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Copertina Nicolò Fagioli.
, 8 Novembre 2022

Elegante come Fagioli


Uno dei giocatori più interessanti del panorama italiano sta emergendo in una Juve sempre più in crisi.

Nicolò Fagioli porta i capelli con la riga e il ciuffo lungo, li sistema continuamente dietro l'orecchio quando gli cadono sugli occhi e gli impediscono di seguire l'azione. È un taglio antico, che nasconde i suoi vent'anni, e rappresenta l'unico tratto distintivo di una silhouette piuttosto anonima – insieme alla mascella squadrata e il naso appena sporgente – che porta con sé l'ideale romantico di un'eleganza passata. A differenza del mito di Sansone, però, che riponeva tutta la potenza proprio nella capigliatura, quella di Fagioli mi pare più vicina a essere l'emanazione estetica del suo modo di giocare a calcio. Ok, può sembrare una cazzata, mi rendo conto, ma chi sono io di fronte a Fagioli stesso quando dice: «Mi ispiro a Modric, anche se i miei capelli sono più belli» in un'intervista alla Gazzetta?

Comunque il suo stile di gioco è già molto maturo oltre che creativo, fatto di tocchi sinuosi, e forse è anche per questo che Fagioli si è preso, nel giro di una settimana, il centrocampo della Juventus.

Il momento è il 73' della partita contro il Lecce. La Juve attacca sulla destra con Cuadrado, che crossa al centro per l'inserimento di Rabiot, anticipato dall'uscita con i pugni di Falcone. Il pallone arriva fuori area a Iling-Junior, che dopo un doppio passo vede Fagioli appena oltre il vertice sinistro dell'area di rigore. Il passaggio è arretrato e prende in controtempo il centrocampista, che deve controllare con le spalle alla porta.

A quel punto Fagioli si gira in un fazzoletto e con il pallone ancora sotto il corpo calcia mirando il palo lontano. Ne esce un tiro lentissimo, una parabola ingannevole che termina la sua gittata appena sotto l'incrocio. Si parla subito di gol alla Del Piero: «ricorda quello che ha segnato alla Steaua Bucarest» ammette Fagioli nel post-partita, «ma io devo fare tantissimo per raggiungere un decimo di quello che ha fatto lui».

È difficile immaginare un gol più legato alla juventinità, e il fatto che Fagioli dica di averlo «aspettato 21 anni» se possibile ne gonfia ulteriormente la mistica. A tutto questo va aggiunto che è stato il gol vittoria di una partita che la Juve ha giocato male, senza i suoi punti di riferimento in attacco (Vlahovic, Di Maria e Chiesa) e arrivata due giorni dopo aver subito quattro gol dal Benfica in Champions League.

I palloni toccati da Fagioli, a causa del complicato periodo della Juventus, hanno avuto subito un peso diverso, una condizione simile all'episodio di Dragon Ball in cui il protagonista, Goku, si allena a una gravità 100 volte superiore a quella della Terra per allenarsi in vista di nemici sempre più forti. Tre giorni dopo Lecce, Allegri ha lanciato per la prima volta Fagioli da titolare contro il PSG. Anche grazie a una prestazione collettiva di valore, lui non ha avvertito il duello con centrocampisti del calibro di Verratti, Sanches e Fabian Ruiz, e anzi, ha chiuso la partita con il 96.7% di passaggi riusciti e fornito 3 passaggi chiave.

Schierato da mezzala destra in un 3-5-2 principalmente reattivo, nella Juve Fagioli ha come primo compito quello, non banale, di creare vantaggi in fase di possesso. Può farlo muovendosi, con inserimenti tra le linee avversarie, provando a disordinarle, oppure (meglio) può riuscirci quando il pallone passa tra i suoi piedi. Attraverso un cospicuo numero di tocchi, infatti, Fagioli può tentare le giocate eleganti e rischiose che marcano il suo gioco, come questo dribbling d'esterno a Messi (!) in fase di uscita dal basso. Fagioli ha giocato finora sette partite – di cui solo due dal 1' –, ma il suo stile non è cambiato rispetto a ciò che provava, e riusciva, a fare in Serie B con la Cremonese.

«Vederlo giocare a calcio è un piacere» aveva detto di lui Massimiliano Allegri nel 2018. Allora Fagioli aveva 17 anni e giocava ancora trequartista. Oggi il suo raggio d'azione in campo si è abbassato, e anche se segna meno (ha chiuso la scorsa stagione con 3 gol in 33 presenze), cerca di restare il più possibile nel vivo del gioco. Contro l'Inter, altra partita importante in cui è partito titolare e ha segnato, Fagioli ha effettuato 41 tocchi, chiudendo con il 93% di passaggi riusciti (26 su 28) e cinque lanci lunghi provati.

Nicolò Fagioli è un centrocampista atipico per il calcio moderno. Anche limitando il discorso all'Italia, ormai siamo abituati a vedere mezze ali «box to box», centometristi prestati a uno sport collettivo pronti a donare ogni goccia del proprio sudore (e sangue) per sovrastare fisicamente l'avversario. Fagioli, per intenderci, non copre il volume di campo di centrocampisti come Barella e Tonali, né possiede la loro intensità nelle conduzioni. È uno di quei giocatori che ha bisogno di compagni che corrono e recuperano palloni per lui, come nella Juventus succede con Adrien Rabiot, e questo è uno dei suoi limiti. Fagioli ha un fisico asciutto e un'altezza media (è alto 178 cm) ma fatica a essere intenso per novanta minuti. È a suo agio solo quando, in possesso, può gestire i tempi dell'azione.

