Tra Gallardo e il River è stata una storia bellissima
L’allenatore argentino sta per lasciare il River dopo averlo rivoluzionato.
Marcelo Gallardo stringe il microfono con entrambe le mani, mentre parla con voce calma, un po’ fioca. È seduto col corpo ingobbito, i gomiti appoggiati sul tavolo, gli occhi per lo più fissi nel vuoto. Non una novità, per un allenatore che negli anni ci ha abituati alla sua immagine stanca. Quella di una persona consumata dal modo ossessivo di vivere il lavoro. Sta parlando in una sala stampa spoglia, davanti a lui un tavolo sgombro che lo separa dai giornalisti, coperto solo da un lenzuolo scuro. Gallardo promette che sarà breve e infatti impiega meno di un minuto per arrivare al punto: «La scadenza del mio contratto col River è a dicembre, dopo di che non proseguirò nel club».
L’addio di Gallardo al River era una minaccia sospesa nell'aria da diversi anni, ciclicamente rimandata per inseguire ancora un trofeo, ancora un ciclo vincente – ogni nuova stagione l'ennesima ultima sigaretta. Alla fine i rinvii sono diventati otto anni e mezzo eppure, nonostante il terrore del distacco si sia fatto nel frattempo più profondo e paralizzante, la conferenza di commiato si è mantenuta sobria e compassata: nessuna eruzione di pianto, nessuna scenata troppo emotiva a turbare l’abituale immagine mite ed equilibrata di Gallardo. Il tecnico ha parlato in tutto per sette, otto minuti, ha ringraziato i dirigenti, lo staff, i tifosi, i giornalisti. Poi ha messo su il sorriso migliore che poteva trovare, e ha chiuso con una frase distensiva (o straziante, dipende dai punti di vista): «È stata una storia bellissima. Grazie mille.»
L’annuncio di Gallardo è arrivato il giorno dopo la vittoria in campionato contro il Platense, che ha qualificato matematicamente il River alla Libertadores 2023. L’ottava qualificazione consecutiva in altrettanti campionati. Nelle otto Libertadores disputate, Gallardo ha sempre superato la fase a gironi: nessun altro club sudamericano ha fatto lo stesso in questo decennio. I record di Gallardo al River non si contano: allenatore più vincente nella storia del club con 14 titoli, quello con la striscia di risultati utili più lunga (32), più vittorie con almeno tre gol di scarto, e l’unico ad aver vinto la Libertadores come giocatore e come allenatore. Sommando anche i titoli da calciatore, Gallardo è il più vincente della storia del club al pari di Labruna (22 titoli). Quando si è seduto sulla panchina del River, a giugno 2014, il club aveva 5 titoli internazionali in 113 anni di storia. In 8 anni Gallardo ne ha vinti 7. Tra questi, anche le due Libertadores vinte nel 2015 e nel 2018, quest’ultima contro il Boca, probabilmente il singolo trofeo più pesante nella storia del club.
Rivoluzione culturale
Tutto questo Gallardo lo ha costruito non solo coi risultati, con un’efficacia sportiva senza precedenti, ma operando una rivoluzione molto più profonda e totalizzante. Instillando cioè in seno al club dei cambiamenti ambiziosi; rendendo il suo progetto un progetto politico e culturale prima che sportivo, e dando al River un’identità riconoscibile propedeutica alle vittorie. Con Gallardo il River non ha solo vinto molto: lo ha fatto giocando in un certo modo, con un’identità tattica audace e così radicata che, proprio come un codice genetico, è servita a rigenerare la squadra ogni volta che il calciomercato la smontava, più o meno ogni due anni. Gallardo non si è limitato ad allenare il River ma ne ha riplasmato le fondamenta. Un’influenza paragonabile forse a quella che Cruijff ha avuto sul Barcellona.
