Mondiale 2022: guida alla Germania
Die Mannschaft, la squadra della Germania, vuole tornare a far ciò che gli riesce meglio: vincere. Per provarci punta sull'hipster-factor: un melting-pot di talento e multiculturalità, gioventù ed esperienza, senza centravanti (che farebbe troppo pop).
Le condotte criminali intorno al mondiale in Qatar sono note a tutti. Sportellate ha deciso che così come non ha mai rinunciato a raccontare questi aspetti oscuri, allo stesso modo fornirà anche il racconto sportivo di quanto accadrà sul campo. È un modo per offrire un'informazione completa a 360°. Abbiamo approfondito le ragioni della nostra scelta in questo post.
Avrei preferito partire da qualcosa meno inflazionato, ma non si può parlare di Germania al Mondiale senza cedere alla tentazione di citare Gary Lineker, quando afferma che “il calcio è quello sport dove si gioca 11 contro 11, ed alla fine vincono i tedeschi”. In effetti, se guardiamo al palmarès, la nazionale tedesca ha ben 4 stelle sulla maglietta, ed è l’unica assieme al Brasile ad essersi qualificata sempre alle fasi finali (ci sarebbero parecchie altre statistiche che denotano la superiorità tedesca, ma per giustificare la citazione di Lineker ci basti aggiungere che anche livello europeo, coi 3 titoli continentali vinti, i tedeschi sono in cima al palmares).
Non possiamo fare a meno di notare, però, come tre successi mondiali siano da attribuire alla Germania Ovest (1954 e 1974, nei mondiali di casa, e 1990, a pochi mesi dall’unificazione ufficiale), mentre solo uno sia arrivato, e piuttosto recentemente (2014), dopo la caduta del Muro.
L’ultima immagine (che solo i boomer come lo scrivente ricorderanno) della Germania non unita campione del Mondo è Lothar Mattheus che alza la Coppa del Mondo allo Stadio Olimpico di Roma dopo aver battuto in finale l’Argentina di Maradona, nel 1990, pochi mesi prima di quel 3 ottobre che avrebbe cambiato la geopolitica mondiale e sportiva.
Per quanto questo excursus sembri anacronistico, in realtà è utilissimo per capire quanto il percorso della Germania calcistica si nutra di un solo ed unico concetto: essere "Die Mannschaft", la Squadra. Un appellativo che Oliver Bierhoff in una intervista indicò come il più adatto a sintetizzare le caratteristiche della nazionale ideale. Essere Die Manschaft a prescindere da cosa succede fuori, questa la vera e propria Weltanschauung della nazionale, la sua concezione del mondo. Che siano avvenimenti di portata storica come la caduta del Muro, trasformazioni politico sociali, o che siano semplici divergenze sul campo, chi scende in campo con la maglia tedesca addosso deve portarla con quell’idea sopra a tutto.
Nei miei anni da fuorisede in Germania, più che dai mille luoghi comuni sul popolo tedesco rimanevo sempre colpito dall’abilità dei locali di andare avanti come carrarmati verso i propri obiettivi, senza spostare il focus di un millimetro, qualunque cosa accadesse attorno. Anche questo significa comportarsi come Die Mannschaft. E a maggior ragione in un gioco collettivo, centrare davvero l’obiettivo di essere una squadra è ciò che più di ogni altra cosa avvicina alla vittoria.
Oggi il mondo è andato ben oltre alla divisione tra le due Germanie, l’integrazione non è più tra due blocchi ma si è spostata su scala globale. La nazionale dimostra di aver capito la lezione della Storia e risponde a quella missione suprema mandando in campo un esempio eccezionale di multiculturalità. Un crogiuolo di talenti figli dell’integrazione massiccia e applicata all’ambito sportivo, che portano cognomi turchi, africani o bavaresi.
La nuova generazione tedesca è un melting-pot di culture unite, ma anche un bel mix di gioventù ed esperienza accomunate dalla stessa divisa bianca con l’aquila nera della Fussball-Bund. Questa spruzzata di hipsteria è la novità più grande della Germania unita. La Nazionale, dal canto suo, in Qatar proverà a portare a termine la missione più antica: arrivare in fondo ed alzare la coppa. La missione di sempre.
