».
Chi ha sognato un eroe del Mondiale come Enner Valencia?
Valencia aveva trovato il gol già al secondo minuto della partita contro il Qatar. Un colpo di testa da numero nove classico, colpito nell'area piccola per deviare in porta la sforbiciata di Torres. Il numero tredici dell'Ecuador aveva esultato allungando le mani in avanti come per dire: calma, è solo l'inizio. E in effetti, anche se quel gol è stato annullato per fuorigioco dal VAR, dodici minuti dopo è stato ancora lui a ricevere un filtrante di Estupinian dalla trequarti. Con la furbizia che i tifosi pretendono dai centravanti, Valencia aveva toccato il pallone docilmente, quel tanto che bastava per evitare l'uscita del portiere e conquistarsi il rigore.
Enner Valencia - Set Fire To The Rain @EnnerValencia14 pic.twitter.com/RszreakB7Q
— lewisbahce🇧🇷 (@lewisbahce) November 25, 2022
La compostezza con cui lo ha calciato, sbloccando il risultato con una rincorsa lentissima e trascinata, è stato il primo momento in cui i gruppi Whatsapp sono esplosi con frasi tipo: «Ma è quel Valencia? Quello veloce del West Ham? Ah ma non s'era ritirato?». Sarà perché è stato il primo gol del Mondiale in Qatar, o forse perché calciato con una atarassia quasi assurda, è impossibile non vedere qualcosa di epico nel rigore di Valencia: per quanto sia un attaccante generatore di caos, e non di certo uno di quei bomber tranquilli, in quel momento sembrava tutto sotto il controllo di Valencia.
Una nazionale in rampa di lancio
L'Ecuador è una nazionale "giovanissima" per certi palcoscenici. Si è qualificata ai Mondiali di calcio per la prima volta nel 2002, e ha raggiunto gli Ottavi di finale una sola volta, nel 2006. Se ci aggiungete che è l'unica selezione, insieme al Venezuela, a non aver mai vinto la Copa America, il quadro è chiaro: Enner Valencia come un predicatore nel deserto, il centravanti talentuoso e individualista attraverso cui passano tutte le speranze di effimera gloria. Valencia ha segnato sei gol al Mondiale, che poi sono anche tutti gli ultimi sei gol dell'Ecuador al Mondiale.
Nello schema fluido costruito da Alfaro, Valencia ricopre spesso il ruolo di seconda punta o attaccante esterno (a seconda che il CT si affidi al 4-4-2 o al 3-4-3) e i suoi compiti riguardano principalmente la profondità. Enner Valencia è un attaccante rapido, che trova il suo habitat naturale in area di rigore: non è altissimo (178 cm x 74 kg) ma la sua elevazione è irreale. Quando stacca sembra sospeso su una nuvola che lo separa dal terreno dove i difensori rimangono ancorati.
La manovra dell'Ecuador, in cui mai come quest'anno coesistono giovani talenti sul punto di prendersi la ribalta del calcio europeo (Caicedo, Estupiniain, Plata), si basa su un sistema estremamente verticale, e Valencia è la chiave per aprire le difese avversarie. La sua velocità in campo aperto si unisce a uno stile di gioco furbo, che gli consente – quando l'Ecuador si difende basso – di fare reparto da solo. Contro l'Olanda ha dovuto battagliare isolato contro van Dijk e Timber per guidare le transizioni del Trì. Valencia è stato meno dominante, e ha sofferto la sicurezza in campo aperto di Timber, ma alla fine ha comunque segnato il tap-in decisivo per l'1-1.
In questo ricambio generazionale, Enner Valencia è uno degli ultimi senatori e sembra accudire i compagni come farebbe un fratello maggiore. Li carica, li chiama uno ad uno, li ammonisce: tutto nell'Ecuador passa per i piedi e la voce di Valencia.