Il parallelo col Barça ha senso anche per i principi di gioco che hanno distinto il River di Gallardo. Possesso palla, baricentro alto, intensità estrema, gioco offensivo e collettivo, riconquista immediata del pallone dopo averlo perso. Alla base il desiderio di dominare l’avversario ed essere padroni della partita in ogni momento, con e senza palla. Un manifesto calcistico che Gallardo ha sviluppato durante il periodo sabbatico preso dopo il 2012, quando, appena uscito dalla prima esperienza da allenatore (una stagione al Nacional Montevideo, con vittoria del campionato uruguaiano) ha speso due anni interi per guardare e studiare calcio. Di quel periodo abbiamo un resoconto dettagliatissimo nel suo profilo Twitter, su cui Gallardo pubblicava commenti, frasi e considerazioni tecniche, quasi fosse il diario adolescenziale della sua personalità calcistica in formazione. Scriveva della necessità di essere proattivi sempre, dell’importanza del possesso palla per pensare, dell’avversione per il calcio frenetico giocato a casaccio. Elogiava la Spagna, che giocava un calcio "buono, non bello". Tutti principi riconoscibili oggi nel gioco del River, insieme anche ad altri che Gallardo ha assorbito sul campo, durante la sua carriera da calciatore, dal maestro che forse più ne ha influenzato il pensiero: Marcelo Bielsa. Gallardo non ha mai nascosto il rimpianto di aver lavorato con Bielsa solo in nazionale, e per di più in età molto giovane: «Mi sarebbe piaciuto averlo da più grande, a 29 o 30 anni» ha detto una volta.
Un calcio iper-cinetico
Da Bielsa, Gallardo ha assorbito la verticalità, l’impeto di un calcio veloce e vertiginoso da far venire la tachicardia. In questi anni abbiamo visto il River primeggiare in tutte le classifiche di gioco offensivo: per possesso palla, numero di passaggi, tocchi in zona offensiva, tiri prodotti. Ma il suo possesso quasi mai è paziente: al contrario, generalmente si svolge veloce dalla difesa all’attacco, con passaggi lunghi rasoterra che perforano le linee avversarie e trovano i giocatori liberi tra le linee, da cui scaturiscono sponde e combinazioni a pochi tocchi. C’è un tipo di azione ricorrente ormai diventata un benchmark del River. Un meccanismo con cui la squadra risale il campo velocemente, sfruttando i triangoli formati tra i giocatori. Questa:
La coordinazione tra movimenti in appoggio e in profondità, l’occupazione fluida dei mezzi spazi, l’attacco dell’ampiezza, ottenuta distorcendo il 4-1-3-2 di base – modulo feticcio di Gallardo, dove una fascia è tenuta da un terzino e l’altra dall’esterno di centrocampo opposto. Su questi pilastri Gallardo ha costruito una fase offensiva brillante e sofisticata, capace di produrre a ripetizione, quasi all’identico, azioni come quella precedente: nel gol di Pratto al Boca in finale di Libertadores, in questo gol di De la Cruz, in quest’altro ancora di Pratto, e molte altre. Azioni che sembrano in copia-incolla, caratterizzate da triangoli veloci, movimenti coordinati e l’assist finale orizzontale e arretrato che prende in controtempo le difese. Il classico assist dei gol alla Guardiola.
Qui un esempio di occupazione ordinata dei corridoi del campo in fase di attacco posizionale
Essere proattivi sempre
Soprattutto, il lavoro di Gallardo ha dato al River un’organizzazione collettiva e una complessità tattica rare per le squadre sudamericane. Si può dire senza il rischio di semplificare che la tradizione calcistica sudamericana (e argentina nella fattispecie) poggia saldamente sulla preferenza della tecnica sulla tattica, sul gusto per i dribbling e i duelli individuali, su un’idea di calcio improvvisato e poco strutturato. C’è una frase di Borges, riferita ai cowboys della tradizione argentina, che sembra descrivere anche il calcio argentino: «La guerra non era per loro l’esecuzione coerente di un piano, ma un gioco di coraggio». Gallardo ha voltato le spalle a questi stereotipi e dato al River un’organizzazione sistematica, al passo con le migliori avanguardie tattiche europee.