Fabio Pecchia, che lo ha allenato a Cremona e prima ancora alla Juventus Under 23, è stato il primo a credere in una possibile evoluzione di Fagioli come pivote. Grazie a un bagaglio tecnico rarissimo, in Serie B il suo talento è deflagrato giocando come interno del 4-2-3-1 o mezzala del 4-3-3 insieme a Gianluca Gaetano. Se guardate alcuni dei suoi highlights, ad esempio quelli contenuti in questo video, con la palla tra i piedi Fagioli pare poter camminare sulle acque. Il suo gioco viene impreziosito con roulete di volta in volta più fantasiose e dribbling nello stretto seguiti da assist che potrebbero farvi saltare dalla sedia. Certo in Serie A non può ancora permettersi questa esuberanza, e deve calibrare i rischi sulla bilancia del bene superiore che è l'equilibrio della Juventus.

Non ha ancora tentato azioni come quella contro il Benevento, in cui recuperato un pallone pressando l'avversario, era prima entrato in area conducendo la palla con la suola e servito l'assist a Gaetano. Poi, quando con un rimpallo il pallone gli era tornato tra i piedi al limite dell'area piccola, aveva trovato la freddezza di portarselo leggermente in avanti, saltando il portiere, per segnare a porta vuota. C'è qualcosa di più passato ed elegante di un gol in cui si dribbla anche l'ultimo difendente? Un gesto che cela più supremazia tecnica sugli avversari?

Il gioco di Nicolò Fagioli è pieno di quegli ornamenti che ti inebriano fino quasi a nausearti. Uno stile che sembra quello raccontato da Madame nella canzone Sciccherie. Esattamente come il testo così retoricamente trap da smettere di essere trap ed evolversi in qualcosa di più (Certe sere in cui mi manca a merda, e sì che è lì, eh / Uscire con due calici e le sciccherie / Ciao, amore bibbi, quanto bello, però succhia lì, eh / Un poco ancora perché ficcatine), a volte Fagioli è così bello da vedere che smette di essere solo bello e diventa tremendamente efficace.

Va detto che senza gli infortuni di cui la Juventus è martire da inizio stagione forse non ci saremmo neanche accorti di Fagioli, almeno non a questi livelli. Allegri ne ha parlato bene quattro anni fa, però per l'esordio ha dovuto aspettare il 22 febbraio del 2021, quando in panchina c'era Andrea Pirlo, che lo fece entrare nella vittoria contro il Crotone allo Stadium. In realtà non possiamo escludere che il controllo tecnico con cui Fagioli ha approcciato Serie A e Champions League possa scontrarsi con il bisogno ancestrale di Massimiliano Allegri di schierare mezze ali dominanti dal punto di vista atletico a proteggere il regista. L'allenatore della Juve ha già detto che «deve imparare a giocare come play, davanti alla difesa» e messo in discussione il suo percorso di crescita: «è stato imbastardito nel ruolo».

Sono parole che stonano con la reale dimensione del talento di Fagioli, o almeno con quella che ci sta mostrando in queste settimane. Il gol contro l'Inter nasce da un filtrante geniale di Di Maria, che aspetta l'istante giusto per mandare Kostic nell'uno contro uno in area con Bellanova, e lo stesso esterno serbo serve a Fagioli un pallone dolce, che lui deve solo accarezzare nel controllo e calciare in porta (con la deviazione decisiva di Gosens). Eppure Nicolò Fagioli lì, a riempire l'area di rigore con un inserimento profondo senza palla, c'è arrivato con la sensibilità tattica di una mezzala che sa gestire i ritmi di gioco ma anche attaccare lo spazio.

Insomma mi sembra che anche stavolta Allegri abbia perso l'occasione per non banalizzare il discorso tecnico-tattico, usando una retorica molto «italiana», come direbbe Stanis La Rochelle, quella del catechizzare il talento e reprimerlo il più possibile in virtù di un presunto bene superiore collettivo.

Quello che era iniziata come processo di evoluzione, arretrare di qualche metro la visione di gioco di Fagioli per rendere il suo gioco più concreto, finirà per ingabbiarne la fantasia? E lui riuscirà ad adattarsi, a diventare un centrocampista più moderno e dinamico, più resistente atleticamente? O alle prime difficoltà ci renderemo conto della fugacità di un talento così fine?

Credo che per rispondere a tutte queste domande inevase servirà tempo (o quantomeno io non saprei cosa rispondere, questo è un pezzo di dubbi più che di certezze). Nel frattempo continuerà ad essere un piacere vedere Nicolò Fagioli toccare il pallone, provare giocate così eleganti fino anche a specchiarsi, senza però rinunciare alla classe con cui è arrivato a essere uno dei talenti più interessanti del calcio italiano.

  • Nato a Giugliano (NA) nel 2000. Appassionato di film, di tennis e delle cose più disparate. Scrive di calcio perché crede nella santità di Diego Maradona. Nel tempo libero studia per diventare ingegnere.

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