La rosa
Siamo abbastanza certi che la storica casacca verde Adidas con cognomi multietnici farà faville nei mercatini delle pulci berlinesi di Kreuzberg e Prenzlauer Berg, tuttavia cucirci sopra la quinta stella non sarà affare semplice: la rosa è sì piena di talento e di giovani abituati a grandi palcoscenici, ma in diversi ruoli esistono lacune che non possono passare inosservate.
Dopo il lunghissimo regno di quasi 15 anni di Joachim Low, nel 2020 la Fussball-Bund tedesca ha affidato la panchina a Hans Dieter Flick. L'ex tecnico del Bayern ha qualificato la nazionale al Mondiale con largo anticipo e un percorso brillante: 9 vittorie ed una sola sconfitta. Partite in cui, tanto per rimarcare il tema della Mannschaft, la Germania non è mai sembrata appesa a un singolo talento in particolare quanto trascinata dalla forza del proprio collettivo.
Prima di scegliere i 26 da portare in Qatar, il CT ha diramato una pre-lista molto ampia, di addirittura 44 giocatori. La sensazione è che nelle scelte finali abbia pesato molto lo stato di forma di alcuni giocatori chiave. Su alcuni nomi, va detto, non c'erano grandissimi dubbi: le bandiera Muller, le certezze Rudiger, Kimmich e Goretzka, gli irrinunciabili Gundogan, Gnabry e Sanè. Meno scontata era la situazione di Neuer, legata a un serio problema di salute. Una volta accertata la sua presenza tra i pali, comunque, gli altri due posti da portiere sono stati affidati facilmente a Ter Stegen e Trapp, per un reparto che sembra decisamente competitivo.
La difesa dovrebbe essere a 4, con Klostermann, Sule e Raum a fianco di Rudiger: una difesa di buon livello ma che non appare perfettamente ermetica - la Germania ha preso gol in tutte le partite dell'ultima, brutta Nations League. In caso di necessità, a rimpinguare il reparto potrebbero intervenire dalla panchina alcune giovani sorprese: Bella-Kotchap, 20 anni, del Southampton e Schlotterbeck, 22, del Dortmund. Chissà che non possa rivelarsi anche il mondiale di qualcuno di loro. Accanto a questi in panchina resistono i più esperti Kehrer, Ginter e Gunter, nel pieno della maturazione per età ma non assidui frequentatori di grandi palcoscenici. Non manca poi un brusio di sottofondo per la scelta di Flick di non dare un’ultima occasione ad alcuni big come Hummels o Gosens.
"Sabbia" è un podcast in quattro episodi scritto e realizzato da Sportellate. Un progetto nato con l'obiettivo di descrivere le fondamenta criminali su cui poggiano - tanto metaforicamente quanto letteralmente - gli stadi di Qatar 2022. Online dal 14 novembre su tutte le piattaforme di streaming podcast.
Se è vero che il calcio si vince a centrocampo, la Germania ha una grande occasione: il suo è di primissimo livello, perché oltre alla solidità dei soliti noti (Kimmich, Goretzka) può contare su un top player assoluto come Gundogan a dettar le geometrie. L’idea è giocare a due in modo da liberare l’estro sulla trequarti, che è orfana di Draxler ma che può puntare su una linea eccellente, esperta e affiatata nel Bayern: Sanè, Gnabry e Muller. Pure la panchina è di lusso, basti pensare che nelle rotazioni in mediana potrebbe inserirsi Musiala, che è andato molto bene nelle qualificazioni, e sulla trequarti giocatori come Brandt, Hofmann e Goetze.
Anche a centrocampo, vista la qualità a disposizione, sono rimasti fuori molti giocatori di buon livello, da Emre Can a Neuhaus fino a Khedira, che era nella lista dei 44 e la cui convocazione sarebbe stata l'apoteosi dell'hipsteria. Ad ogni modo, con i suoi convocati, la Germania ha pochi rivali in quanto a centrocampo.