Che strano è stato vedere in questi anni l’aggressività del River senza palla, uno spettacolo a tratti violento contro squadre disorganizzate e impreparate. L’avversario con le distanze sfilacciate, e il River a soffocare il portatore con un’intensità da Bundesliga, portare la pressione sempre più in alto e recuperare il possesso immediatamente dopo averlo perso. Se il River di Gallardo si è potuto permettere percentuali di possesso palla altissime, è stato soprattutto per i suoi numeri altrettanto notevoli in recuperi palla offensivi, contrasti fatti, falli commessi, PPDA. Merito anche del quadrilatero di centrocampo del 4-1-3-2, che senza palla si stringe come un cappio attorno alla gola del portatore. Il River ha una forte tensione verticale, e non è raro che rinunci alla costruzione da dietro per la verticalizzazione diretta, anche imprecisa, con lo scopo poi di assaltare la seconda palla in alto e attaccare in transizione. Una versione di calcio uscita dalle avanguardie tedesche più distopiche.
Non è esagerato dire che alcune partite del River di Gallardo siano le esibizioni più alte di una formazione sudamericana negli ultimi anni. Per la sua attenzione maniacale ai dettagli tattici, Gallardo si è costruito una solida reputazione di allenatore da coppa, eccezionale nel preparare le sfide a eliminazione diretta (è significativo che abbia vinto un solo campionato lungo, contro 13 coppe). Le fasi finali della Libertadores, ad esempio, sono state il contesto di alcuni autentici capolavori tattici: il 3-0 inflitto fuori casa al Cruzeiro, nel ritorno degli ottavi del 2015, che ha rovesciato lo 0-1 subìto in casa, oppure la rimonta nella semifinale del 2018, col 2-1 esterno contro il Gremio dopo la sconfitta in casa per 0-1.
Gallardo in questo senso ha cambiato radicalmente la mentalità del River, che storicamente, a differenza del Boca, non brilla nei tornei a eliminazione. Segno inequivocabile del cambiamento, il record tenuto proprio contro il Boca, battuto in cinque confronti a eliminazione consecutivi: semifinale di Coppa Sudamericana 2014, quarti di Libertadores 2015, Supercoppa Argentina 2017, finale di Libertadores 2018, semifinale di Libertadores 2019.
Un esempio di aggressività del River senza palla ai limiti dell’incoscienza. Gremio-River 2018. È il minuto 90+13 e il River, qualificato, invece di difendersi in area di rigore pressa così il Gremio nella trequarti offensiva.
Curare ogni dettaglio
Il funzionamento a orologeria del River in campo è solo la punta di una più profonda rivoluzione che Gallardo ha apportato al club. Da quando è arrivato nel 2014, Gallardo ha lavorato affinché la sua idea di calcio offensivo diventasse più di uno schema tattico: un brand che distinguesse il River Plate, una filosofia da irradiare a tutta la struttura del club e da trasmettere alle sezioni giovanili, seguendo l’esempio del Barcellona. Per riuscirci Gallardo ha svolto un ruolo ampio, quasi da direttore tecnico. «Fin dalla prima riunione ha voluto occuparsi di cose che vanno ben oltre il team» ha detto Matias Patanian, vice presidente del River. «Incluso questioni organizzative, infrastrutturali e dei settori giovanili».
Gallardo ha proposto e supervisionato il profondo ammodernamento del River Camp, la cittadella di allenamento del club, da lui fatta ampliare e potenziare in modo da ospitare tutte le formazioni fino alla Sesta Divisione. Ha riorganizzato tutti i settori giovanili, modificato i sistemi di reclutamento e ampliato la rete di scouting, portandola da 4 selezionatori a 22. Naturalmente ha imposto a tutte le giovanili una linea calcistica comune basata sul gioco offensivo, che possa plasmare i giocatori secondo i principi della prima squadra. «È necessario che i giocatori capiscano che lo stile del River è offensivo; che occorre fare più gol possibile e che per riuscirci bisogna prendersi rischi», ha detto Gustavo Grossi, nominato da Gallardo direttore del Projecto Infanto-Juvenil. «Lo facciamo dalle sezioni infantili fino alla squadra riserva. Il River deve essere protagonista in tutte le partite».