Come in molte storie ambientate in Sudamerica dove realtà e finzione si fondono, la memoria può essere riscritta o inventata. Assomiglia a un'opera di storicizzazione forzata, eppure è effettivamente successo. Il sogno allucinato in cui Enner Valencia è uno degli attaccanti più prolifici dei Mondiali è cominciato in realtà otto anni fa, a Brasile 2014. Anche allora Valencia segnò tre gol nella fase a gironi, ma l'Ecuador venne eliminato. Superman, soprannome che gli è stato coniato per l'altezza che raggiunge in elevazione, segnò un gol all'esordio contro la Svizzera e poi una doppietta all'Honduras.
Tutti gol che sciorinano il suo repertorio: il primo e il terzo gol li segna di testa, in torsione, mentre è girato di spalle alla porta mirando l'angolo lontano. Il secondo, uno di quelli all'Honduras, lo segna invece sbucando alle spalle del terzino, su un tiro deviato verso il secondo palo, una spaccata maliziosa che avrebbero potuto fare Klose o Inzaghi. Un movimento riconducibile cioè a una sagacia del gol che ha dell'innaturale; Valencia vede quel gol su una palla sporca prima dei tifosi, ma anche prima dei difensori e del portiere. È il fiuto del gol la prima dote che associamo ai grandi attaccanti, no?
Odissea
È difficile capire a quale realtà dobbiamo credere. A quella che ci dice che Valencia ha provato ad atterrare nel migliore campionato europeo senza però lasciare le orme del suo passaggio? O dobbiamo credere alla mistica mondiale, secondo cui Valencia è uno di quegli attaccanti-simbolo che vediamo sempre meno, un totem che si sporca le mani entrando con vigore su ogni contrasto, come se avesse una missione da compiere? In altre epoche avremmo visto il suo volto stampato sui sucre, come i presidenti della repubblica e gli eroi nazionali dell'Ecuador.
Magari lo avrebbero ritratto nel momento in cui segna il secondo gol al Qatar di quest'anno. L'effigie di Enner Valencia che, dopo il cross arcuato di Preciado, si stacca dalla marcatura facendo qualche passo all'indietro e con una torsione del collo brutale inchioda il pallone nell'angolo basso alla sinistra del portiere. Dopo il gol Valencia rimane sospeso in aria un secondo di troppo, ma alla fine quello che conta è l'atterraggio. E appena atterra, Valencia corre verso Preciado, verso tutti i compagni di squadra, e stavolta non indica calma – non c'è alcun motivo, dopo un gol così eccezionale, per cui restare calmi – ma si lascia andare a un urlo spaventoso di gioia.
Più si avvicina alla fine, e quindi al ritorno a casa, più l'Odissea di Enner Valencia assume contorni imprevedibili e grotteschi. Oggi in patria è un eroe nazionale la stessa persona che in un Cile-Ecuador del 2015 uscì per un finto infortunio per evitare di essere arrestato, visto che non pagava gli alimenti per la figlia di 5 anni. Nel video qui sotto potete riconoscere l'assurdità di una scena che avrebbe potuto scrivere Samuel Beckett: tredici agenti della polizia che rincorrono Valencia mentre esce in barella.
Ecuador kick off the World Cup today.
— The Upshot (@UpshotTowers) November 20, 2022
Here's their captain Enner Valencia faking an injury to avoid getting arrested over £13k of unpaid child support.
The former Everton striker was driven away on a stretcher while 13 policemen gave chase. pic.twitter.com/oNCfKMbj6t
Al 90' della partita contro l'Olanda è uscito per un infortunio al ginocchio, e stavolta non è una sceneggiata. «Contro il Senegal voglio esserci» ha detto però lui, «voglio aiutare ancora il mio Ecuador».
Oggi che gioca in Turchia, e ha trovato continuità realizzativa con il Fenerbahce (tre doppiette nelle prime tre giornate, ma poi si è fatto espellere alla quarta), Valencia sembra rinato dopo anni difficili, che lo avevano riportato a giocare in Messico, al Tigres, dove è ancora leggenda. È il miglior marcatore nella storia dell'Ecuador con 37 gol, e chissà che non lo vedremo superarsi ancora in questo Mondiale: un palcoscenico in cui vivrà ancora a lungo la mistica di Enner Valencia.
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