Mondiale 2022: guida al Messico
Il Messico del Tata Martino è una squadra crepuscolare, e anche se avrebbe bisogno di un rinnovamento non può fare a meno dei propri senatori.
Le condotte criminali intorno al mondiale in Qatar sono note a tutti. Sportellate ha deciso che così come non ha mai rinunciato a raccontare questi aspetti oscuri, allo stesso modo fornirà anche il racconto sportivo di quanto accadrà sul campo. È un modo per offrire un'informazione completa a 360°. Abbiamo approfondito le ragioni della nostra scelta in questo post.
Qual è la prima cosa che vi viene in mente se pensate a una partita tra Nazionali di calcio? A un evento legato a doppio filo al caldo dell'estate, alla libertà delle vacanze ormai prossime e all'afa che ti consuma ogni poro mentre il ventilatore è lontano dal divano spostato per l'occasione di fronte alla TV. Raramente ci imbattiamo in partite spettacolari, e anzi il calcio giocato dalle nazionali ha a che fare con la sofferenza, anche le vittorie più belle non sono altro che il risvolto di novanta o centoventi minuti di tachicardia. Per contrappunto, più soffriamo e più il nostro inconscio inizia a sondare sentieri inesplorati. Che sia la partita inaugurale o la semifinale del Mondiale, senza accorgercene iniziamo a sognare.
Stavolta però non è estate e ci ritroviamo di fronte una versione amputata della Coppa del Mondo, trasformata dal gelo autunnale che in qualche maniera stride con la leggerezza dei sogni.
Una volta Roberto Bolaño ha scritto: «avevamo cercato di disinteressarci del lento naufragio delle nostre vite, del lento naufragio dell'estetica, dell'etica, del Messico e di tutti i nostri sogni del cazzo». Bolaño era cileno ma ha dedicato al Messico tutta la sua letteratura (e giovinezza); nessun altro scrittore è riuscito a dipingere così profondamente un paese che spesso vede semplicemente i propri sogni, appunto, naufragare.
Calcisticamente il discorso si incastra: il Messico vive dal 1994 la «maledizione» degli Ottavi, e se in un primo momento il fatto di superare sempre il primo girone diventava un vanto (7 ottavi di finale negli ultimi 7 Mondiali, record insieme al Brasile), adesso è vissuto con frustrazione.
👋 ¡Hola @HirvingLozano70!
— Selección Nacional (@miseleccionmx) November 19, 2022
🇶🇦 ¡Hola Doha!
🤩 ¡Hola Incondicionales!
👊 Listos para la práctica de hoy ⚽️🔥#MéxicoDeMiVida | #FMFporNuestroFútbol pic.twitter.com/xqwHJFC5EK
Ogni volta gli Ottavi di finale del Mondiale giocati dal Messico si avvicinano a uno spettacolo violento e fatalista, come se l'eliminazione alla quarta partita fosse scritto nel codice genetico de El Trì. Sono arrivate sconfitte mai in discussione contro squadre più attrezzate (Brasile nel 2018, Argentina nel 2006), alcune thriller (nel 2014 l'Olanda vince in rimonta tra l'88' e il 94') e altre semplicemente sfortunate (ai rigori, contro la Bulgaria nel 1994). E se da una parte questo fatalismo non ha permeato l'entusiasmo dei tifosi, ha comunque costretto El Tata Martino, attuale CT degli aztechi, a definire il Messico «nazionale di seconda fascia» anche nell'ottica del girone che lo vedrà affrontare Argentina, Polonia e Arabia Saudita.
La rosa
Il Messico che si presenta in Qatar è una squadra crepuscolare, che sembra aver già vissuto i suoi anni migliori, in attesa di un rinnovamento delicato. Il percorso intrapreso nel 2019 con Martino è stato spesso messo in discussione dalla stampa messicana e dai tifosi visto il cammino incerto che la squadra ha attraversato nel girone di qualificazione CONCACAF, dove è arrivata seconda dietro al Canada.
I dogmi nel calcio ideale del Tata Martino sono riassunti dallo stile del Messico: un 4-3-3 estremamente rigido e verticale, in cui le connessioni tra calciatori tecnici devono sempre svilupparsi in armonia con un'idea collettivista del gioco. Magari nel Messico non troverete la stella che vale da sola il prezzo del biglietto, ma una struttura tattica che cerca di ovviare anche alle assenze dei calciatori più importanti, come l'infortunato Jesus Corona, alla vigilia considerato il principale astro dell'attacco del Trì.