In attacco l’infortunio di Timo Werner è stato uno shock, esattamente ciò che non ci voleva dato che quello del Lipsia era l’unico attaccante puro della rosa. Il rischio grande è che alla Germania possa mancare un finalizzatore che ottimizzi tutte le occasioni create dai tre fantasisti. Havertz è un gran bel giocatore, ma non ha mostrato con costanza un killer instinct da bomber. Le alternative Moukoko e Adeyemi del Dortmund e Fullkrug del Werder Brema non sembrano pronte per caricarsi una responsabilità così importante. Flick dovrà decidere se puntare su un “falso nueve” - una soluzione molto lontana dalla tradizione tedesca, anche se Muller e Havertz ne avrebbero le caratteristiche - oppure sperare in un “effetto Schillaci” di uno degli outsider sopracitati.
Di fatto, la Germania dovrà servirsi di una forte sinergia tra centrocampo e attacco, costruendo un unico reparto fluido per la prima volta nella sua storia - anche se poi l'ultimo mondiale l'ha vinto proprio con Gotze subentrato in finale come punta. Forse il tecnico lo aveva ben chiaro sin dalla prima lista convocati, quando ha diramato la lista coi centrocampisti e gli attaccanti fusi in un unico elenco.
La Germania come squadra priva di un trascinatore in particolare, dicevamo. Nella rosa sono molti i giocatori che hanno vinto molto con i club, che hanno una lunga esperienza internazionale nel calcio d'élite. Se proprio si dovesse indicare una stella della squadra, la scelta potrebbe ricadere tanto su Gundogan, ormai fondamentale nello scacchiere del City di Guardiola, quanto su due come Gnabry e Sané, che in questo mondiale potrebbero consacrarsi definitivamente con la maglia della nazionale. O ancora, si potrebbe citare Neuer, capitano della nazionale e ormai simbolo di una reinterpretazione storica del ruolo di portiere. La sensazione però è che nessuno rappresenti questa Nazionale, lo spirito tedesco che incarna, quanto Thomas Muller.
Il suo palmarès è spaventoso: 11 titoli di Bundesliga, 14 tra coppe e supercoppe tedesche, 2 Champions, 2 Supercoppe europee, 2 Mondiali per Club. Ai trofei col Bayern, naturalmente, si aggiunge il Mondiale vinto con la Germania nel 2014, in cui fu vice capocannoniere con 5 gol.
Il Mondiale in Qatar sarà probabilmente l'ultima grande chance per lui, una competizione in cui, essendo tra i pochi reduci del 2014, il suo ruolo di guida e ispiratore del gruppo peserà più che in altre occasioni. Chissà che, all'ultimo appuntamento, tra una smorfia e un'esultanza demodé Muller non arricchisca la sua bacheca con un'altra Coppa del Mondo. Con la sua ostinazione competitiva e la sua brutale efficacia nessuno incarna meglio di lui l'essenza dell'aforisma di Gary Lineker.
Il pronostico
Certo, dopo il glorioso ventennio che va dagli anni 70 agli anni 90 la citazione di Lineker è stata un po' meno suffragata dai fatti: al di là del successo del 2014, le delusioni per una nazionale abituata a vincere sono state parecchie, dalla sconfitta casalinga del 2006 nella semifinale di Dortmund che tutti noi ricordiamo sino alla disastrosa eliminazione prematura del 2018. In questo 2022 l’urna non è stata né dolce né amara, dal momento che ha sì riservato la Spagna, ma anche il Giappone e la Costa Rica, sulla carta due squadre ideali per prendere il ritmo e qualificarsi senza patemi.
Superare il gruppo E non dovrebbe essere, salvo catastrofi, un’impresa. Primo o secondo posto per una volta non farebbe troppa differenza: i tedeschi agli ottavi dovrebbero incontrare comunque una big tra Belgio e Croazia, inserite entrambe nel gruppo F. Quel che è certo è che la Germania per status, palmares e qualità non può che scendere in campo per provare ad arrivare in fondo e cucirsi la quinta stelletta sul petto. Gli avversari non mancano, e alcuni a dirla tutta sembrano un pelo più avanti. Da italiani, poi, non possiamo che provare un pizzico di nostalgia pensando che a questo Mondiale mancherà il brivido di un Italia-Germania, un classic match nei turni finali delle grandi competizioni internazionali.
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