Gallardo viene descritto dai suoi collaboratori come uno studioso, una mente analitica e scientifica. Una persona aperta al progresso e favorevole all’implementazione nel calcio delle moderne neuroscienze. Nel 2014, una delle sue prime decisioni da allenatore del River fu quella di integrare nello staff la neuroscienziata Sandra Rossi, diventata così la prima assistente allenatrice donna nel calcio sudamericano di alto livello. «Il suo lavoro era del tutto nuovo, non si faceva in Argentina», ha detto Gallardo. «È stata una sfida aggiungere una donna in un mondo tanto machista come il calcio». Il principale merito di Gallardo, in sostanza, è stato quello di introdurre un metodo, di inseguire un professionismo a tutti i livelli che avvicinasse l’organizzazione strategica del River ai migliori club europei. Un lavoro di pianificazione a lungo termine che è una rivoluzione per il calcio argentino, dove è quasi impossibile aprire cicli più lunghi di un anno e mezzo.
Lo stile di gestione di Gallardo è ossessivo. La sua cura per ogni dettaglio l'ha spinto a organizzare incontri regolari con gli allenatori di tutte le sezioni giovanili per conoscere tutto di ogni ragazzo di ogni categoria. Una politica di gestione totalizzante, che per funzionare richiede la collaborazione di tutti. Il risvolto di questa iper-esigenza è l’esaurimento. Il suo, e quello dei collaboratori. Per questo, da quando è al River, praticamente ogni anno nel mese di dicembre Gallardo si prende del tempo per decidere se continuare o meno: «Rimarrò finché gli altri tollereranno la mia esigenza» diceva qualche tempo fa. «Ci penso tutto il tempo, lo esamino sempre. Osservo, guardo, analizzo come gli altri assimilano le mie richieste».
A serious man
Verbi come “analizzare”, “ragionare” sono ricorrenti nelle interviste di Gallardo, persona con una predisposizione quasi rinascimentale alla razionalià. In panchina tiene un contegno sobrio e concentrato, non eccede né nelle manifestazioni di entusiasmo né in quelle di disperazione. Ai microfoni parla con calma, le sue analisi sono lucide, ma gli occhi apparentemente affaticati e il linguaggio del corpo comunicano sempre un senso di stanchezza latente. Dopo l’esperienza al Nacional, dopo un solo anno di professione di allenatore, così parlava della decisione di prendersi una pausa sabbatica: «Essere un allenatore ti consuma troppo, l’impegno ti porta a una specie di follia e per questo penso di aver preso una buona decisione, fermarmi».
A Gallardo riesce molto facile parlare delle implicazioni psicologiche – spesso insabbiate – del lavoro calcistico. In quest’intervista alla generica domanda “Cosa ti piace del tuo lavoro?” Gallardo finisce spontaneamente per parlare del problema della pressione, dicendo cose come «È una lotta costante con il sapere quando devi staccare», e che è importante riconoscere «il punto in cui perdiamo di vista le cose davvero importanti della vita». Ogni apparizione di Gallardo davanti alla stampa aggiunge un mattoncino alla sua immagine di persona profonda, riflessiva. Qualche volta questa evidente attitudine meditativa offre un assist formidabile agli intervistatori per domande personali e complesse come “Ti consideri ossessivo?”, “Che relazione c’è tra la felicità e la vittoria?”, “Che rapporto hai con la fugacità della vittoria?”. Domande a cui Gallardo non risponde mai in modo banale né sintetico.
Questo dicembre prossimo, Gallardo si prenderà un’altra pausa, chissà, magari per prepararsi alla panchina di un grande club europeo. In passato aveva detto che solo dopo aver lasciato il River, guardando le cose dalla giusta distanza, avrebbe davvero preso consapevolezza dei risultati raggiunti. Non dovrà faticare troppo, per riconoscere che è stata una storia bellissima.
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