Come detto, il Messico assomiglia a una squadra che sta cambiando pelle dopo quasi un decennio, eppure alcuni degli uomini più importanti e rappresentativi sono quelli di sempre. A partire dal portiere, il 37enne Guillermo Ochoa, al quinto Mondiale in carriera, che come ogni quattro anni ci ricorderà di essere tra i portieri più forti al mondo in tuffo, con parate ai limiti del miracoloso. Davanti a lui, la prima costruzione è affidata al piede di Cesar Montes, 25enne simbolo del Monterrey, che appena possibile può osare anche il calcio lungo per le corse degli esterni; mentre il centrale di sinistra dovrebbe essere l'esperto Hector Moreno, conosciuto in Europa per le esperienze con Porto e Roma.
I terzini devono garantire l'ampiezza, e il loro compito nel calcio di Martino assomiglia di più a quello dell'ormai celebre esterno «a tutta fascia». Jorge Sanchez dell'Ajax a destra e uno tra Gerardo Arteaga e Jesus Gallardo a sinistra (con il secondo leggermente favorito) saranno gli stantuffi pronti ad azionare le ripartenze di una squadra che quando non riesce ad essere verticale va incontro a parecchie difficoltà.
L'ala del Napoli Hirving Lozano guiderà queste lunghe transizioni offensive partendo da destra, e la sua attitudine a cercare l'uno contro uno, puntando i terzini avversari fino allo sfinimento, sarà essenziale per offrire un'uscita alla rigidità posizionale della squadra. Non è invece sicuro della titolarità l'altro volto noto dell'attacco, Raul Jimenez del Wolverhampton, alle prese con i postumi dell'infortunio all'anca e che nonostante sia convocato non gioca da fine agosto. Alto 188 cm, Jimenez offre l'arma in più dei duelli aerei: il suo gioco a volte ricalca lo stereotipo del numero nove poco associativo, che sta comodo nell'area di rigore come sul divano di casa, e infatti in nazionale ha già segnato 30 gol in 98 presenze. In caso di forfait, al suo posto Martino potrebbe puntare su un suo luogotenente come il naturalizzato Rogelio Funes Mori, più dedito al palleggio con la squadra di Jimenez ma anche meno freddo sotto porta.
A completare il reparto El Tata punta sull'estro di Alexis Vega del Guadalajara, un'altra ala – come il Tecatito Corona, che dovrà sostituire – dal gusto per il dribbling in ogni zona di campo: sarà lui a partire da sinistra per rientrare sul piede preferito. Se siete curiosi di scoprire qualcosa su di lui, vi consiglio questo video che raccoglie le sue giocate migliori: il titolo è eloquente: "He was born to dribble".
Se l'attacco si rivelerà quindi decisivo per le ambizioni del Messico, a offrire garanzie è il centrocampo. A proteggere i centrali, e ad abbassarsi in mezzo a loro in fase di possesso, c'è Edson Alvarez, mediano posizionale e colonna portate dell'Ajax nell'ultimo lustro. Le sue letture difensive sono oro per il Messico, che a volte può trovarsi spezzato in due per l'attitudine offensiva di entrambi i terzini e dei tre attaccanti.
Come mezzala sinistra troviamo il comandante e capitano Andres Guardado, simbolo di Betis e Messico, che pur a 36 anni garantisce intensità, essendo l'unico centrocampista box to box della rosa capace di abbinare sacrificio e predisposizione al palleggio. La mezzala destra, un altro volto esperto come Hector Herrera, è il vero regista della manovra tricolore, colui che impartisce il ritmo alla manovra e che può decidere se dare la pausa o schiacciare definitivamente l'acceleratore. Occhio però anche a Erick Gutierrez, eccentrico regista del PSV che potrebbe reclamare spazio.
Il pronostico
Insomma il Messico che arriva in Qatar punterà sull'identità costruita negli anni da Martino e sull'orgoglio dei propri senatori, e non si offrirà come vittima sacrificale delle più quotate Argentina e Polonia. Allo stesso tempo è dura prospettare miracoli, vista la stasi che sembra attanagliare la rosa del Trì. Il carisma e l'esperienza di Guardado, Ochoa e Jimenez spingeranno i più giovani a inserirsi in un contesto ben oliato o la mancanza di prospettive li frenerà ulteriormente?
Esclusa per il momento l'Arabia Saudita dalla corsa al secondo posto – quello sì che sarebbe un evento ai limiti del realismo magico –, la partita inaugurale in cui il Messico sfiderà la Polonia di Robert Lewandowski vale già una buona fetta di qualificazione. Chissà che dopo 28 anni, invece di soffrire la pressione di dover superare le colonne d'Ercole degli ottavi, al Messico non faccia bene partire sfavorito e regalarsi una soddisfazione che di frustrante, stavolta, avrebbe ben poco.
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